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Angoscia della morte

Angoscia della morte
Angoscia della mortelogo-unobravo
Sara Maruca
Sara Maruca
Redazione
Psicologa Cognitivo-Costruttivista Intersoggettivo
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il


Da sempre l’uomo ha cercato gli strumenti per placare l’angoscia della morte. Nella cultura occidentale, per esempio, la morte è stata, per tanto tempo un evento pubblico e sociale; attraverso i riti propri di ogni cultura, veniva vissuta come un passaggio nel quale c’era la possibilità di essere accompagnati da familiari e amici.

Com’è cambiato il rapporto con la morte oggi

In una società fortemente individualista come quella che viviamo e in cui si impone la combinazione giovinezza-salute-felicità, la morte ha perso la sua connotazione di evento naturale e sociale rendendone più difficile la sua accettazione. I riti, che permettevano di accettare con più umanità questo passaggio, vanno via via dissolvendosi, lasciando un vuoto di senso.

La continua esposizione a immagini di morte nei film e al contempo la mancanza di esperienza diretta, l’ha resa un concetto sempre più virtuale, lontano da noi: qualcosa che dissociamo dalla vita, a cui non pensare in senso tangibile e reale. Questo genere di contenuti, pur a una distanza di sicurezza, ci permettono di parlare della morte e questo può spiegare anche perché siamo attratti dalle storie horror.

Il progresso in campo medico, poi, ha spostato sempre più avanti la fine della vita, da una parte trovando rimedi per molte malattie, dall’altra alimentando l’illusione e la conseguente delusione di avere i mezzi per combatterla.

La pandemia da Covid-19 ha impedito a molte persone di essere vicine ai loro cari e la morte è diventata ancora più inaccettabile a causa dell’assenza di un saluto e di quel calore umano che è capace di ricostruire piano piano un senso.

Da cosa nasce l’angoscia della morte?

Il nostro contesto socio-culturale non favorisce un approccio sereno alla morte e rendere questo concetto un tabù non aiuta ad affrontarla. Uno degli strumenti con cui si può far fronte ad un evento così destabilizzante è il nutrimento emotivo ricevuto dai genitori, grazie a cui è possibile imparare a gestire emozioni spiacevoli e negative. Ma anche per i genitori gestire queste emozioni può essere complicato e soprattutto in famiglie disfunzionali si rischia di trasmettere:

  • sensazioni di instabilità
  • sfiducia nel futuro
  • insicurezza.

Inoltre, neanche la società narcisistica in cui viviamo favorisce questo tipo di elaborazione: un concetto così importante come la morte viene quindi messo da parte.

Quando la paura può diventare angoscia?

La paura della morte o tanatofobia può emergere:

  • da un’esperienza traumatica vissuta in prima persona o da altri
  • da una malattia come il cancro, associandosi alla paura di avere un tumore
  • dalla morte di qualcuno
  • da un licenziamento o da una gravidanza
  • dal passaggio ad un nuovo ciclo di vita, come ad esempio adolescenza-età adulta-vecchiaia;
Pixabay - Pexels

Anche riconoscendone l’irragionevolezza, questo pensiero diventa difficile da scacciare e può provocare:

  • ansia e attacchi di panico
  • pianto e disperazione
  • rabbia e tristezza
  • senso di colpa e solitudine
  • frustrazione e confusione.

Cosa si può fare per stare meglio?

Meno chiaramente è compresa l’idea di morte, maggiori sono la paura e lo stato d’ansia ad essa associati. È quindi importante normalizzare la morte, smettere di considerarla un tabù. Per farlo possiamo seguire alcune indicazioni:

  • È importante che esista una death education: rendere familiare il concetto di morte già in tenera età significa aiutare il bambino ad elaborare e comprendere questo evento come parte integrante del percorso di vita. Bisogna accogliere le sue paure e le sue domande offrendogli gli strumenti per gestire la scomparsa di qualcuno vicino, come ad esempio la morte di un nonno.
  • Riti funebri e credenze culturali e religiose possono aiutare a trovare un significato più profondo a quello che accade. Il senso di comunità e di condivisione del dolore potrebbe ridare spazio ad un pensiero che affrontato individualmente può fare molta più paura.
  • È importante osservare quello che succede dentro di sé quando questa paura fa capolino. Un’osservazione priva di giudizio permette di ascoltarsi senza lasciarsi travolgere, perché spesso è un segnale che indica che qualcosa nella nostra vita non sta andando come vorremmo.
  • Trovare il contatto con il proprio corpo, quando l’angoscia sembra farci sprofondare. Prestare attenzione ai propri piedi, “radicarli” sul pavimento, fare caso al posto in cui si è seduti, sciogliere la tensione di spalle e collo, sentire il calore della propria mano poggiata sul corpo. Ma anche riprendere contatto con l’ambiente esterno, notare i dettagli nella stanza, prestare attenzione ai rumori attorno, osservare un oggetto particolare: tutto ciò serve a dirsi “sono qui, è tutto ok”.
  • Prendersi cura di sé stessi e del proprio benessere mentale e fisico è importante per combattere questa angoscia. Agire seguendo i propri valori, ascoltare i propri bisogni e desideri aiuta ad accettare anche le proprie paure.
  • Chiedere aiuto quando se ne sente il bisogno: la vicinanza e la comprensione nella relazione con persone care o all’interno di un percorso di cura, hanno un valore inestimabile nella gestione delle emozioni spiacevoli.
Alex Green - Pexels

L’aiuto di un terapeuta

Un professionista può aiutare a gestire l’angoscia, ad ascoltarne e comprenderne il significato, per far acquisire via via gli strumenti necessari ad affrontarla. Questo avviene attraverso un ascolto attivo e senza giudizio, all’interno di una relazione sicura in cui è possibile esprimersi senza timore. È importante ritrovare scopi, desideri e obiettivi a breve e lungo termine che permettono di vivere la vita con senso di continuità perché

" La morte perde ogni connotazione di terrore se si muore dopo aver consumato la vita" , da "Le lacrime di Nietzsche", I. Yalom


Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista.
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