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Espatrio e vita all’estero
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Migrazione e integrazione: tra modelli collettivi e sfide individuali

Migrazione e integrazione: tra modelli collettivi e sfide individuali
Elisa Daniel
Psicoterapeuta ad orientamento Etno-Sistemico-Narrativo
Redazione
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Ultimo aggiornamento il
2.12.2025
Migrazione e integrazione: tra modelli collettivi e sfide individuali
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Nel corso degli ultimi decenni, la crescente intensità dei fenomeni migratori e la conseguente creolizzazione delle società moderne sono diventate tematiche sempre più discusse e al centro dell’attenzione mediatica, sociale e politica. Uno degli aspetti che solleva numerose riflessioni in diversi ambiti disciplinari, e che rappresenta una delle implicazioni più rilevanti della migrazione, è l’integrazione.

Per le scienze sociali, l’integrazione fa riferimento all’insieme di processi sociali e culturali che favoriscono la partecipazione e il senso di appartenenza di una persona all’interno di una società. Partendo da questa definizione, possiamo individuare due componenti fondamentali che giocano un ruolo chiave nella riuscita di questo percorso dinamico:

  • la persona che approda in una nuova realtà;
  • la società che la accoglie.

In questo senso, l’integrazione viene letta come un rapporto che può essere agevolato o ostacolato, a seconda delle risorse e delle strategie che entrambe le parti mettono in atto in questo incontro.

I modelli di integrazione

Per affrontare le problematiche legate all’integrazione, le società di accoglienza si sono dotate di costrutti teorici in continua evoluzione, chiamati modelli di integrazione:

  • l’assimilazione, cioè l’adesione progressiva al modello culturale dominante della società di accoglienza;
  • il multiculturalismo, ovvero il riconoscimento dei diritti della persona e delle caratteristiche proprie della sua cultura di appartenenza e di provenienza.
  • l’interculturalismo, in cui le persone mantengono la propria cultura e partecipano alla società di arrivo.

Ognuno di questi modelli, sperimentato da anni, presenta sia caratteristiche funzionali e positive sia aspetti restrittivi e limitanti. A questo proposito, Waldenfels, esponente della fenomenologia tedesca, riflette sul complesso rapporto tra le società e le persone considerate “straniere” che le abitano:

“Il modo in cui epoche e culture si distinguono tra loro è dato da come esse trattano l’estraneo, da come gli concedono accesso o lo respingono, da come lo inglobano, oppure lo lasciano fare, dal fatto che si reagisce ad esso con curiosità o sufficienza”.

Altri modelli di integrazione: funzionalista e mediterraneo

Oltre ai modelli di assimilazione, multiculturalismo e interculturalismo, la letteratura sociologica e antropologica ha individuato ulteriori approcci all'integrazione, tra cui il modello funzionalista e il modello mediterraneo.

  • Modello funzionalista: Questo modello, sviluppato nell'ambito della sociologia statunitense, considera l'integrazione come un processo graduale in cui le persone migranti acquisiscono progressivamente le competenze e i valori necessari per partecipare attivamente alla società di accoglienza. L'obiettivo è l'inclusione sociale attraverso l'accesso a lavoro, istruzione e reti sociali, senza richiedere necessariamente l'abbandono delle proprie radici culturali. Tuttavia, il rischio è che si creino aspettative di "normalizzazione" che possono mettere pressione sui nuovi arrivati.
  • Modello mediterraneo: Diffuso in diversi Paesi dell'Europa meridionale, questo modello si caratterizza per una gestione spesso pragmatica e flessibile dell'integrazione, con una forte enfasi sulle reti familiari e comunitarie. L'integrazione avviene spesso attraverso il lavoro informale e la solidarietà tra connazionali, ma può essere ostacolata da una minore strutturazione delle politiche pubbliche e da una limitata tutela dei diritti delle persone migranti.

Questi modelli si differenziano sia per le strategie adottate sia per i risultati ottenuti, offrendo spunti utili per comprendere la complessità dei percorsi di integrazione nelle diverse realtà sociali.

