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Crescita personale
5
minuti di lettura

La categorizzazione e gli errori di ragionamento

La categorizzazione e gli errori di ragionamento
Emanuele Murtas
Psicoterapeuta ad orientamento Sistemico-Relazionale
Redazione
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Ultimo aggiornamento il
2.12.2025
La categorizzazione e gli errori di ragionamento
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Il comportamento di categorizzazione è definito come l’atteggiamento innato nell’essere umano che permette di astrarre caratteristiche comuni ad oggetti appartenenti allo stesso insieme. Una volta astratte e sedimentate in memoria caratteristiche sufficienti, si formano schemi mentali che organizzano la realtà esterna, aiutandoci ad affrontare meglio le esperienze future. Ma come funziona la categorizzazione e in che modo influisce sulle nostre scelte?

Quando categorizziamo?

Gli schemi mentali ci permettono di riconoscere rapidamente, ad esempio, se ci troviamo davanti a un quadrato o a un’altra forma geometrica. In pochi istanti, riusciamo ad astrarre le caratteristiche salienti (come le proprietà studiate a scuola) e a riconoscere la forma anche se è ruotata, ingrandita o di un altro colore.

Questo processo avviene costantemente nella vita quotidiana e ci consente di risparmiare risorse cognitive nelle interazioni di ogni giorno, comprese quelle sociali. Se da un lato gli schemi mentali facilitano l’astrazione di certe proprietà, dall’altro ci aiutano a prevedere i nostri comportamenti o le risposte a determinati stimoli, diventando così schemi di azione o “di comportamento”.

Ad esempio, con il gruppo di amici utilizziamo schemi di comportamento diversi rispetto a quelli che adottiamo in famiglia, all’università o con persone appena conosciute. Questa varietà di schemi ci permette di avere reazioni adeguate alle molteplici situazioni in cui potremmo trovarci, adattando così il nostro comportamento.

Positivi e Negativi, gli effetti di categorizzare

Gli effetti della categorizzazione sono molteplici e non sempre positivi:

  • ci aiuta a semplificare i processi mentali;
  • ma può portarci a generalizzazioni eccessive che non rispecchiano più la realtà che abbiamo davanti.

Da queste generalizzazioni possono nascere, ad esempio, pregiudizi che talvolta sfociano in atteggiamenti razziali.

Tuttavia, la categorizzazione non è solo fonte di errori: spesso aiuta la persona a condensare i processi mentali, facilitando la vita di tutti i giorni. Queste scorciatoie di pensiero, chiamate euristiche dagli psicologi Tversky e Kahneman (1974), sono estremamente utili perché permettono di prendere decisioni in modo rapido quando si ha poco tempo a disposizione.

Polina Zimmerman - Pexels

Gli errori più comuni: falso positivo ed omissione

Parallelamente, però, la categorizzazione può anche portarci a commettere errori o bias cognitivi. Tra questi errori rientrano anche quelli di categorizzazione, come:

  • il falso positivo, ovvero l’accettazione di un’ipotesi quando in realtà è falsa, ad esempio inserire in una categoria un elemento che non ne fa parte;
  • l’omissione, cioè il mancato inserimento di un elemento nella sua reale categoria di appartenenza.

Rappresentatività: la categorizzazione più utilizzata

Una delle tipologie più conosciute e studiate di euristica è quella della rappresentatività. Si tratta della tendenza a attribuire caratteristiche simili ad oggetti o persone che appaiono simili, anche quando le informazioni disponibili suggerirebbero una valutazione diversa. Per spiegare questo tipo di euristica, Tversky e Kahneman hanno utilizzato il caso di Steve.

Il caso di Steve

In un esperimento, Steve veniva descritto come un ragazzo molto timido, incline a stare in disparte, pronto ad aiutare gli altri ma poco interessato al mondo circostante. Era definito remissivo, con un forte bisogno di ordine e una grande attenzione ai dettagli.

Ai partecipanti veniva chiesto quale fosse la probabilità che Steve svolgesse una delle seguenti occupazioni: contadino, venditore, pilota di aerei, bibliotecario o fisico. L’euristica della rappresentatività portava i soggetti a valutare Steve come più probabile bibliotecario, proprio perché la descrizione corrispondeva allo stereotipo del bibliotecario.

Le principali teorie della categorizzazione

Nel tempo, la psicologia cognitiva ha sviluppato diverse teorie per spiegare come le persone organizzano e classificano le informazioni. Queste teorie aiutano a comprendere perché tendiamo a raggruppare oggetti, persone o idee in categorie specifiche.

