Crescita personale
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Il mio posto nel mondo

Il mio posto nel mondo
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Laura Milini
Redazione
Psicoterapeuta ad orientamento Psicoanalitico
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
7.2.2020



Questo dialogo si costruisce lungo l’intero arco della propria vita e quindi talvolta si inceppa, si impantana nei meccanismi complessi che sia il mondo interno che la realtà comportano. In fin dei conti, quando tutto ciò che facciamo e tutto ciò in cui crediamo non riescono a realizzarsi in pieno nella realtà, non riusciamo a esprimere l’intero nostro potenziale.


La crescita tra stabilità e trasformazione

Per compiere appieno noi stessi dobbiamo ripartire dalla crescita e dai necessari compiti evolutivi che questa comporta. Il giovane, come dice la psicologa Maria Teresa Aliprandi “è un soggetto in divenire” e pertanto soggetto vulnerabile, perché sottoposto a continue trasformazioni siano esse del corpo oppure di relazione. 

Ogni persona, per costruirsi secondo gli ideali di amore e libertà, ha bisogno di un contenimento adeguato che deve venire dall’ambiente. Possiamo immaginarlo come:

  • l’insieme delle relazioni che ci rispecchiano con empatia e dalle quali ci sentiamo compresi;
  • l’insieme delle condizioni ambientali che rendono possibile uno sviluppo armonico.

Inoltre, come sottolineato dallo psicoanalista Donald Winnicott, nella vita psichica abbiamo bisogno di aver fiducia, ossia di un contatto profondo con le persone che ci accudiscono e sono capaci di presentarsi come oggetti di relazione disponibili e affidabili.


L’ambiente circostante

Lo psicologo Cesare Freddi sostiene che l'uomo, per tollerare i mutamenti del suo mondo interno, del suo corpo e il flusso degli eventi, ha bisogno di un ubi consistam, di un ancoraggio, di un ambiente che lo contenga per governare la mutevolezza dei suoi stati emotivi e degli eventi esterni.

Per essere fertile, l’ambiente dovrebbe rimandare stabilità e continuità. D'altro canto, l'essenza stessa della vita è il cambiamento. Trasformazione e continuità si oppongono l'un l'altro, ma la loro dialettica e il modo in cui dialogano nell'individuo caratterizza il percorso evolutivo di ognuno di noi, influenzando la strutturazione dell'io e la personalità.

Julia M Cameron - Pexels

Perché l’ambiente è così importante e ci condiziona?

È bene fare una considerazione, soprattutto parlando di individui giovani, rispetto l’importanza di un ambiente favorevole che dovrebbe dare stabilità nel flusso della trasformazione. Cosa può succedere se questa base solida non rimanda più questo senso di stabilità e contenimento? I giovani adulti:

  • hanno già affrontato la formazione di un’identità più o meno stabile;
  • hanno vissuto i cambiamenti del corpo e spesso navigato in ambienti multipli;
  • conoscono più lingue;
  • molto spesso hanno fatto esperienze di vita autonoma;
  • hanno cercato di costruire un progetto di vita.

Spesso però si ritrovano a vivere le stesse contraddizioni e la stessa vulnerabilità degli adolescenti, soprattutto quando il costruirsi delle relazioni e la ricerca di un lavoro stabile sono disattesi.


Mentre cerchiamo il nostro posto

Il giovane adulto o l’adulto, che si confronta con la precarietà, vive un perenne stato di indefinizione e mutevolezza. In questa dimensione emotiva, la fragilità del sé e il senso di vulnerabilità riemergono.

Non è raro infatti ricevere richieste di aiuto e di consulenza da giovani adulti che si sentono smarriti, che pensano di aver perso tempo e di non aver costruito abbastanza o che, per esempio, sviluppano dei disturbi d'ansia che nascondono fattori comuni:

  • un senso di non appartenenza;
  • la sensazione di non aver raggiunto una realizzazione di sé, quasi di non essere.

