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Migrazione e integrazione: tra modelli collettivi e sfide individuali

Migrazione e integrazione: tra modelli collettivi e sfide individuali
Migrazione e integrazione: tra modelli collettivi e sfide individualilogo-unobravo
Elisa Daniel
Elisa Daniel
Redazione
Psicoterapeuta ad orientamento Etno-Sistemico-Narrativo
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
4.11.2019

Nel corso degli ultimi decenni, la sempre più crescente intensità dei fenomeni migratori e la conseguente creolizzazione delle società moderne, sono diventati argomenti sempre più discussi e al centro dell’attenzione mediatica, sociale e politica. Uno dei temi che, a questo proposito, solleva numerose riflessioni in diversi ambiti disciplinari e che rappresenta una delle implicazioni più rilevanti della migrazione, è l’integrazione.


Per le scienze sociali, l’integrazione fa riferimento all’insieme di processi sociali e culturali che favoriscono la partecipazione e il senso di appartenenza di un individuo all’interno di una società. Partendo da questa definizione, possiamo individuare due delle componenti che giocano un ruolo fondamentale nella riuscita di questo dinamico percorso: 

  • l’individuo che approda in una nuova realtà;
  • la società che lo accoglie

In questo senso, l’integrazione viene letta come un rapporto che può essere agevolato o ostacolato nella sua riuscita, attraverso le risorse e le strategie che le due parti mettono in atto in questo incontro.


I modelli di integrazione

Per tentare di dare un’organizzazione strutturale, utile ad affrontare le problematiche legate all’integrazione, le società di accoglienza si sono dotate di costrutti teorici in continua evoluzione chiamati modelli di integrazione:

  • l’assimilazione, cioè l’adesione progressiva e inevitabile al modello culturale dominante della società di accoglienza;
  • il multiculturalismo, ovvero il riconoscimento dei diritti dell’individuo e delle caratteristiche proprie della sua cultura di appartenenza e di provenienza.

Ognuno di questi modelli, in sperimentazione da anni, ha caratteristiche funzionali e positive e aspetti restrittivi e limitanti. A questo proposito è interessante la riflessione che Waldenfels, esponente della fenomenologia tedesca, propone a proposito del complesso rapporto che caratterizza le società e gli “stranieri” che le abitano:

“Il modo in cui epoche e culture si distinguono tra loro è dato da come esse trattano l’estraneo, da come gli concedono accesso o lo respingono, da come lo inglobano, oppure lo lasciano fare, dal fatto che si reagisce ad esso con curiosità o sufficienza”
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Il fenomeno migratorio

Le diversità delle politiche sociali adottate dai diversi Paesi non sono l’unico elemento che concorre nella riuscita di una buona integrazione. Molto dipende anche dall’esperienza di ogni singolo individuo. Come ci suggeriscono molti studi condotti in ambito antropologico, sociale e psicologico, la migrazione è un processo di continuo cambiamento che si prepara nel paese di origine e continua nel contesto sociale del paese di destinazione.


Che si tratti di migrazione forzata (profughi, richiedenti asilo, rifugiati) o volontaria (migranti economici, expat), la residenza in un nuovo paese comporta il confrontarsi con una serie di novità e continui adattamenti, che passano attraverso una serie di considerevoli cambiamenti:

  • una nuova lingua;
  • nuovi sapori;
  • nuove modalità di interazione;
  • nuove regole;
  • diversi codici culturali e comportamentali.

Questo complesso processo è accompagnato da una serie di sfide culturali e psicologiche.
Come scrive la filosofa Francesca Rigotti nel suo libro Migranti per caso. Una vita da expat:

“L’expat è di solito abbastanza fortunato da poter sperimentare nuove esperienze e nuove culture; ha una buona disposizione a osservare, ma meno buona a partecipare; condivide con gli emigrati/immigrati molti aspetti della condizione di sradicamento; crede di portarsi dietro intatta la sua prima cultura che immagina di poter arricchire con quella del Paese di arrivo, ma non sa che in realtà sta elaborando una terza cultura.”
Kindel Media - Pexels


I risvolti psicologici

Spesso sono proprio le questioni e le ripercussioni psicologiche legate alla condizione di sradicamento, inteso come allontanamento dalle proprie radici, a sollevare difficoltà rispetto all’elaborazione di quella “terza cultura” come evoluzione di una nuova e positiva dimensione identitaria


Lo psichiatra D.G. Hertz, in uno dei suoi studi, ha descritto il processo migratorio attraverso una sequenza di fasi, durante le quali si possono manifestare diversi stati emotivi e di stress:

  • fase pre-migratoria: è caratterizzata da aspettative positive ed elevate e si sperimenta prima della partenza;
  • fase di arrivo/impatto: si manifestano momenti di soddisfazione ed euforia;
  • fase di ripercussione: caratterizzata, al contrario, da sensazioni di delusione, insicurezza e ritiro;
  • fase di insediamento: si vive una dimensione positiva, attiva e di costruzione.


La fase più delicata è quella della ripercussione, perché si sperimentano momenti di tensione, ansia e nervosismo anche nello svolgimento delle azioni quotidiane più consuete e normalmente piacevoli. Questo ritiro può assumere diverse forme e valenze. Per alcuni, per esempio, può essere una reazione di autoprotezione nei confronti di una serie di difficoltà come l’interazione attraverso una nuova lingua e la presenza di diversi nuovi stimoli che possono rappresentare fonte di stress.


L’etnopsichiatria

L’approfondimento e la cura della relazione tra migrazione e disagio psicologico sono stati sviluppati nell’etnopsichiatria. Essa individua l’esperienza della migrazione come una “sospensione” tra due mondi.

In questa prospettiva, per raggiungere una condizione di benessere è necessario che questi mondi comunichino e che si crei lo spazio di incontro necessario verso un processo di integrazione e ibridazione che tenga conto delle diverse e ricche appartenenze di cui ognuno, nella propria storia, può disporre.

Laddove questa comunicazione sembra essere interrotta, lo spazio terapeutico con uno psicologo dall'estero diventa un “luogo” dove poter facilitare questo processo, un modo per creare “ponti” e connettere quei mondi che a volte appaiono troppo distanti.


Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista.
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