Emotional eating: cos’è la fame nervosa e come smettere di sfogarsi sul cibo

Emotional eating: cos’è la fame nervosa e come smettere di sfogarsi sul cibo
Chiara Vittorini
Redazione
Psicologa ad orientamento Analisi bioenergetica
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
29.9.2025
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Mangiare: un verbo e tanti significati. Basti pensare a tutti i sentimenti ed emozioni insite alle espressioni connesse con il mangiare: mangiare di baci, mangiare con gli occhi, mastica l’inglese, ha mangiato veleno, ha divorato quel libro, ha digerito bene quel concetto, è buono come il pane, gli faccio mangiare la polvere…

Cosa succede quando il cibo smette di essere solo nutrimento e inizia a intrecciarsi con il nostro mondo interiore? A volte, per gestire emozioni intense, si ricorre al cibo come conforto: è un'esperienza comune, che prende il nome di fame emotiva o fame nervosa. In questo articolo esploreremo insieme che cos'è, come imparare a riconoscerla e distinguerla dalla fame fisica, e quali sono le strategie più efficaci per affrontarla e ritrovare un rapporto più sereno con l'alimentazione e con le proprie emozioni.

Il cibo come atto d’amore

"Il cibo e l’atto del mangiare non sono solo natura, ma anche cultura. Il comportamento alimentare è carico di significati sociali e privati, e si inscrive in una rete di scambi e di mediazione tra gli individui" (Apfeldorfer, 1991).

Possiamo pensare al cibo come al primo dono che riceviamo quando veniamo al mondo. Il cibo è, in psicologia, un regalo che ci viene fatto dall’altro agli albori della nostra esistenza e si lega e vincola all’amore che ci è stato mostrato, rivolto, donato.

“L’atto alimentare non si esaurisce solo nella soddisfazione di un bisogno primario (la fame), ma fin dall’inizio si intreccia con l’esigenza del bambino di una risposta alla sua domanda d’amore: che posto ho nel tuo desiderio?” (Pace, 2015).

L’atto nutritivo diventa da subito una prima forma di comunicazione legata alla dimensione affettiva: cibo-affetto-messaggio. Questo fa del cibo una metafora d’amore, cioè dello scambio affettivo del bambino con i suoi oggetti d’amore.

Questo legame profondo spiega perché, a volte, il comportamento alimentare possa diventare il terreno su cui si manifestano difficoltà affettive e relazionali. La fame emotiva, in quest'ottica, può essere letta come l'espressione di un disagio interiore che, non trovando altre vie, si manifesta attraverso il corpo e il cibo.

fame nervosa rimedi
Nik - Unsplash

Cos'è la fame nervosa o emotiva?

Come abbiamo visto, il rapporto tra cibo ed emozioni è profondo. A volte, certi alimenti sembrano avere quasi un “potere magico”, quello di calmare stati d'animo difficili. Questo è il cuore della fame emotiva, o fame nervosa: un meccanismo che si attiva quando si vivono emozioni intense e destabilizzanti, come tristezza, rabbia o noia, senza riuscire a gestirle o a dar loro un nome.

L'angoscia che può derivarne spinge a cercare conforto nel cibo, un modo per silenziare un'emotività che si percepisce come ingestibile. Si innesca così un atto compulsivo di mangiare, un tentativo di alleviare l'ansia e la confusione interiore, che spesso si traduce nel pensiero: “sento ansia allo stomaco e mangio anche se non ho fame”.

Inizialmente, la fame compulsiva può apparire come una strategia di auto-cura, una soluzione che offre un sollievo immediato. Tuttavia, questa liberazione è solo momentanea. Ben presto, quello che sembrava un rimedio si trasforma in una gabbia, un circolo vizioso che può generare ulteriore sofferenza.

Fame fisica vs. fame emotiva: come distinguerle

A volte può essere difficile capire se lo stimolo a mangiare nasca da un bisogno fisico o da un impulso emotivo. Entrambi possono sembrare urgenti. Eppure, ci sono segnali precisi che possono aiutarti a distinguere la fame fisiologica dalla fame nervosa. Prestare attenzione a queste differenze è il primo passo per riprendere il controllo.

