Negli ultimi decenni, crescente attenzione è stata dedicata alle sfide psicologiche ed emotive affrontate dalle persone che fanno parte della comunità LGBTQIA+. Nonostante i passi avanti fatti nel corso degli anni, purtroppo le persone appartenenti alla comunità possono sperimentare nella loro quotidianità diversi fattori di stress, inclusi discriminazioni, pregiudizi e marginalizzazioni, che possono influire sul loro benessere psicologico.
Alcuni dati
Recenti stime internazionali, basate su indagini di popolazione e revisioni della letteratura scientifica insieme ai dati di organismi come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie negli Stati Uniti e l’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali, suggeriscono che la popolazione LGBTQIA+ rappresenta una parte significativa della società, con una prevalenza stimata intorno al 9% della popolazione adulta a livello mondiale, con valori analoghi (circa 7–10%) riportati in molte indagini condotte in Europa e in Italia (Duncan et al., 2025).
Nonostante la prevalenza di problematiche di salute mentale, persistono disparità significative all'interno della comunità LGBTQIA+ rispetto alla popolazione generale. Le persone LGBTQIA+, infatti, sono spesso soggette a forti discriminazioni in molteplici ambiti della vita quotidiana, incluso l’accesso e l’utilizzo dei servizi sanitari (Garzillo et al., 2023). Questa esposizione al cosiddetto minority stress comporta un rischio maggiore di sviluppare depressione e ansia rispetto al resto della popolazione, con tassi di prevalenza che possono essere fino al doppio rispetto alla popolazione generale.
Uno studio svolto negli Stati Uniti ha inoltre riportato che il 44% degli adulti LGBTQIA+ ha affrontato un episodio depressivo nel corso della propria vita, rispetto al 13% della popolazione generale (Ingle et al., 2025).
Ancora, chi appartiene alla comunità può sperimentare specifici disturbi legati all'identità di genere e all'orientamento sessuale, come la disforia di genere. È importante sottolineare che, secondo recenti studi, dopo 12 mesi, i giovani transgender e non binari che hanno iniziato trattamenti medici di affermazione di genere, come bloccanti della pubertà o ormoni, hanno mostrato una probabilità inferiore del 60% di soffrire di depressione rispetto a chi non ha ricevuto tali trattamenti (Tordoff et al., 2022). Proprio in riferimento ai progressi che sono stati compiuti all’interno della comunità scientifica, ricordiamo che i criteri diagnostici della disforia di genere nel DSM-5-TR sono stati aggiornati grazie all’introduzione di un linguaggio più inclusivo e meno medicalizzato.
Le persone LGBTQIA+ presentano una maggiore prevalenza di comorbilità, ovvero la presenza simultanea di due o più disturbi (Wang et al., 2007). È fondamentale sottolineare che la discriminazione, il pregiudizio e la mancanza di supporto sociale possono contribuire in modo significativo agli elevati livelli di stress mentale e al rischio suicidario. In particolare, il rischio di tentativi di suicidio risulta più elevato tra le persone bisessuali (odds ratio = 6,43), seguito da lesbiche e gay (odds ratio = 4,54), minoranze sessuali e di genere analizzate insieme (odds ratio = 4,32) e persone transgender (odds ratio = 3,61), rispetto ai coetanei eterosessuali e cisgender (Marchi et al., 2025).
L'importanza del supporto psicologico
Sulla base delle stime disponibili, è evidente che in questo contesto si rende concreta l'importanza di un supporto psicologico sensibile e competente. I professionisti della salute mentale possono giocare un ruolo cruciale nel contribuire a creare un ambiente sicuro, accogliente e non giudicante per le persone LGBTQIA+, offrendo sostegno emotivo, strategie di coping e risorse adeguate per affrontare le sfide che possono emergere, legate alla propria identità di genere o all’orientamento sessuale.
Nello specifico, il supporto psicologico può aiutare le persone a esplorare e comprendere meglio la propria identità, affrontare discriminazioni agite dall’esterno, elaborare un eventuale trauma e migliorare il proprio benessere emotivo e psicologico. Attraverso la terapia è possibile sviluppare un maggiore senso di accettazione di sé e di appartenenza, contribuendo così a ridurre il rischio di depressione, ansia e altri disturbi.
È fondamentale che i professionisti adottino un approccio che tenga conto delle esperienze uniche dell’individuo e delle sfide specifiche affrontate dalla comunità LGBTQIA+, per garantire che ognuno abbia accesso alle risorse necessarie per raggiungere un buono stato di benessere psicologico e vivere una vita appagante e autentica.

