Il consenso informato nelle prestazioni psicologiche

Il consenso informato nelle prestazioni psicologiche
logo-unobravo
Angelo Capasso
Redazione
Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
13.2.2024
Se ti è piaciuto, condividilo:

Il 31 gennaio 2018 è entrata in vigore la legge n. 219 del 2017 contenente “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”. Tra i vari punti toccati, questa legge disciplina le modalità di espressione e di revoca del consenso informato, le informazioni utili riguardo la prestazione e l’uso dei dati personali, così che la persona assistita abbia gli strumenti opportuni per scegliere liberamente se procedere o meno con il trattamento.


Dal momento che gli psicologi e gli psicoterapeuti forniscono prestazioni sanitarie, anche loro sono tenuti ad avere il consenso informato dai propri pazienti prima di erogare qualsiasi attività di sostegno, prevenzione, diagnosi, osservazione e psicoterapia.


In questo articolo scopriremo di più sul consenso informato e su come la recente riforma del Codice Deontologico abbia integrato le norme in vigore.


Che cos'è il consenso informato e a cosa serve


Il consenso informato è un atto giuridico attraverso il quale il paziente, dopo essere stato aggiornato in maniera chiara e comprensibile sulle proprie condizioni di salute, sulle caratteristiche del trattamento proposto dal professionista, sui rischi e sulle possibili alternative, sceglie se rifiutare o accettare, in tutto o parzialmente, il trattamento.


Il consenso informato deve essere accettato da tutti coloro che decidono di sottoporsi a un trattamento sanitario o da coloro che hanno la tutela o la responsabilità genitoriale sul paziente.


Entrando nel merito di una riflessione più compiuta sul consenso informato, è necessario tenere in considerazione alcuni aspetti bio-etici della cura. Frontiere delicate e complesse, da nuovi e diversi punti di vista, hanno richiesto una responsabilizzazione sempre più stringente nel merito e sempre più distribuita e condivisa riguardo le scelte curative.


L’art. 32 della Costituzione accredita le scelte curative al paziente, al netto di una serie di sottordini ed eccezioni. Per poter decidere, il paziente deve per forza possedere tutti gli elementi cognitivi che lo mettano nella condizione di poterlo fare, deve cioè poter esprimere un consenso correttamente e compiutamente informato.


Si è arrivati così a normare il consenso informato in ambito sanitario (vedi, da ultimo, Legge n.219/17) e regolamentare sempre meglio, nel corso degli anni, questo importantissimo istituto giuridico codificandone i requisiti, i termini formali e la modulistica.


Prima ancora dell’art. 32 della Costituzione, che dedica particolare attenzione al trattamento sanitario, l’art. 2 “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Tra questi diritti, e corrispondenti obblighi, viene annoverato anche il rispetto della vita privata e familiare, come nell’art. 8 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.


Non compiere interferenze illegittime nella vita altrui costituisce quindi un dovere fondamentale.


La prima ipotesi di legittimità di tale interferenza è il consenso dell’avente diritto, che non ha valore se la persona che lo presta non sa con chi ha a che fare e cosa sta accettando. Per questo, il consenso informato in ambito psicologico è diventato nel tempo sempre più importante e utile. Oltretutto, è stato meglio articolato e definito anche alle luce di nuove normative che nel frattempo sono intervenute su altri aspetti, come quella sull’obbligo di preventivo e il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR).


Nel Codice Deontologico delle Psicologhe e degli Psicologi italiani è l’art. 24 a normare il consenso informato. Questo articolo, che è stato oggetto di sostanziale revisione nel 2023, si colloca dentro un quadro normativo già assodato. La dimensione giuridica, in questo caso, è molto più pregnante di quella deontologica.


Cosa deve contenere il consenso informato


Il personale sanitario deve trasmettere all’utenza una serie di informazioni fondamentali, in una modalità comprensibile, adeguata e proporzionata alla sua condizione.


