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LGBTQ+ e disagio psicologico: il minority stress model

LGBTQ+ e disagio psicologico: il minority stress model
LGBTQ+ e disagio psicologico: il minority stress modellogo-unobravo
Francesca Martini
Francesca Martini
Redazione
Psicologa ad orientamento Cognitivo-Comportamentale
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
20.3.2023

Le persone LGBTQ+ sono maggiormente esposte al rischio di sviluppare disagio psicologico proprio a causa della loro appartenenza a gruppi sessuali minoritari. Il motivo? I pregiudizi e le discriminazioni culturalmente radicati nella nostra società che influiscono negativamente sulla loro qualità di vita.

In questo articolo tratteremo il tema del modello del minority stress (o stress da minoranza), un fenomeno che ha alcune similitudini con il disturbo post traumatico da stress e che, come dice la definizione stessa, interessa le minoranze (siano esse sessuali, religiose, linguistiche o etniche). 

Nel nostro approfondimento ci concentreremo sul “gender minority stress” ovvero il fenomeno subìto dalle persone LGBTQ+.  Dopo un breve excursus utile a illustrare alcuni fenomeni discriminatori perpetrati a scapito della comunità LGBTQ+, scopriremo che cos’è la minority stress theory in relazione alle persone LGBTQ+ e perché è importante parlarne.

LGBTQ significato
Alexander Grey - Pexels

LGBT: significato della sigla

LGBTQ+ o, più semplicemente LGBT+, è l’abbreviazione della sigla più estesa LGBTQIAPK. Si tratta di un acronimo formato dalle iniziali dei gruppi di minoranze sessuali, ovvero: Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer, Intersessuali, Asessuali, Pansessuali e Kinky.

L’iniziale sigla LGB, coniata negli anni ’80, si è ampliata nel corso del tempo per includere tutte quelle persone che hanno un’identità di genere e/o sessuale non conforme al modello culturalmente condiviso. 

In questo senso, concetti come “binarismo di genere” ed “eteronormatività” decadono, a favore di un più ampio ventaglio di possibilità in cui ciascuno può affermarsi nella propria individualità.

Dal rapporto OCSE Society at glance si stima che in media, la popolazione di ogni stato sia composta per il 2,7% da persone LGBTQ+. Sebbene questa percentuale risulti significativa e rilevante all’interno del nostro scenario sociale, sono ancora molte le persone disinformate a riguardo. 

Ciò è particolarmente grave, dal momento che la mancanza di conoscenza si pone alla base di comportamenti e atteggiamenti discriminatori nei confronti di questa parte di popolazione. Le conseguenze possono minare la salute mentale individuale, predisponendo alla possibile insorgenza di disagio psicologico e di sintomatologia psicofisica.

Il fenomeno dell’omo-lesbo-bi-trans-fobia

La discriminazione e gli atti violenti perpetrati ai danni di persone LGBTQ+ sono il risultato di un sistema di credenze fondato sull’odio. Questo fenomeno prende il nome di omo-lesbo-bi-trans-fobia.

“Omofobia” è un termine ampiamente utilizzato per descrivere l’ostilità nei confronti di chi è attratto da persone del suo stesso genere. Allo stesso modo, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia si riferiscono all’avversione verso persone lesbiche, bisessuali e transgender. 

Minority stress e psicologia sociale sono strettamente collegati perché il costrutto del minority stress si basa su fenomeni sociali, come pregiudizi errati e comportamenti discriminatori, talvolta violenti, nei confronti di chi viene percepito “diverso da sé”. 

Questi fenomeni nascono e si diffondono a livello culturale e non sempre sono frutto di atteggiamenti consapevoli: nessuno è omo-lesbo-bi-trans-fobico dalla nascita!

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LGBTQ+: violenze overt e covert

Se in passato le persone LGBTQ+ venivano discriminate apertamente, oggi l’ostilità tende ad assumere forme più sottili. Le violenze esplicite, (definite overt), sono messe in atto attraverso azioni aggressive dirette di tipo fisico o verbale. 

Sono più frequenti in ambienti sociali e lavorativi, ma si verificano anche in contesti di istruzione e salute. Tali discriminazioni aumentano quando la persona dichiara apertamente la sua appartenenza ad una categoria minoritaria. 

In particolare, sono le persone T (trans), rispetto a quelle LGB, ad essere maggiormente esposte a comportamenti discriminatori. 