La relazione di aiuto con persone LGBTQIA+
Così come per qualunque persona che chieda supporto psicologico, è in primo luogo fondamentale che si possa instaurare tra paziente e terapeuta una relazione caratterizzata da fiducia e accettazione. Indipendentemente dall’orientamento o dall’approccio psicologico scelto dallo specialista, si ritiene sempre più che l’elemento centrale di una relazione di aiuto sia proprio la qualità della relazione stessa.
In particolare, l’approccio nel lavoro con persone LGBTQIA+ dovrebbe essere sensibile, rispettoso e culturalmente competente. Alcuni aspetti particolarmente rilevanti che non dovrebbero mai mancare sono:
- Accettazione incondizionata: il professionista dovrebbe essere capace di accogliere e accettare la persona LGBTQIA+ senza giudizio o pregiudizio riguardo alla sua identità di genere o al suo orientamento sessuale. Questo permette di creare un ambiente sicuro in cui la persona possa sentirsi libera di esprimersi apertamente
- Empatia: affinché possa essere efficace, il modo di essere (Rogers, 1980) dello psicologo dovrebbe essere empatico nei confronti dei vissuti specifici che la persona LGBTQIA+ riferisce a causa della discriminazione, del pregiudizio o della mancanza di comprensione da parte degli altri. Tale comprensione deve però essere anche espressa affinché la persona possa sentirsi effettivamente accolta dal professionista
- Sensibilità culturale e linguistica: lo psicologo dovrebbe conoscere le specificità culturali, linguistiche e sociali della comunità LGBTQIA+ e adattare il proprio linguaggio e comportamento di conseguenza. Questo include l'uso di terminologia inclusiva e rispettosa, nonché la possibilità di comprendere appieno il significato delle esperienze che possono essere affrontate da persone transgender, queer, intersex e di altre identità di genere e orientamenti. A tal proposito, è stato redatto negli ultimi anni dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia un glossario, chiamato Rainbow Map, con l’obiettivo di “[...] diffondere un linguaggio scientifico condiviso, da cui poter partire per approfondire il vasto mondo delle identità sessuali” e “fornire approfondimenti e strumenti ai professionisti per poter lavorare con maggiore spirito critico, consapevolezza e sicurezza sui temi delle identità sessuali”
- Approccio non giudicante e rispettoso nei confronti delle diversità: il professionista dovrebbe rispettare la diversità all'interno della comunità LGBTQIA+ e riconoscere che non c’è un'unica esperienza possibile. Ogni persona è unica e il compito dello psicologo è di accogliere ciascuno con la propria storia, le proprie emozioni e vissuti. Questo significa essere aperti alle esperienze individuali che ogni persona può affrontare in base alla propria identità di genere, orientamento sessuale, età, contesto culturale e altro ancora
- Relazione collaborativa: non bisogna infine dimenticare che, all’interno della relazione di aiuto, il lavoro viene svolto insieme alla persona. Pertanto, gli obiettivi vengono concordati e le strategie di intervento condivise. Questo coinvolgimento attivo della persona nel processo terapeutico favorisce l'autonomia e il senso di controllo sulla propria vita in un’ottica di diritto all’autodeterminazione.
Affinché tali aspetti caratterizzanti la relazione si verifichino, risulta particolarmente centrale e di fondamentale importanza che la figura del terapeuta sia non solo adeguatamente formata, ma anche sufficientemente consapevole di quelle che sono le sue personali idee, i pregiudizi e le contraddizioni ideologiche che, se inconsce, potrebbero entrare nel rapporto e sabotarne l’efficacia.
Per questo motivo, per poter lavorare in scienza e coscienza, il professionista dovrebbe avvalersi di alcuni strumenti di riflessione e autoconsapevolezza come la psicoterapia personale, la supervisione e l’intervisione.
Il lavoro clinico con la comunità LGBTQIA+
Sono molte le motivazioni che possono portare una persona a chiedere un aiuto per il proprio benessere psicologico. Nel lavoro con persone LGBTQIA+, alcune di queste tematiche sono indubbiamente più frequenti. Considerando la discriminazione ancora oggi esistente, per esempio, è possibile che venga richiesto un intervento specifico per la gestione di un eventuale trauma subito. Infatti, le persone LGBTQIA+ possono essere maggiormente esposte a ostracismo, bullismo, violenza o al rigetto familiare, proprio a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere.
