C'è un filo teso tra dentro e fuori, tra ciò che si sente e ciò che si dice. Spesso si vive come se ciò che accade nella mente fosse cosa privata, da ripiegare in tasca come un fazzoletto stropicciato. Ma la mente, nella sua ecologia complessa, è il primo territorio che abitiamo. Per questo maggio, mese della consapevolezza sulla salute mentale, ci invita a tornare lì, tra le fratture e le fioriture di un discorso pubblico ancora incompiuto.
L'indagine MINDex 2025 esplora questa soglia: quella tra la percezione e la realtà, tra il disagio e l'ascolto, tra il bisogno e la risposta, tra i dubbi e le domande che aprono nuove possibilità.
I dati raccolti su un campione rappresentativo di 2.250 italiani tra i 18 e i 50 anni compongono un paesaggio articolato fatto di stigma, ostacoli, ma anche di apertura e desiderio di cura. Perché se è vero che l'81% considera ancora la salute mentale come una debolezza, è altrettanto vero che oltre il 90% ha sperimentato, almeno una volta, un disagio psicologico. Questa è la soglia: il momento in cui il privato si fa collettivo, e ci interroga tutti e tutte.
Risultati principali:
- L’81% degli italiani considera ancora i problemi di salute mentale come una forma di debolezza.
- Oltre il 90% delle persone sotto i 50 anni dichiara di aver affrontato problemi di salute mentale almeno una volta.
- Il 46% riferisce un impatto del benessere mentale sulle relazioni personali, seguito da autostima e crescita personale (40%), salute fisica (38%) e carriera o lavoro (37%).
- Il 42% dei lavoratori segnala che il proprio datore di lavoro non offre alcun benefit legato alla salute mentale.
- Nonostante la terapia sia apprezzata, il costo rappresenta una barriera significativa: il 57% indica il prezzo come motivo principale per non accedervi.
Percezione sociale e narrazione della salute mentale
Non è del tutto vero che non se ne parla. Il tema della salute mentale ha rotto il silenzio, ma spesso lo fa in modo altalenante, timido. Solo il 16% degli italiani under 50 ritiene che oggi se ne parli apertamente, mentre il 28% lo considera ancora un tabù e il 50% afferma che il discorso è presente, ma vissuto con disagio. A raccontarlo sono soprattutto le donne, più scettiche rispetto a un cambiamento reale.

Lo stigma persiste: 81 persone su 100 considerano i problemi di salute mentale una forma di debolezza. Eppure, la crepa nella superficie è visibile. Un italiano su tre riconosce che questa visione sta cambiando, soprattutto tra i giovani (43% tra i 18-29enni) e gli uomini. Ma mentre gli uomini sembrano più fiduciosi, le donne riportano maggiori esperienze di svalutazione. A loro viene detto più spesso di "farsi forza", che è "tutto nella testa", o che stanno solo "facendo un dramma". Sono frasi che non solo semplificano e minimizzano, ma tolgono dignità alla complessità del sentire.

La mente è anche una questione culturale. La priorità data all'uguaglianza di genere (citata dal 45% degli intervistati) e all'accesso alla cura sanitaria suggerisce che la salute mentale, per molti, non può essere pensata senza un contesto. Non è un destino individuale, ma una condizione sistemica, sociale.
Esperienze, difficoltà e benessere quotidiano
Oltre il 90% degli italiani sotto i 50 anni ha avuto almeno una volta problemi di salute mentale. Non è un'eccezione, ma la norma. Le esperienze più frequenti riguardano stress da lavoro (35%), problemi finanziari o abitativi (29%), preoccupazioni per la salute (27%), solitudine (18%), ansia e depressione (10%). I numeri raccontano una geografia del disagio: più che picchi, si tratta di una pianura diffusa, che attraversa molte vite.