  • Origine dello stimolo. La fame fisica nasce da un bisogno del corpo, si manifesta con segnali fisici come il classico “brontolio” dello stomaco e cresce gradualmente. La fame nervosa, invece, nasce da una frenesia mentale, è spesso legata a una sensazione di vuoto interiore e non ha segnali fisici chiari.
  • Modalità di comparsa. La fame fisica è paziente, può aspettare. La fame emotiva è un impulso irrefrenabile che esplode all'improvviso e pretende una soddisfazione immediata, indipendentemente da quando si è mangiato l'ultima volta.
  • Tipo di cibo desiderato. Quando si ha fame fisica, si è aperti a diverse opzioni. La fame emotiva, al contrario, è selettiva: si desiderano cibi specifici, spesso dolci o grassi (i cosiddetti *comfort food*), che possano alleviare immediatamente il disagio.
  • Senso di sazietà. Con la fame fisica, ci si ferma una volta sazi. Con la fame compulsiva, si tende a mangiare anche oltre il livello di sazietà, nel tentativo di colmare un vuoto che non è fisico, ma emotivo (un meccanismo presente anche in condizioni come il binge eating disorder o la bulimia nervosa).
  • Emozioni successive. Dopo aver soddisfatto la fame fisica, si prova appagamento. Dopo un episodio di fame emotiva, invece, è comune che subentrino senso di colpa, disgusto e vergogna.

Quali sono i sintomi della fame nervosa?

Riconoscere i sintomi della fame nervosa è fondamentale per prendere consapevolezza del proprio comportamento. Spesso, chi vive episodi di fame emotiva fatica a identificare le proprie emozioni e usa il cibo come risposta a una confusione interiore. Ecco alcuni segnali e comportamenti che possono indicare la presenza di questo meccanismo:

  1. Bisogno impellente e specifico (craving): non è una fame generica, ma un desiderio intenso e quasi irrefrenabile per un cibo specifico. Questa sensazione, definita craving, è così potente da assomigliare a un bisogno impulsivo e coatto, che può portare a gesti estremi pur di essere soddisfatto.
  2. Velocità e voracità: durante un episodio di fame emotiva, si tende a mangiare molto velocemente, quasi senza assaporare. L'obiettivo non è gustare, ma riempire un vuoto, il che porta a consumare il cibo in modo febbrile.
  3. Sollievo temporaneo seguito da colpa: inizialmente, mangiare può dare una sensazione di euforia e sollievo. Tuttavia, questa piacevolezza è effimera e lascia rapidamente spazio a disgusto, senso di colpa e vergogna per aver perso il controllo.
  4. Mangiare in modo automatico: spesso si mangia senza esserne pienamente consapevoli, come in uno stato di trance. Ci si sente quasi disconnessi dal proprio corpo e dalle proprie azioni, mangiando in modo meccanico.
  5. Ricerca della solitudine: chi vive la fame emotiva tende a farlo di nascosto, in solitudine, per evitare il giudizio altrui. Questo comportamento, simile a quello che si osserva in alcune forme di dipendenza patologica, può trasformarsi in un vero e proprio rituale segreto.
  6. Incapacità di fermarsi: anche quando il corpo è fisicamente sazio, l'impulso a continuare a mangiare è fortissimo. Il cibo è percepito come irresistibile e diventa difficile, se non impossibile, interrompere l'episodio.

Perché quando sono triste mangio?

Spesso, chi ricorre al cibo per gestire le emozioni ha difficoltà a riconoscere o esprimere ciò che prova. In questi momenti, il cibo sembra offrire una tregua, un sollievo temporaneo dal dolore. Diventa un modo per sostituire la sofferenza con un piacere immediato, anche se illusorio. L'effetto, però, è fugace: una volta svanito, l'angoscia da cui si cercava di fuggire può ripresentarsi, a volte anche più forte di prima.

Così, la fatica a elaborare i propri vissuti emotivi porta la persona in uno sconforto senza pari: per porre fine velocemente al dolore si ricorre alla sostanza-cibo per avere tregua, sollievo.