Una modulistica idonea all’acquisizione del consenso informato e alla presa in carico psicologica-psicoterapeutica dovrebbe contenere:


  • l’identificazione precisa del professionista che presterà la propria attività
  • la descrizione della prestazione e il soddisfacimento di tutti i requisiti normativamente previsti
  • una sezione riferita allo specifico modello clinico e agli aspetti organizzativi del setting, eredità del “vecchio” contratto terapeutico
  • una sezione contenente in forma sintetica, ma chiara, riferimenti precisi alle nuove norme europee sulla privacy e sull’obbligo di preventivo
  • un espresso richiamo al Codice Deontologico delle Psicologhe e degli Psicologi italiani, con particolare riguardo al Capo II - Rapporti con l’utenza e la committenza.


Per quanto tutto questo “normativismo” possa sembrare eccessivo, è evidente che i livelli di esposizione di una relazione professionale tra psicologo e paziente e l’intangibilità di molti suoi termini (come la parola, le emozioni, i sentimenti…) richiedono un surplus di tutela formale in premessa alla presa in carico. Questo consente allo psicologo di procedere in modo più pratico in ogni successivo processo professionale, psicologico e terapeutico.


La “forma” protegge e tranquillizza il “processo”: per questo, anche se l’acquisizione del consenso informato è una minima parte dell'iter, è importante che avvenga sempre prima dell’inizio del trattamento. Ogni aspetto formale non chiarito, definito o concordato all’inizio, torna poi - in forma di equivoco o impropria elaborazione - a tendere, distrarre, disturbare la relazione professionale e il processo terapeutico.


Consenso informato e riforma del Codice Deontologico: l'art. 24


La revisione dell’art. 24 del Codice Deontologico prende in carico finalmente, con troppi anni di ritardo, la Legge n. 219/17 che riferisce il consenso informato ai trattamenti sanitari e non a tutte le prestazioni sanitarie. Il nuovo Codice ha assunto la stessa modulazione negli articoli precettivi 24 e 31. Non ha lasciato però scoperte di consenso le altre prestazioni: l’articolo di principio generale n. 4 regola le informazioni da fornire e il consenso da acquisire sulla base delle caratteristiche delle diverse prestazioni non rientranti tra i trattamenti sanitari.


L’adozione dei trattamenti sanitari agli artt. 24 e 31 costituiva il passaggio revisionale più importante ed atteso dalla comunità professionale. Prendiamo, per esempio, un contesto complesso come quello scolastico: le modalità di acquisizione del consenso informato su grandi numeri, anche a fronte di prestazioni molto diverse tra di loro, oberava e attanagliava in una misura oggettivamente insostenibile l’esercizio professionale dello psicologo.


Il primo comma


Nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.


Con la revisione dell’art. 24, il primo comma non fa più alcun riferimento alla fase iniziale del rapporto professionale, poiché tale dicitura introduceva complessità inestricabili.


Ricevere un nuovo paziente fin da subito con un armamentario formale può essere un po’ irritante e ostruttivo rispetto a un accogliente e termico primo scambio, al conoscersi ed eventualmente scegliersi attorno alla domanda e alla focalizzazione del mandato. Tuttavia, la relazione è delicata e può mediare aspetti importanti già dal primo contatto dottore-paziente: si ritiene quindi incauto non “coprire” da subito con il consenso informato anche questo primo accesso relazionale.


Sta al professionista alleviare l’impatto potenzialmente irritante dei termini formali, ponendo inizialmente l’accento soprattutto sugli aspetti più “belli” e sostanziali del consenso informato. In un primo incontro può privilegiare formulazioni formalmente più leggere rispetto a quelle strutturate e circostanziate di una “presa in carico” ufficiale che avviene quando, focalizzato e concordato il tipo di intervento, si è nelle condizioni di poterne specificare i termini. È opportuno quindi che nessun passaggio sia mai “fuori range”, cioè scoperto di consenso.


Il consenso informato nutre infatti l’adesione e la partecipazione a “quello che si farà” e chiarisce il setting. In questo modo può contribuire:


  • all’efficacia dell’intervento grazie ai suoi termini più sostanziali 
  • alla tranquillità e alla sicurezza dello psicologo, sia dal punto di vista formale, sia perché non vedrà “disturbato” il setting da equivoci e malintesi dovuti ai mancati chiarimenti pregiudiziali.