Le violenze meno visibili, (dette covert), assumono la forma di micro-aggressioni: brevi e frequenti umiliazioni che possono essere messe in atto sia con intenzione che non volontariamente. Si tratta di:

  • micro-attacchi fatti di frasi e gesti volti a ferire l’altra persona
  • micro-insulti, commenti che umiliano e stereotipizzano l’identità dell’individuo rispetto al gruppo sociale
  • micro-invalidazioni, quei messaggi che negano o escludono le emozioni e i pensieri della persona rispetto a una situazione di oppressione.

Le micro-aggressioni si verificano molto di frequente perché non sono commesse tanto dal singolo, quanto a vari livelli della società, dal momento che si basano su pregiudizi e stereotipi culturalmente radicati. 

L’esposizione cronica a queste fonti di stress si correla ad una condizione di maggiore malessere e di conflitto rispetto alla propria identità, che viene costantemente messa in discussione dall’ambiente esterno. Il senso di inferiorità e di vergogna sono i sentimenti più comunemente associati a questa condizione.

minority stress model
Alexander Grey - Pexels

Il minority stress model

Per dare una definizione di minority stress (che possiamo tradurre con “stress da minoranza”) ci affidiamo all'Institute of Medicine a cui il National Institutes of Health, nel 2011, commissiona un’indagine sullo stato di salute della popolazione lesbica, gay, bisessuali e transgender.

Il minority stress model “richiama l'attenzione allo stress cronico che le minoranze sessuali e di genere possono sperimentare come risultato della stigmatizzazione che subiscono.”

Per l’indagine, il team di ricerca affianca il minority stress model applicato alla popolazione LGBTQ+ ad altre tre prospettive concettuali:

  • la life course perspective, ovvero come ogni evento in ogni fase di vita influenzi le successive fasi
  • l’intersectionality perspective, che tiene in considerazione le identità multiple di un individuo e il loro modo di agire tra loro
  • la social ecology perspective, che evidenzia come gli individui siano condizionati da diverse sfere di influenza come la famiglia o la comunità.

La teoria del minority stress

Chi ha teorizzato il minority stress? Le fasi dello stress teorizzate da H. Selye probabilmente sono state un punto di partenza comune per le due più conosciute studiose che hanno trattato il tema del minority stress: Virginia Brooks e Ilan H. Meyer.

Quest’ultima ha elaborato il modello del minority stress per spiegare il minor livello di salute percepito dalla popolazione LGBTQ+:

“lo stigma, il pregiudizio e la discriminazione creano un ambiente sociale ostile e stressante che causa problemi di salute mentale.”Ilan H. Meyer.

Secondo il minority stress model di Meyer quindi, le persone LGBTQ+ si trovano a dover fronteggiare una quantità maggiore di stress rispetto ad altre perché, oltre alle comuni fonti di stress, subiscono quello derivante dai fenomeni di discriminazione culturale.

Lo stress si verifica su due livelli:

  • culturale, cioè quello generato dai pregiudizi e dai comportamenti discriminatori perpetrati dal contesto sociale. È uno stress oggettivamente presente che si colloca di sottofondo alla vita della persona e su cui essa non ha controllo.
  • soggettivo, ovvero la quantità di stress percepita dall’individuo e legata al suo vissuto personale. Si tratta del risultato dello stigma percepito e degli eventi di discriminazioni di cui si è stati vittime.

Il minority stress può avere quindi manifestazioni diverse che si presentano su più livelli, come:

manifestazioni del minority stress
Eleanor Jane - Pexels

Minority stress scale: è possibile misurare l’entità del minority stress?

Un’interessante approfondimento sulla misurazione dell’entità del minority stress ci è dato dallo studio di K. Balsamo, Direttrice del Center for LGBTQ Evidence-Based Applied Research (CLEAR) in cui la studiosa, proprio a proposito delle misure del minority stress, sostiene:

“esistono misure che affrontano particolari tipi di stress LGBT o affrontano più componenti dello stress delle minoranze LGBT, ma non necessariamente per campioni LGBT diversi per identità sessuale, identità di genere e razza/etnia. Inoltre, molte misure non includono la valutazione del disagio soggettivo associato all'esperienza dei fattori di stress. Date queste limitazioni, è giustificato lo sviluppo di uno strumento più completo.”

Il Daily Heterosexist Experiences Questionnaire è una scala di misurazione del minority stress che nasce proprio con l’obiettivo di superare queste limitazioni e che è stata elaborata e validata all’interno del progetto “Rainbow” proprio da K. Balsamo e dal suo gruppo di ricerca.

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Le possibili conseguenze del sexual minority stress

Le persone LGBTQ+ , come abbiamo visto, sono maggiormente predisposte all’insorgenza di disagio psicologico perché sperimentano, oltre alla quantità di consueto stress quotidiano, quello derivante dalla loro appartenenza a gruppi minoritari.