Il sostegno al coming out rappresenta una delle ragioni principali che possono spingere una persona a rivolgersi a un professionista. Questo momento, profondamente significativo nella vita di molte persone, è spesso accompagnato da ansia, paura del rifiuto e timori riguardo alle reazioni di familiari, amici e colleghi. In particolare, il supporto genitoriale si è dimostrato un fattore protettivo contro sintomi depressivi e ideazione suicidaria, con un effetto particolarmente marcato tra gli adolescenti LGBTQ+ (DelFerro et al., 2024).
In quanto professionisti della salute mentale, è importante offrire sostegno durante questo momento aiutando le persone a esplorare i loro sentimenti e a sviluppare strategie per affrontarlo al meglio. Talvolta può essere utile, per esempio, co-costruire un piano che tenga conto delle risorse, delle potenziali difficoltà del singolo e del contesto di vita. Può avere effetti positivi anche aiutare la persona a sviluppare tecniche di comunicazione efficaci.
È anche possibile che l’aiuto psicologico venga richiesto al fine di migliorare l’accettazione di sé, che potrebbe essere complessa a causa del pregiudizio interiorizzato o della mancanza di sostegno sociale.
Capita spesso, inoltre, che lo psicologo si trovi a dover collaborare con altre realtà territoriali che si occupano del benessere psicologico della comunità LGBTQIA+. In questi casi, è fondamentale essere a conoscenza delle risorse disponibili sul territorio, come gruppi di sostegno, centri di consulenza e organizzazioni di difesa dei diritti, per poter indirizzare le persone verso un supporto aggiuntivo e aiutarle a sviluppare un maggiore senso di appartenenza. Questo è particolarmente importante considerando che gli adulti LGBTQIA+ hanno riportato un minor supporto sociale percepito e un rischio maggiore di isolamento sociale rispetto al gruppo non-LGBTQIA+ (Eres et al., 2021).

Il Minority Stress Model: spiegazione e impatto sulla salute mentale delle persone LGBTQIA+
Uno dei modelli teorici più influenti per comprendere le difficoltà psicologiche vissute dalle persone LGBTQIA+ è il Minority Stress Model, proposto dallo psicologo Ilan Meyer nel 2003. Questo modello spiega come lo stress derivante dall'appartenenza a una minoranza sociale, come la comunità LGBTQIA+, possa influire negativamente sulla salute mentale.
Il modello distingue tra due tipi di stress:
- Stress distali: sono fattori esterni, come discriminazione, violenza, bullismo o esclusione sociale. Questi eventi sono oggettivi e spesso visibili, e possono avere un impatto diretto sul benessere psicologico.
- Stress prossimali: sono fattori interni, come la paura del rifiuto, il pregiudizio interiorizzato o la necessità di nascondere la propria identità. Questi vissuti sono spesso meno visibili, ma possono essere altrettanto dannosi, poiché generano ansia, senso di colpa e isolamento.
Secondo Meyer, l'esposizione prolungata a questi stress può aumentare il rischio di sviluppare disturbi come depressione, ansia e comportamenti autolesivi. Studi successivi hanno evidenziato che le persone transgender e non-binary, in particolare, possono essere esposte a livelli ancora più elevati di minority stress, con possibili conseguenze significative sulla salute mentale (Budge et al., 2013).
Comprendere il Minority Stress Model aiuta a riconoscere che molte delle difficoltà psicologiche vissute dalle persone LGBTQIA+ non sono il risultato della loro identità, ma delle pressioni sociali e culturali a cui sono sottoposte.
Applicazioni pratiche del Minority Stress Model in ambito clinico
La conoscenza del Minority Stress Model offre ai professionisti della salute mentale strumenti preziosi per strutturare interventi mirati e sensibili alle specificità della comunità LGBTQIA+.
Nella pratica clinica, questo significa:
- Valutare sia lo stress distale che quello prossimale: il terapeuta può esplorare con la persona sia le esperienze di discriminazione vissute all'esterno, sia i vissuti interiori legati all'identità e all'autostima.
- Normalizzare le reazioni emotive: riconoscere che ansia, tristezza o rabbia possono essere risposte comprensibili a situazioni di ingiustizia sociale, aiutando la persona a non colpevolizzarsi per il proprio malessere.
- Favorire strategie di coping adattive: lavorare insieme per sviluppare risorse personali e sociali, come la costruzione di reti di supporto, l'affermazione della propria identità e la promozione dell'autocompassione.