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Applicazioni pratiche dei modelli: alcuni esempi nazionali

L'applicazione dei modelli di integrazione può variare notevolmente da Paese a Paese, influenzando sia le politiche pubbliche sia le esperienze individuali delle persone migranti.

  • Francia e modello assimilazionista: In Francia, il modello assimilazionista ha guidato per decenni le politiche migratorie, puntando sull'uniformità culturale e linguistica. Questo approccio può avere favorito l'accesso ai diritti civili, ma ha anche generato tensioni legate alla percezione di perdita delle identità originarie e a fenomeni di esclusione sociale, come evidenziato da diversi episodi di protesta nelle banlieue (come analizzato dalla sociologa Catherine Wihtol de Wenden).
  • Svezia e modello multiculturalista: La Svezia ha adottato un modello multiculturalista, riconoscendo e valorizzando le differenze culturali. Questo ha portato a una maggiore rappresentanza delle minoranze e a politiche di sostegno all'inclusione, ma anche a sfide legate alla coesione sociale e alla formazione di comunità parallele (come discusso dal politologo Bo Petersson).

Questi esempi mostrano come la scelta di un modello di integrazione possa avere effetti concreti sulla vita quotidiana delle persone migranti e sulla società nel suo complesso.

Punti di forza e limiti dei principali modelli di integrazione

Ogni modello di integrazione presenta vantaggi e criticità, che emergono sia a livello individuale sia collettivo.

  • Assimilazione: Il principale pregio è la promozione di una coesione sociale basata su valori condivisi, facilitando l'accesso ai diritti civili. Tuttavia, può comportare la perdita delle identità culturali originarie e generare sentimenti di esclusione tra chi fatica ad adattarsi completamente.
  • Multiculturalismo: Favorisce il riconoscimento delle diversità e la tutela delle minoranze, promuovendo una società più inclusiva. Il limite principale è il rischio di frammentazione sociale e la possibile formazione di "comunità chiuse" che interagiscono poco tra loro.
  • Funzionalista: Offre un percorso graduale di integrazione, valorizzando le competenze delle persone migranti. Tuttavia, può risultare poco sensibile alle difficoltà emotive e identitarie che accompagnano il processo migratorio.
  • Mediterraneo: Si basa su reti di solidarietà e adattamento pragmatico, facilitando l'inserimento lavorativo. Il limite è la mancanza di politiche strutturate, che può lasciare le persone migranti in condizioni di vulnerabilità e precarietà.

Questa visione comparativa aiuta a comprendere che non esiste un modello "perfetto", ma che ogni approccio va valutato in relazione al contesto sociale e alle esigenze delle persone coinvolte. Nessun singolo modello di integrazione è infatti sufficiente: l’integrazione rappresenta un processo dinamico che richiede una trasformazione profonda della società in tutte le sue dimensioni (Hayali, 2015).

Criteri di confronto tra i modelli di integrazione

Per comprendere meglio le differenze tra i modelli di integrazione, è utile confrontarli secondo alcuni criteri chiave:

  • Obiettivi: L'assimilazione mira all'uniformità culturale, il multiculturalismo alla coesistenza di diverse identità, il funzionalismo all'inclusione sociale attraverso la partecipazione, il modello mediterraneo all'inserimento pratico tramite reti informali.
  • Benefici: L'assimilazione può favorire la coesione nazionale, il multiculturalismo la valorizzazione delle diversità, il funzionalismo l'autonomia delle persone migranti, il modello mediterraneo la rapidità di inserimento lavorativo.
  • Rischi: L'assimilazione può portare all'esclusione di chi non si adatta, il multiculturalismo alla frammentazione sociale, il funzionalismo alla trascuratezza delle dimensioni culturali, il modello mediterraneo alla precarietà e alla mancanza di tutele.
  • Applicazione pratica: Ogni modello si traduce in politiche e pratiche diverse, che influenzano l'accesso ai servizi, la partecipazione civica e la qualità della vita delle persone migranti.

Questi criteri permettono di valutare in modo critico quale modello possa essere più adatto a un determinato contesto sociale e alle esigenze delle persone coinvolte.