Tali eventi stressanti possono predisporre le persone a sviluppare l’aspettativa che tali situazioni si presentino nuovamente in futuro. Per questo motivo, lo stress soggettivo induce un atteggiamento di ipervigilanza volto a riconoscere i possibili segnali di omo-lesbo-bi-trans-fobia all’interno del contesto. 

Questo si traduce spesso in un’ansia costante, in comportamenti di verifica dell’intenzione altrui e nella scelta di rivelare la propria identità sessuale solamente in alcuni contesti e a specifiche persone.

Un’altra conseguenza descritta dal modello del minority stress è quella omofobia interiorizzata di cui abbiamo già fatto cenno: le persone tendono a fare proprie le aspettative omo-lesbo-bi-tras-fobiche della società, assimilando i pregiudizi e le aspettative di rifiuto nei propri confronti. 

Ciò influisce negativamente sull’autostima e sul tono dell’umore, generando sentimenti di inferiorità e disprezzo per sé stessi, nonché attivando un processo di identificazione con quegli stessi stereotipi di genere.

Il quadro della mediazione psicologica (indagato anche dallo psicologo e professore di Scienze Sociali di Harvard M.L. Hatzenbuehler in un suo studio sul minority stress), al contrario, esamina i processi psicologici intra e interpersonali attraverso i quali lo stress correlato allo stigma porta alla psicopatologia.  

In particolare, parlando di minority stress e persone transgender, numerosi studi tra cui quello della ricercatrice statunitense J. K. Schulman, evidenziano come le persone trans siano più a rischio di disturbi psichici come dipendenze, depressione, disturbi d’ansia e distorsione della propria immagine corporea in parte anche a causa del minority stress. La discriminazione basata sul genere inoltre, per le persone transgender, si traduce in un maggior rischio di suicidio.

 

Minority stress model: qualche lato positivo

Il modello del minority stress sottolinea anche le risorse a cui le persone LGBTQ+ possono attingere per salvaguardare la loro condizione di benessere psicologico. È infatti risaputo che l’appartenere a un gruppo minoritario permette di accedere a sentimenti di solidarietà e di coesione che possono ridurre gli effetti negativi dello stress percepito.

Sono due i principali fattori protettivi che contrastano l’impatto del minority stress:

  • il supporto familiare e sociale, ovvero l’accettazione e il sostegno da parte di amici e parenti, oltre alla percezione di rispetto all’interno della società
  • la resilienza individuale, data dall’insieme di caratteristiche individuali (soprattutto del temperamento e delle strategie di coping) che rendono la persona in grado di affrontare le difficoltà della vita.
psicologia per minority stress model
Rosemary Ketchum - Pexels

Minority stress e psicologia: quali interventi?

Le persone LGBTQ+, soprattutto se T, si trovano, a volte, a dover affrontare degli ostacoli anche in ambito clinico per il trattamento del minority stress, poiché i pregiudizi e gli stereotipi sui gruppi minoritari possono essere inconsapevolmente diffusi anche tra i sanitari. 

Ciò molte volte interferisce con l’accesso alle cure e ne riduce la qualità, a causa della trascorsa patologizzazione delle identità sessuali non eteronormate e della mancanza di formazione specifica su tematiche LGBT.

Ne sono un esempio i dati riportati da Lambda Legal a proposito della discriminazione sanitaria subita dalle persone LGBTQ+:

“[...] rifiuto delle cure necessarie; operatori sanitari che si rifiutano di toccare i pazienti o usano precauzioni eccessive; operatori sanitari che utilizzano un linguaggio aspro o offensivo; essere incolpati per il proprio stato di salute; o operatori sanitari che sono fisicamente violenti.

Secondo i risultati, quasi il 56% degli intervistati lesbiche, gay o bisessuali (LGB) ha avuto almeno una di queste esperienze; Il 70% degli intervistati transgender e di genere non conforme ha avuto una o più di queste esperienze; e quasi il 63% degli intervistati che vivono con l'HIV ha sperimentato uno o più di questi tipi di discriminazione nell'assistenza sanitaria.”

È fondamentale che gli interventi psicologici a persone LGBTQ+ vengano condotti da professionisti competenti in materia, allo scopo di fornire un sostegno adeguato e mirato a rispondere ai bisogni di questa parte di popolazione.

In terapia si valida l’identità individuale lavorando sulla consapevolezza del disagio e sulla costruzione di strategie utili a gestirlo. Tutto questo avviene in un’ottica GSRD (gender, sexual and relationship diversity therapy), in cui il setting terapeutico, privo di micro-aggressioni, permette l’esplorazione di sé e la riduzione del disagio percepito.

Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista.
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