- Contrastare il pregiudizio interiorizzato: aiutare la persona a riconoscere e decostruire i messaggi negativi interiorizzati sulla propria identità, favorendo un percorso di accettazione di sé.
L'integrazione di questi elementi nel percorso terapeutico può contribuire a ridurre l'impatto dello stress minoritario e a favorire il benessere psicologico delle persone LGBTQIA+.
Linee guida cliniche e protocolli specifici per il benessere psicologico delle persone LGBTQIA+
Negli ultimi anni, diverse organizzazioni internazionali hanno pubblicato linee guida per la pratica clinica con persone LGBTQIA+, con l'obiettivo di garantire interventi basati sull'evidenza e rispettosi delle specificità di questa comunità.
Ad esempio, l'American Psychological Association (APA) ha elaborato raccomandazioni dettagliate per il lavoro con persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e gender non-conforming (APA, 2015; APA, 2021). Queste linee guida sottolineano l'importanza di:
- Utilizzare un linguaggio inclusivo e rispettoso: adottare termini che rispecchino l'identità della persona e chiedere sempre quali pronomi preferisce.
- Riconoscere la diversità all'interno della comunità LGBTQIA+: evitare generalizzazioni e considerare le differenze legate a età, etnia, religione e altri fattori.
- Promuovere l'autodeterminazione: sostenere la persona nelle proprie scelte riguardo all'identità di genere e all'orientamento sessuale, senza imporre percorsi o obiettivi.
- Collaborare con altre risorse: quando necessario, indirizzare la persona verso gruppi di supporto, servizi legali o sanitari specializzati.
Seguire queste linee guida può aiutare a creare un ambiente terapeutico sicuro e accogliente, favorendo la costruzione di una relazione di fiducia e il raggiungimento degli obiettivi di benessere psicologico.

Critiche e sviluppi recenti del Minority Stress Model
Negli ultimi anni, il Minority Stress Model è stato oggetto di approfondimenti e revisioni, con l'obiettivo di renderlo ancora più aderente alle esperienze vissute dalle persone LGBTQIA+. Alcuni studiosi hanno sottolineato che il modello, pur essendo molto utile, rischia di concentrarsi quasi esclusivamente sugli aspetti di vulnerabilità, trascurando le risorse e le strategie di resilienza che molte persone LGBTQIA+ sviluppano nel tempo (Testa et al., 2015). Per questo motivo, le versioni più recenti del modello includono anche:
- Fattori protettivi individuali: come l'autostima, la consapevolezza di sé e la capacità di chiedere aiuto.
- Risorse di comunità: il supporto di gruppi, associazioni e reti sociali che possono offrire accoglienza e solidarietà.
- Strategie di coping positive: la capacità di affrontare le difficoltà in modo costruttivo, trasformando le esperienze negative in occasioni di crescita personale.
Questi sviluppi permettono di avere una visione più completa e realistica del benessere psicologico delle persone LGBTQIA+, che non si limita alle difficoltà, ma valorizza anche le risorse e le potenzialità di ciascuna persona.
Strategie di coping e resilienza nella salute mentale della comunità LGBTQIA+
Nonostante le sfide legate allo stress minoritario, molte persone LGBTQIA+ sviluppano strategie di coping e resilienza che contribuiscono a proteggere e rafforzare la loro salute mentale. Tra le strategie più efficaci, la letteratura scientifica evidenzia:
- Costruzione di reti di supporto: avere amici, familiari o gruppi di pari che offrono ascolto e comprensione può contribuire a ridurre il rischio di isolamento e disagio psicologico (Ryan et al., 2010).
- Affermare la propria identità: partecipare ad attività, eventi o associazioni che valorizzano l'identità LGBTQIA+ aiuta a rafforzare l'autostima e il senso di appartenenza.
- Sviluppare l'autocompassione: imparare a trattarsi con gentilezza e comprensione, soprattutto nei momenti di difficoltà, può favorire il benessere emotivo e ridurre l'impatto del pregiudizio interiorizzato.
- Impegnarsi in attività di advocacy: contribuire attivamente al cambiamento sociale, anche attraverso piccole azioni quotidiane, può aumentare il senso di efficacia personale e di controllo sulla propria vita.
Queste strategie, se sostenute anche dal lavoro psicologico, possono aiutare le persone LGBTQIA+ a fronteggiare le difficoltà e a vivere in modo più autentico e soddisfacente, in alcuni casi.
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