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Salute mentale
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Psicoterapia e diagnosi: istruzioni per l’uso

Psicoterapia e diagnosi: istruzioni per l’uso
Psicoterapia e diagnosi: istruzioni per l’uso
Psicoterapia e diagnosi: istruzioni per l’uso
Redazione
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
13.11.2025
Ultimo aggiornamento il
13.11.2025
Psicoterapia e diagnosi: istruzioni per l’uso
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La parola “diagnosi” deriva dalla letteratura greca e racchiude il significato di dia - attraverso e gnosis - conoscenza. L’etimologia indica il processo di “conoscere attraverso” o “distinguere”.

In ambito medico e psicologico, la diagnosi rappresenta il processo attraverso il quale si riconosce e si interpreta un insieme di segni e sintomi, al fine di comprendere la natura di un disturbo o di una difficoltà che compromette la qualità della vita.

In psicologia, questo processo include non solo la valutazione clinica, ma anche la comprensione del vissuto soggettivo e del significato personale che il paziente attribuisce ai propri sintomi.

Thought Catalog - Unsplash

Nella pratica clinica, i professionisti della salute mentale si affidano a manuali diagnostici come il DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, pubblicato dall'American Psychiatric Association) e l'ICD-11 (Classificazione Internazionale delle Malattie, redatta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità). Il DSM-5 offre criteri dettagliati per la diagnosi dei disturbi mentali, facilitando una comunicazione condivisa tra i professionisti e promuovendo la coerenza nelle valutazioni. L'ICD-11 rappresenta una classificazione globale delle malattie, inclusi i disturbi psicologici, ed è adottata a livello internazionale per scopi clinici, statistici e di ricerca. Accanto a questi strumenti tradizionali, il sistema RDoC sviluppato dal National Institute of Mental Health sottolinea l'importanza di integrare la ricerca comportamentale e neuroscientifica per approfondire la comprensione dei disturbi mentali (Clark et al., 2017). Sebbene questi strumenti siano fondamentali per una diagnosi accurata, non possono mai sostituire l’ascolto attento e la comprensione della storia personale di chi si rivolge a un professionista della salute mentale.

Diagnosi psicologica e diagnosi medica: quali differenze?

Quando si parla di diagnosi, è importante distinguere tra quella psicologica e quella medica. La diagnosi medica si basa su parametri biologici, esami strumentali e test di laboratorio, mentre la diagnosi psicologica si fonda sull'osservazione clinica, sul colloquio e su strumenti psicometrici standardizzati.

Nel contesto psicologico, la diagnosi non si limita a individuare un disturbo, ma considera la persona nella sua globalità, tenendo conto di fattori emotivi, relazionali e ambientali. Questo approccio può permettere di comprendere meglio il significato dei sintomi e di personalizzare il percorso terapeutico.

Diagnosi: punto di arrivo o punto di partenza?

A molte persone accade di ricevere una diagnosi da uno specialista, senza poi essere indirizzate verso un percorso di psicoterapia che possa aiutarle a lavorare sui sintomi o sull’accettazione degli stessi. La diagnosi, che dovrebbe rappresentare un punto di partenza per un lavoro su sé stessi, rischia così di diventare un punto di arrivo, lasciando la persona con la sensazione di essere abbandonata e senza possibilità di miglioramento.

La diagnosi psicologica non dovrebbe essere un’etichetta che imprigiona, ma una possibilità di iniziare un percorso evolutivo, conoscitivo e terapeutico, finalizzato a liberarsi di parti di sé non accettate, non funzionali o problematiche.

A cosa serve e a cosa non serve una diagnosi?

Bisognerebbe sempre valutare se, per la persona, la diagnosi possa diventare uno stigma o un ostacolo. Se da un punto di vista scientifico la diagnosi può essere importante per il professionista, non deve diventare il punto centrale, né l’esito finale di un colloquio clinico. È fondamentale coinvolgere la persona in un processo di accoglienza che la faccia sentire capita, accolta e sostenuta.

La diagnosi, da sola, non offre uno spazio di ascolto, né un lavoro introspettivo o una reale conoscenza di sé; non può essere considerata come soluzione al problema. Spesso, dopo aver ricevuto una diagnosi, ci si può sentire abbandonati. Già chiedere aiuto e riconoscere che qualcosa nella propria vita non funziona come si vorrebbe può essere stato un passo difficile: il peso della diagnosi rischia di diventare un’ulteriore fonte di sofferenza.