Kindel Media - Pexels

Il fenomeno migratorio

Le diversità delle politiche sociali adottate dai diversi Paesi non sono l’unico elemento che concorre alla riuscita di una buona integrazione. Molto dipende anche dall’esperienza di ogni singola persona. Come suggeriscono molti studi condotti in ambito antropologico, sociale e psicologico, la migrazione è un processo di continuo cambiamento che si prepara nel paese di origine e continua nel contesto sociale del paese di destinazione.

Che si tratti di migrazione forzata (profughi, richiedenti asilo, rifugiati) o volontaria (migranti economici, expat), la residenza in un nuovo paese comporta il confrontarsi con una serie di novità e continui adattamenti, che passano attraverso cambiamenti significativi:

  • una nuova lingua;
  • nuovi sapori;
  • nuove modalità di interazione;
  • nuove regole;
  • diversi codici culturali e comportamentali.

Questo complesso processo è accompagnato da una serie di sfide culturali e psicologiche.

Come scrive la filosofa Francesca Rigotti nel suo libro Migranti per caso. Una vita da expat:

“L’expat è di solito abbastanza fortunato da poter sperimentare nuove esperienze e nuove culture; ha una buona disposizione a osservare, ma meno buona a partecipare; condivide con gli emigrati/immigrati molti aspetti della condizione di sradicamento; crede di portarsi dietro intatta la sua prima cultura che immagina di poter arricchire con quella del Paese di arrivo, ma non sa che in realtà sta elaborando una terza cultura.”

I risvolti psicologici

Spesso sono proprio le questioni e le ripercussioni psicologiche legate alla condizione di sradicamento, inteso come allontanamento dalle proprie radici, a sollevare difficoltà rispetto all’elaborazione di quella “terza cultura” come evoluzione di una nuova e positiva dimensione identitaria. In questo contesto, è rilevante considerare che un modello a quattro stadi è stato proposto per spiegare come le identità sociali multiple si sviluppano e si integrano all’interno del sé nel tempo (Amiot et al., 2007), offrendo così una cornice teorica utile per comprendere le sfide e le opportunità legate alla costruzione di nuove identità in situazioni di sradicamento.

Lo psichiatra D.G. Hertz, in uno dei suoi studi, ha descritto il processo migratorio attraverso una sequenza di fasi, durante le quali si possono manifestare diversi stati emotivi e di stress:

  • fase pre-migratoria: caratterizzata da aspettative positive ed elevate e si sperimenta prima della partenza;
  • fase di arrivo/impatto: si manifestano momenti di soddisfazione ed euforia;
  • fase di ripercussione: caratterizzata, al contrario, da sensazioni di delusione, insicurezza e ritiro;
  • fase di insediamento: si vive una dimensione positiva, attiva e di costruzione.

La fase più delicata è quella della ripercussione, durante la quale si sperimentano momenti di tensione, ansia e nervosismo anche nello svolgimento delle azioni quotidiane più consuete e normalmente piacevoli. Questo ritiro può assumere diverse forme e valenze, riflettendo la complessità dei processi di adattamento. È importante riconoscere che vengono identificati i fattori che facilitano o ostacolano i processi di cambiamento e integrazione delle identità sociali (Amiot et al., 2007), elementi che possono influenzare profondamente il modo in cui ciascuno vive questa fase. Per alcune persone, ad esempio, tale ritiro può rappresentare una reazione di autoprotezione nei confronti di una serie di difficoltà, come l’interazione attraverso una nuova lingua e la presenza di diversi nuovi stimoli che possono costituire fonte di stress.

L’etnopsichiatria

L’approfondimento e la cura della relazione tra migrazione e disagio psicologico sono stati sviluppati nell’etnopsichiatria. Essa individua l’esperienza della migrazione come una “sospensione” tra due mondi.

In questa prospettiva, per raggiungere una condizione di benessere è necessario che questi mondi comunichino e che si crei lo spazio di incontro necessario verso un processo di integrazione e ibridazione che tenga conto delle diverse e ricche appartenenze di cui ognuno, nella propria storia, può disporre.

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