Come abbiamo visto, il sollievo è solo momentaneo. Subito dopo, infatti, possono emergere sentimenti potenti e dolorosi come la colpa e la vergogna, che non fanno altro che alimentare il circolo vizioso: dolore, abbuffata, piacere temporaneo, e di nuovo dolore.

La disregolazione emotiva può portare quindi a cercare di auto-curarsi innescando una vera e propria dipendenza dal cibo.

fame nervosa psicologia
Malte Helmhold - Unsplash

Le cause della fame nervosa

Facciamo un passo indietro. Perché alcuni di noi sentono il bisogno di “ingoiare” le proprie emozioni?

Le radici della fame nervosa possono essere profonde e risalire all'infanzia. Lo psichiatra Alexander Lowen, nel suo libro Il linguaggio del corpo, suggerisce che a volte, da bambini, ci si può trovare di fronte a una scelta difficile: sentire ciò che si sente o compiacere le aspettative familiari.

Lo sforzo di reprimere le proprie emozioni per essere \"buoni\" o per non deludere può portare a sostituire i propri sentimenti con quelli che gli altri si aspettano. Questo meccanismo, se protratto nel tempo, può insegnare a negare le proprie emozioni e sensazioni più autentiche.

In questo contesto, sia nei disturbi del comportamento alimentare che nella fame emotiva, può accadere che il dolore non espresso venga metaforicamente \"ingoiato\". Si attiva così una coazione a ripetere, un meccanismo in cui il cibo diventa uno strumento per controllare e sedare l'angoscia interiore.

Tutto allora ruota attorno al cibo e l’atto alimentare: si può controllare il proprio peso, la preparazione dei pasti, le calorie ingerite, programmare le abbuffate, le condotte di eliminazione/riparazione ecc.

Il mangiare catalizza l’attenzione dell’individuo, sedando i sentimenti più dolorosi e profondi, cercando di anestetizzarli.

Le conseguenze psicologiche della fame emotiva

Ricorrere al cibo per non sentire anestetizza le emozioni, creando una distanza da noi stessi e dal nostro corpo. Come sottolinea Lowen, \"la volontà è in antitesi con il piacere\".

Quando si usa la forza di volontà per controllare e reprimere i propri bisogni, il corpo entra in uno stato di allerta costante. Se l'obiettivo diventa il controllo di sé a ogni costo, il risultato è spesso la negazione del piacere, un elemento centrale in molte difficoltà legate all'alimentazione, inclusi i disturbi alimentari.

Le persone che si rifugiano nel cibo come dipendenza presentano una ridotta vitalità: l’ossessione per il cibo risucchia letteralmente tutti i pensieri e le sensazioni, coprendo il dolore sottostante e tenendo in catene la persona.

La vera prigione diventa la dipendenza dal cibo stesso: il pensiero ossessivo su cosa e quando mangiare, il controllo costante e la compulsione ad abbuffarsi possono assorbire tutte le energie mentali, tenendo in ostaggio la vitalità della persona.

Questo meccanismo, a lungo andare, può spegnere la vitalità del corpo e erodere il senso di sé. Non è raro che le persone che si trovano in questa situazione sentano di aver perso il contatto con il piacere e la gioia di vivere, prigioniere di un comportamento che mira a sedare il dolore, la rabbia o la disperazione.

Tuttavia, quanto più reprimiamo e neghiamo il dolore e la rabbia, tanto più riduciamo anche la portata della nostra gioia e piacere. Il cibo, quindi, diventa una dipendenza che tiene in ostaggio tutta la vita della persona, che si sente sempre più sola, spaventata e prigioniera.

Come combattere la fame nervosa?

Se ti stai chiedendo cosa fare per la fame nervosa e come imparare a gestirla, è importante sapere che non sei solo e che esistono percorsi efficaci. Intraprendere un percorso di supporto psicologico può essere un passo fondamentale per combattere la fame nervosa e smettere di sfogarsi sul cibo.

Con l'aiuto di un professionista, è possibile imparare a dare nuovamente voce alle proprie emozioni e iniziare a prendersi cura di quelle ferite interiori che possono alimentare questo comportamento, come la paura della solitudine, il bisogno di riconoscimento o la difficoltà a tollerare l'angoscia.