Un consiglio per ognuno di noi, e per molti specialisti:

usiamo la diagnosi solo dopo esserci messi in ascolto di noi stessi e solo dopo aver provato a lavorare su di noi, e per i professionisti, non basiamoci solo sulla pratica diagnostica, ma accompagniamo la persona verso una possibilità evolutiva e di elaborazione emotiva”

Laura Davidson - Unsplash

Il processo diagnostico: fasi e strumenti

La diagnosi psicologica è un percorso articolato che si sviluppa attraverso diverse fasi fondamentali. Il colloquio clinico rappresenta il primo momento di incontro, durante il quale il professionista ascolta attentamente la storia della persona e raccoglie preziose informazioni sul suo vissuto. Successivamente, l’osservazione permette al terapeuta di cogliere il comportamento, le modalità comunicative e le reazioni emotive. La somministrazione di test prevede l’utilizzo di strumenti standardizzati per valutare aspetti specifici come l’umore, l’ansia o le capacità cognitive; in questa fase, l’integrazione di tecniche di apprendimento supervisionato e di calcolo ispirato alla natura si è rivelata particolarmente significativa nella diagnosi di diversi disturbi psicologici (Kaur & Sharma, 2019). Infine, la restituzione consiste nella condivisione dei risultati della valutazione: il professionista spiega in modo chiaro e comprensibile il significato della diagnosi, favorendo così la costruzione di una relazione di fiducia e il coinvolgimento attivo della persona nel proprio percorso di crescita.

Chi può fare diagnosi psicologica: aspetti normativi e responsabilità

In Italia, la possibilità di formulare una diagnosi psicologica è regolata dalla Legge 56/89, che definisce le competenze dello psicologo e dello psicoterapeuta. Solo i professionisti iscritti all'Albo degli Psicologi possono effettuare valutazioni psicodiagnostiche e redigere relazioni cliniche.

  • Psicologo: Può effettuare valutazioni, somministrare test e formulare diagnosi psicologiche, ma non può prescrivere farmaci.
  • Psichiatra: È un medico specializzato che può diagnosticare disturbi mentali e prescrivere terapie farmacologiche.
  • Psicoterapeuta: Può essere sia psicologo che medico, con una formazione specifica in psicoterapia, e può intervenire con trattamenti psicoterapeutici.

Questa distinzione è importante per garantire che la diagnosi venga formulata in modo responsabile e nel rispetto delle normative vigenti.

Cosa accade quando si riceve una diagnosi o si arriva in psicoterapia con un’autodiagnosi?

Molte persone si trovano a vivere la preoccupazione di dare un nome ai propri sintomi. Spesso si cerca la soluzione a tutti i propri problemi nell’esito di una diagnosi: per questo è importante che il professionista sappia sostenere e indirizzare la persona in un ambiente accogliente e comprensivo. Uno spazio che sia anche educativo rispetto a ciò che si è vissuto o si sta vivendo nel presente.

In altri casi, si arriva già con un’autodiagnosi, spesso frutto di ricerche sul web. Questa autodiagnosi può diventare dispersiva e disorientare ancora di più la persona. Ecco perché la presenza di uno spazio di ascolto è fondamentale: permette di sentirsi accolti e, con il sostegno del terapeuta, di fare le giuste indagini.

La diagnosi, quando necessaria, può essere un tassello utile per diventare più consapevoli del proprio disagio. Allo stesso tempo, deve rappresentare il trampolino di lancio per iniziare un lavoro su sé stessi. I primi colloqui e gli eventuali test da somministrare sono il punto di partenza e non la méta della conoscenza di sé.

Ricevere una diagnosi psicologica può suscitare emozioni contrastanti, come sollievo, paura o preoccupazione per il giudizio degli altri. In molti casi, la diagnosi può essere vissuta come uno stigma, ovvero un'etichetta che rischia di influenzare negativamente l'autostima e le relazioni sociali. È importante ricordare che, nonostante la crescente attenzione verso la salute mentale, persistono notevoli lacune nei dati sulla prevalenza a livello globale, in particolare per i bambini e nei paesi a basso reddito (Casella et al., 2025). Questo rende ancora più difficile comprendere appieno l’impatto sociale della diagnosi e affrontare le sue conseguenze. Alcune persone temono l’isolamento, ovvero di essere escluse o discriminate a causa della diagnosi; altre possono sperimentare auto-stigma, interiorizzando l’etichetta e sentendosi “sbagliate” o “diverse”. Inoltre, in ambito lavorativo o scolastico, la diagnosi può essere fraintesa e portare a pregiudizi che ostacolano la piena partecipazione sociale. Un percorso psicoterapeutico può aiutare a superare questi ostacoli, promuovendo l’accettazione di sé e la consapevolezza che la diagnosi rappresenta solo un punto di partenza per il cambiamento.

Inizia il tuo percorso di consapevolezza

Ricevere una diagnosi non significa essere definiti da un'etichetta, ma può rappresentare un'opportunità per conoscersi meglio e prendersi cura di sé. In Unobravo crediamo che ogni persona meriti uno spazio di ascolto autentico, dove sentirsi accolta e sostenuta nel proprio percorso di crescita. Se senti il bisogno di comprendere meglio ciò che stai vivendo o desideri iniziare un cammino di cambiamento, i nostri psicologi sono pronti ad accompagnarti con empatia e professionalità. Non restare solo con i tuoi dubbi: inizia il questionario per trovare il tuo psicologo online e scopri quanto può essere prezioso prendersi cura del proprio benessere psicologico.

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