Questi giovani, sebbene con una sufficientemente buona struttura dell’identità e con percorsi ricchi e articolati, fatti di esperienze di autonomia e competenze elevatissime, si ritrovano smarriti di fronte alla precarietà lavorativa che non gli permette di realizzarsi.

Vivono la frustrazione di non riuscire a costruire quei percorsi di vita su cui tanto hanno investito, si ritrovano a vivere la dipendenza dai genitori, magari dopo anni di vita fuori casa, e si interrogano sulle scelte fatte e le ripercussioni delle stesse:

  • “Cosa ho costruito?”
  • “Ne è valsa la pena?”
  • “Se non mi realizzo nemmeno con un lavoro stabile, chi sono?”
  • “Come mi costruisco?”
  • “Qual è il mio posto nel mondo?”

Se non si ha un riscontro nel mondo reale, si fa fatica a trovare il proprio posto nel mondo, capire verso che direzione orientare le energie e realizzare concretamente il proprio essere.

Ivan Samkov - Pexels

La precarietà

Questa dimensione di sofferenza è:

  • da una parte, strettamente collegata alla necessità di arrivare a conoscere il proprio vero sé, senza maschere e sotterfugi. Spesso, in questo, la psicoterapia arriva in aiuto;
  • dall’altra parte, è inevitabilmente condizionata dal confronto con l’ambiente, dalla sfera del lavoro e della sua attuale natura precaria. L’assenza di un lavoro e di un buon contratto non permette la realizzazione del proprio potenziale, inibisce la percezione della realizzazione di sé e di altri progetti di vita.

La dimensione precaria di vita richiede un superlavoro all’ancoraggio interno costruito lungo l’arco dello sviluppo e, quando questo non è sufficientemente solido, si sviluppa un disagio.


Disagio sociale

La precarietà comporta contraccolpi sociali come la denatalità, che in Italia è già un “inverno demografico”. La sofferenza da dimensione intrapsichica diventa un fenomeno sociale, che potremmo definire come “crisi sociale”, proprio per le conseguenze che ne derivano e nell’immaginario collettivo contribuisce a creare una perdita di speranza, un’assenza di energia.

Non a caso c’è un ritorno al desiderio “del posto fisso”, un desiderio di ritorno alla sicurezza. Se poi la strutturazione dell’identità e della personalità non ha avuto la possibilità di un incontro con un ambiente favorevole, stabile e continuativo, nella comprensione dei bisogni durante l’arco della crescita  si produce sofferenza.


Le conseguenze cliniche

Parlando di conseguenze cliniche, riscontriamo sempre più disturbi depressivi e d’ansia legati a questo senso di precarietà e vulnerabilità. Sono disturbi che la pandemia da Covid-19 ha acuito, sia per i suoi riflessi economici che per il confronto continuo con la morte e il senso di precarietà dell’uomo nel mondo.

La conseguenza della precarietà economica amplifica inoltre la difficoltà a costruire una vita affettiva stabile e nutriente, aspetto questo di grande importanza per una percezione di un sé che si colloca trovando il suo posto, le sue persone, la sua dimensione affettivo-relazionale.

Jackson David - Pexels

Ricercare l’armonia

Potremmo concludere che in una società precaria e poco stabile, “fluida” per dirlo alla Bauman, la costruzione del sé è dipendente quasi esclusivamente dall’ancoraggio interno, non poggiandosi sulla realizzazione esterno. Questa dimensione produce inevitabilmente vulnerabilità.

Il nostro posto nel mondo forse non è una dimensione stabile ma una ricontrattazione quotidiana alla ricerca di equilibrio, che possiamo trovare accettando i due principi focali dell’esistenza:

  • continuità;
  • trasformazione.

Istanze che devono rimanere in armonia per poter rimandare un senso di benessere all’uomo.


Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista.

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