Famiglia
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Quando i figli vanno via di casa

Quando i figli vanno via di casa
Quando i figli vanno via di casalogo-unobravo
Michela Eusepi
Michela Eusepi
Redazione
Psicologa ad orientamento Sistemico-Relazionale
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il


Il compito dei genitori è quello di accompagnare i propri figli e trasmettere loro fiducia. Durante questa fase di passaggio, tanto attesa e tanto temuta, i ragazzi prendono il volo, si congedano dalle famiglie per camminare sulle proprie gambe. La famiglia funziona come un vero e proprio trampolino orientato verso il mondo.

La buona riuscita del processo di differenziazione dei figli sarà frutto delle capacità del sistema familiare di regolare le distanze emotive. Quando c’è un’incapacità del sistema di calibrare queste distanze, l’uscita dei figli può fallire, uno dei membri della famiglia, ad esempio, può manifestare dei sintomi che minacceranno l’uscita e costringeranno il figlio a rimanere nel sistema per non romperne l'equilibrio.

Quali sono i compiti di sviluppo dei figli?

Dal punto di vista dei figli l’uscita dalla casa parentale implica:

  • la realizzazione di un progetto di vita in cui sono previsti l’autonomia professionale, l’indipendenza economica e la ricerca di una relazione affettiva stabile;
  • il poter colmare una distanza generazionale. In questa fase si iniziano a vedere i propri genitori non solo come madre e padre, ma come uomo e donna che stanno dietro questi ruoli. Il legame che si sta formando diventa via via sempre più paritetico e non subordinato.

Per genitori e figli sarà importante rinegoziare il loro rapporto avendo adesso in comune lo status di adulto. Ci sarà così una prima fase di allontanamento necessaria ai figli per definire i confini e un graduale riavvicinamento caratterizzato da un rapporto nuovo e di diverso livello.

Elina Fairytale - Pexels

Qual è l’effetto dell’uscita dei figli sull’emotività dei genitori?

I genitori mettono in gioco diverse modalità per far fronte all’uscita dei figli:

  • possono negare l’evento non parlandone;
  • possono assumere un atteggiamento euforico;
  • possono mostrare un atteggiamento afflitto o depresso;
  • possono affrontare la separazione con una modalità più “sana”, esprimendo da un lato timore per il distacco, dall’altro mostrando una grande capacità di superare la solitudine.

C’è una fase depressiva iniziale in cui la coppia genitoriale, in particolare la madre, deve fare i conti con una minore richiesta di attenzione e accudimento dei figli, che ormai adulti non hanno più bisogno delle cure di un tempo. Il nido vuoto e la sensazione di solitudine data dalla perdita del legame può però coincidere e dare spazio all’instaurarsi di nuovi legami parentali, ad esempio con i coniugi dei propri figli.

Rinegoziare il rapporto di coppia

I genitori che ora sono, in parte, liberati dall’onere dell’accudimento quotidiano dei figli, possono godere di maggiore spazio e tempo da dedicare a sé stessi e ad un reinvestimento delle energie in altre attività.

Possono sperimentarsi in nuovi interessi o intensificare quelli già svolti in precedenza in base ai propri desideri, oppure riattivare e rinforzare le relazioni amicali e sociali. I coniugi dovranno riorganizzare la loro vita di coppia all’insegna del sostegno reciproco e del dialogo, con l’obiettivo di reinvestire sulla relazione intesa come coppia coniugale, come era un tempo prima della nascita dei figli, e non più come coppia genitoriale.

Marcus Aurelius - Pexels

Possibilità evolutiva 

Nonostante la sindrome del nido vuoto sia caratterizzata da una fase depressiva legata alla perdita del legame e contatto con i propri cari, potremmo parlare di un duplice risvolto di questo stadio del ciclo vitale.

Il momento che segue l’uscita dei figli può essere anche visto come il migliore di tutto il ciclo della famiglia, caratterizzato da adattamento attivo e un lavoro di ristrutturazione nell’individuo e nella coppia che reinveste in altri settori personali e familiari.

È un processo che dà libertà e possibilità di occuparsi di sé. Entrambe le esperienze, depressiva e adattiva, caratterizzano questa fase evolutiva: esse sono complementari e non necessariamente consequenziali.


Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista.
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