Il secondo comma


L’acquisizione del consenso informato è un atto di specifica ed esclusiva responsabilità della psicologa e dello psicologo.


È importante che lo psicologo “senta” il consenso informato e sia consapevole della sua logica, andando ben oltre le sue misure formali. Il consenso informato dovrebbe essere infatti un mediatore di chiarezza ai fini di una piena adesione fiduciaria, di una partecipazione coerente e consapevole al lavoro comune.


È anch’esso un processo che innerva in maniera sostanziale quello professionale, psicologico e terapeutico. È anche un presidio di garanzia indispensabile in un contesto istituito attorno a termini non tangibili, quindi sempre a rischio di ambiguità e malintesi, ma anche di strumentalità e opacità.


In uno Stato di diritto non possono esistere zone franche rispetto all’intelligibilità delle esperienze scelte: tutto deve essere spiegabile, comprensibile e “vagliabile” sotto il profilo giuridico. Il consenso informato è l’architrave su cui poggia la compiuta realizzazione di questi assiomi concettuali.


Il terzo comma


Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni al contesto e alle condizioni della persona, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazione o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare.


La nuova formulazione dell’art. 24 del Codice assume dalla Legge 219/17 non solo i trattamenti sanitari, ma anche alcune modalità più flessibili e meno attanaglianti per l’acquisizione della documentazione del consenso. I modi e gli strumenti per la raccolta non sono rigidi né univoci, bensì consoni al contesto e alle condizioni della persona. Questo significa che molte difficoltà di adesione alla forma non possono essere più evocate come ostruttive o impeditive dell’intervento professionale.


Anche se la prassi sembra aver convinto che il consenso informato debba essere accolto obbligatoriamente in forma scritta, l’art. 24 specifica anche la possibilità della videoregistrazione. Nel caso di persone con disabilità, possono essere usati dispositivi che consentano loro di comunicare. 


Il quarto comma


La psicologa e lo psicologo informano la persona interessata in modo comprensibile, completo, e aggiornato sulla finalità e sulla modalità del trattamento sanitario, sull’eventuale diagnosi e prognosi, sui benefici sugli eventuali rischi, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario.


La revisione ha superato ogni riferimento all’indicazione della “prevedibile durata” poiché, soprattutto in ambito clinico, costituisce una complessità inestricabile: non è possibile prevedere la risposta del paziente agli inneschi terapeutici, né prevedere quale passo ulteriore potrà conseguire al passo successivo.


Esiste un progetto terapeutico di massima, ma è impossibile prevedere l'andamento di ogni singolo paziente, caratterizzato da difese e resistenze soggettive che determineranno i tempi e i modi di ogni singola terapia.


Una valutazione dei tempi può essere empiricamente riferita, solo in linea di massima, alle pregresse esperienze del terapeuta e a una misura di funzionalità avvertita nel lavoro con quel dato paziente. Ma la durata prevedibile resta in un intervallo sempre piuttosto ampio e molto probabilistico.


Ciò non toglie che possa essere comunque indicata, ma solo in un’ottica di processo e con una formulazione che consenta di contemperare tra loro esigenze operative concrete e rispetto sostanziale dei principi formali sottesi alle norme vigenti.


Inoltre, la “prevedibile durata" è stata introdotta anche in altre norme recenti, come per esempio quella sull’obbligo di preventivo scritto: un motivo in più per non attribuirle anche una ridondante misura deontologica, viste tutte le difficoltà sopra descritte.


L'importanza dell'adattamento del Codice Deontologico


La revisione dell’art. 24 può considerarsi forse il più significativo e importante “passo avanti” del Codice Deontologico nell'adeguarsi alle norme vigenti e nel far proprie le diverse prassi nell'acquisizione del consenso informato, a seconda che si tratti di prestazioni o trattamenti sanitari.


Prossimamente approfondiremo in un articolo dedicato anche il tema del consenso informato per trattamenti sanitari a minori e incapaci: analizzeremo nel dettaglio l’art. 31 del Codice, oggetto anch’esso di importanti modifiche nella revisione del 2023.

Bibliografia
Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

Potrebbero interessarti

No items found.
scopri tutti gli articoli