  • Teoria dei prototipi: Secondo questa teoria, proposta da Eleanor Rosch, le categorie mentali si basano su un "prototipo" o esempio ideale che rappresenta al meglio le caratteristiche della categoria. Gli oggetti vengono valutati in base alla loro somiglianza con questo prototipo.
  • Teoria degli esemplari: In questo modello, le categorie sono costituite da una raccolta di esempi concreti (esemplari) memorizzati nella nostra esperienza. Quando incontriamo un nuovo oggetto, lo confrontiamo con questi esemplari per decidere a quale categoria appartiene.
  • Somiglianza di famiglia: Ludwig Wittgenstein ha introdotto il concetto di "somiglianza di famiglia" per descrivere categorie i cui membri condividono una serie di caratteristiche sovrapposte, senza che nessuna sia comune a tutti. Questo spiega perché alcune categorie sono più "sfumate" e meno rigide di altre.

Queste teorie mostrano come la categorizzazione sia un processo flessibile e adattivo, che ci permette di affrontare la complessità del mondo in modo efficiente. Evidenze neuroscientifiche indicano inoltre che esistono differenze neurologiche tra la categorizzazione basata su regole e quella basata su somiglianza: la prima coinvolge principalmente le regioni frontali del cervello, mentre la seconda si affida maggiormente alle aree posteriori (Smith et al., 1998).

Foto di Eylül Kuşdili - Pexels

Euristiche e bias cognitivi: come la mente può semplificare (e distorcere) la realtà

Le euristiche sono scorciatoie mentali che ci aiutano a prendere decisioni rapide, ma possono anche portarci a errori sistematici, noti come bias cognitivi. Daniel Kahneman e Amos Tversky hanno identificato numerosi bias che influenzano il nostro modo di categorizzare e giudicare.

  • Bias di conferma: Tendiamo a cercare e interpretare le informazioni in modo da confermare le nostre convinzioni preesistenti, ignorando dati contrari. Questo meccanismo può rafforzare stereotipi e pregiudizi.
  • Effetto alone: Una caratteristica positiva o negativa di una persona o di un gruppo influenza la nostra percezione complessiva, portandoci a giudizi poco oggettivi.
  • Bias dell'ancoraggio: Le prime informazioni ricevute su un argomento influenzano in modo sproporzionato le valutazioni successive, anche se non sono rilevanti.

Questi bias sono stati osservati in numerosi esperimenti psicologici e possono avere un impatto significativo sulle decisioni quotidiane, dalle scelte di consumo alle opinioni politiche.

Casi clinici e neuropsicologici: quando la categorizzazione può alterarsi

La capacità di categorizzare può essere compromessa da alcune condizioni neurologiche. Studi clinici hanno mostrato come lesioni cerebrali o patologie neurodegenerative possano influenzare la formazione e l'uso delle categorie mentali.

Un caso noto è quello descritto da Elizabeth Warrington e Tim Shallice, che hanno osservato pazienti con danni al lobo temporale incapaci di riconoscere oggetti appartenenti a determinate categorie, pur mantenendo intatte altre capacità cognitive. Questo fenomeno, chiamato agnosia semantica, evidenzia come la categorizzazione sia radicata in specifiche aree cerebrali.

Questi casi clinici aiutano a comprendere quanto la categorizzazione sia un processo complesso e fondamentale per l'adattamento alla realtà.

Categorizzazione e orientamento politico: come le categorie possono influenzare le scelte sociali

La categorizzazione non riguarda solo oggetti o concetti astratti, ma si estende anche alle persone e ai gruppi sociali. La capacità umana di formare categorie sociali utili è presente già nell'infanzia e guida le inferenze sui tratti condivisi e le relazioni sociali degli altri (Liberman et al., 2017). Questo processo può influenzare profondamente l’orientamento politico e le opinioni su temi sociali.

Secondo uno studio pubblicato su "Nature Human Behaviour" nel 2018, le persone tendono a percepire i membri del proprio gruppo politico come più simili tra loro e diversi dagli appartenenti ad altri gruppi, anche quando le differenze reali sono minime. Questo fenomeno, noto come polarizzazione di gruppo, può rafforzare divisioni e conflitti sociali.

Comprendere come la categorizzazione agisca sulle nostre scelte politiche può essere utile per riconoscere i meccanismi alla base di stereotipi e discriminazioni, promuovendo una maggiore consapevolezza e apertura verso la diversità. Inoltre, è importante considerare che i disturbi ansioso-depressivi sono associati a condizioni di svantaggio sociale ed economico, raddoppiando tra gli adulti con basso livello di istruzione e triplicando tra gli anziani ("Report Salute mentale...", 2018), sottolineando così come le dinamiche sociali e culturali influenzino profondamente il benessere individuale e collettivo.

Comprendere i nostri schemi per vivere meglio: puoi iniziare un percorso di sostegno psicologico con Unobravo

Riconoscere come la categorizzazione influenzi i nostri pensieri, le relazioni e persino le scelte politiche può rappresentare un primo passo fondamentale verso una maggiore consapevolezza di sé e degli altri. Spesso, senza rendercene conto, i nostri schemi mentali possono limitarci o portarci a giudizi affrettati. Un percorso psicologico può aiutarti a esplorare questi meccanismi, a lavorare su eventuali pregiudizi e a favorire una visione più aperta e serena della realtà.

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