Le donne sperimentano più frequentemente ansia sociale (30%), bassa autostima (44%), sensazione di essere bloccate (28%). I giovani (18-29 anni) vivono in modo acuto il senso di disorientamento: un terzo si sente senza scopo, il 40% dice che la propria salute mentale ostacola spesso le opportunità di vita, il 26% vede compromessa la propria formazione.
La salute mentale si intreccia così a ogni aspetto dell'esistenza. Le relazioni (46%) sono le prime a soffrirne, seguite dall'autostima e dalla crescita personale (40%), dalla salute fisica (38%) e dalla carriera (37%). Non si tratta solo di stati d'animo, ma di traiettorie esistenziali accidentate. E allora si capisce che prendersi cura della psiche non è un privilegio, ma una necessità condivisa, sistemica.
Il ruolo del sostegno psicologico: alleato del benessere psicologico ancora distante
Percorsi psicologici sono sempre più considerati cruciali servizi di cura di sè: il 42% degli italiani la definisce uno strumento essenziale per il benessere emotivo, un altro 40% la ritiene utile. Ma se l'apprezzamento cresce, l'accesso resta problematico. Il costo è la barriera principale (57%), seguito dalla mancanza di tempo (32%) e dalla difficoltà a trovare il professionista giusto (29%).

Le donne e i giovani, pur essendo i più aperti all’ascolto di uno psicologo, sono anche quelli che incontrano più ostacoli economici. Un quarto dei giovani teme ancora il giudizio. Il sostegno psicologico, pur riconosciuto, non è ancora per tutti.
Dal punto di vista dei professionisti, il quadro conferma una crescente domanda: il 66% degli psicologi ha visto aumentare le richieste dopo la pandemia, e uno su tre osserva un trend costante. Cresce anche l'urgenza e la gravità dei sintomi, con molti pazienti che arrivano solo dopo aver raggiunto un punto di rottura (57%) e che faticano a esprimere cosa provano (70%).
Lo sguardo degli psicologi: pazienti più giovani, consapevoli e fragili
L'età media dei pazienti si abbassa. Sempre più giovani cercano aiuto, spesso spinti dalla fragilità emotiva, dalla pressione sociale, dall'isolamento. Il 71% degli psicologi attribuisce un ruolo chiave all’online nell'accesso alle cure. Il sostegno psicologico digitale, dunque, non è solo un adattamento, ma una svolta strutturale.
Cambiano anche le aspettative: il 72% degli psicologi riferisce che i pazienti vogliono risultati rapidi, e il 14% affronta la consulenza con uno psicologo come un ostacolo da superare più che come uno spazio di trasformazione. La consapevolezza c'è, ma è ancora intrisa di urgenza, come se la mente dovesse guarire in fretta per tornare produttiva.
La sfida, allora, non è solo clinica, ma culturale: costruire un'immagine dell’intervento psicologico come spazio ecologico, dove le emozioni non siano da "aggiustare", ma da riconoscere e da attraversare.
Salute mentale nei luoghi di lavoro
Il lavoro è il luogo dove spesso si nasconde il disagio. Il 42% dei lavoratori italiani dichiara che il proprio datore non offre alcun benefit per la salute mentale. Quando esistono, le misure più diffuse sono il lavoro flessibile (35%), i benefit terapeutici (20%) e i programmi di assistenza (14%). Tuttavia, l'accesso è diseguale: le donne e i lavoratori in presenza ricevono meno supporto.

Anche qui, il sistema è segnato dallo stigma. Il 32% dei lavoratori si trattiene dal parlare di salute mentale per timore di essere giudicato, il 12% sente di dover indossare una maschera. E mentre il 65% dei 30-39enni ha lasciato o pensato di lasciare il lavoro per stress, solo il 29% si è sentito in grado di essere onesto sulle proprie difficoltà. La cultura organizzativa, più che una cura, è ancora una fonte di pressione.
Ma la domanda di cambiamento esiste. Chi riceve supporto mentale sul lavoro ne riconosce il valore (65%) e sarebbe disposto a proseguire anche autonomamente (59%). Condizioni di lavoro che permettano di coltivare benessere psicologico non sono privilegi individuali: hanno ricadute concrete sull’ambiente lavorativo, sull’efficacia operativa e sulla qualità delle relazioni.
Conclusione
Il paesaggio che emerge è complesso, ma non immobile. Gli italiani parlano di salute mentale, la vivono, la temono, la cercano. In mezzo a stigma e silenzi, si aprono spiragli di consapevolezza, soprattutto tra le nuove generazioni. La mente non è un contenitore individuale: è relazione, contesto, linguaggio.
Serve uno sguardo che non separi più il benessere psicologico dalla struttura sociale che lo sostiene o lo nega. Curare la mente, allora, diventa un processo collettivo: è una questione di giustizia sociale, di pari opportunità, di accesso.
E come accade in ogni ecosistema, anche nella mente c'è bisogno di biodiversità: non un'unica via per stare bene, ma un insieme di condizioni che rendano possibile fiorire.