L’individuo adulto può tornare a rapportarsi con queste terribili angosce in un contesto sicuro come il setting terapeutico. Si può raggiungere quel bambino ferito dietro la maschera del sintomo e gradualmente abbandonare le illusioni di controllo date dalla fame emotiva.

Un approccio possibile: la terapia bioenergetica

Tra i diversi approcci psicoterapeutici, la terapia bioenergetica può essere utile per chi affronta la fame emotiva. Questo approccio, che integra il lavoro sul corpo, aiuta a favorire una maggiore espressione dei sentimenti, riducendo così il bisogno di ricorrere al mangiare compulsivo.

Se consideriamo la storia di vita della persona, la negazione del proprio dolore attraverso la fame emotiva l’ha aiutata a sopravvivere: le sue difese possono perciò essere ringraziate e ammirate. Tuttavia la loro morsa, la loro presa diventa eccessiva in età adulta.

La psicoterapia bioenergetica, lavorando sul corpo, permette di “ammorbidire” quelle difese che un tempo sono state vitali ma che ora sono disfunzionali e limitano nella ricerca del proprio piacere e benessere.

Si può, quindi, riconoscere che la minaccia del passato è sparita o diminuita, e che nel presente si hanno nuove potenzialità per far fronte a quelle angosce. Le proprie difese possono essere ammorbidite e si può accedere nuovamente al piacere, tornando a provare compassione per sé stessi e per le parti di sé più fragili e ferite.

Si può quindi sostituire la tendenza a punirsi e a giudicarsi con una maggiore comprensione e rispetto di sé e delle proprie aree buie, ripristinando la capacità di espressione e gestione dei contenuti emotivi.

“Attraverso la consapevolezza possiamo recuperare il coraggio di abbassare il ponte levatoio, uscire, vivere e godere della vita, sostenuti dalla nostra autenticità”. C. Aruta

Fame nervosa: a chi rivolgersi?

Come abbiamo visto, un percorso psicologico, che può essere svolto anche con uno psicologo online,  può essere decisivo per il benessere fisico ma anche per la salute mentale della persona che sta affrontando lo stress eating.

L’obiettivo di una terapia è quello di tornare ad accedere al piacere, anche dell’atto nutritivo. Mangiare può tornare a essere qualcosa che riempie e nutre, qualcosa a cui approcciarsi con appetito e non con avidità e compulsione.

Fame nervosa: rimedi

Un terapeuta esperto può accompagnare la persona nella scoperta delle strategie più adatte a lei per gestire la fame emotiva e trovare dei rimedi efficaci. Durante il percorso, ad esempio, può essere utile lavorare su:

  • uso del diario emozionale, uno strumento prezioso per imparare a riconoscere le emozioni che scatenano la ricerca di cibo;
  • svolgimento di esercizi di mindfulness per l’ansia, per imparare a gestire lo stress e gli impulsi;
  • pratica della *mindful eating*, per promuovere un'alimentazione consapevole, libera dalla conta delle calorie e da diete restrittive.

Nei casi in cui sia necessario e sotto stretto controllo medico, nel trattamento della fame nervosa potranno essere inclusi anche rimedi farmacologici.

combattere la fame emotiva
Alicia Christin Gerald Unsplash

Essere affamati di vita

L'obiettivo di un percorso sulla fame nervosa non è semplicemente smettere di mangiare in modo emotivo, ma riscoprire il significato più profondo del nutrimento. Mangiare perché si ha fame o desiderio è un atto che va oltre la biologia.

Significa recuperare la fame per la vita, tornare a essere in contatto con i propri bisogni e trovare il coraggio di manifestare le nostre emozioni e esprimere i nostri sentimenti, senza più sentire la necessità di soffocarli con il cibo.

“Gli uomini pensano di risolvere tutto con la mente invece di ‘sentire’. Ma il sentire non ha a che fare con l’intelligenza o con la forza. Solo lavorando su di sé, sul proprio corpo – grazie al quale l’uomo ‘sente’ – l’uomo può curarsi e aspirare, come è sacrosanto, a una vita sana, libera, felice. Ed essere in grado di amare veramente”. Alexander Lowen

Bibliografia
Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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