Psicologia della salute
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Il sintomo: una porta di accesso al mondo interno

Il sintomo: una porta di accesso al mondo interno
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Una delle “porte” che guida il terapeuta ad entrare nel mondo interno del paziente è il sintomo. La peculiare modalità di dare un significato psicologico al comportamento sintomatico è di per sé salutare, perché normalizza e allontana la percezione di alienità e di inadeguatezza che i sintomi suscitano, permettendo agli interlocutori di poterne parlare come di qualcosa di comprensibile.

Il termine “sintomo” viene fatto risalire al greco symptoma, il cui significato è “coincidenza”, “avvenimento”. Secondo l’immaginario collettivo, il sintomo è considerato secondo un’accezione negativa, come qualcosa che non funziona nell’individuo.

Oggi viene considerato come una sensazione soggettiva di un qualche disturbo o malattia che altera la normale sensazione di sé e del proprio corpo. Spesso accade che il portatore del sintomo non comunichi neanche a sé stesso il significato di ciò che esso esprime, rendendo necessario che sia il clinico a fornire una spiegazione di ciò che sta accadendo.


I sintomi egosintonici

I sintomi egosintonici sono quelli vissuti come “convenienti” e non in contrasto con l’Io, ci vengono presentati come realtà che non si può fare a meno di considerare dolorose, ma allo stesso tempo irrinunciabili. Ne sono un esempio l’anoressia o la bulimia o la tossicodipendenza.

I vissuti egosintonici, legati a sintomi così disturbanti, ci rivelano gli aspetti difensivi della psiche del paziente, che hanno la loro radice nello stress post-traumatico da cui si difendono aggrappandosi alla “zattera del comportamento patologico”.

Andrea Piacquadio - Pexels


In questi casi, il sintomo ci indica la dimensione del trauma: guida l’indagine ricostruttiva iniziale e ci fa pensare alla presenza di una ferita che ha colpito il paziente nella sua crescita. Gli effetti del sintomo sono visibili sulla:

  • relazione;
  • soggettività;
  • cultura e contesto di appartenenza.

Quando questi eventi sfavorevoli, reali o interpersonali, saranno venuti alla luce e verranno condivisi e compresi, il portatore di sofferenza potrà iniziare a pensare alla propria vita oltre il sintomo.


C’è connessione tra sintomo e personalità?

La relazione tra sintomo e personalità ci consente di notare come è cresciuto il paziente. Alla sofferenza può seguire una richiesta d’aiuto o, al contrario, una negazione del problema. Questo ci consente di individuare due tipi di attaccamento e due sottogruppi in base alle caratteristiche di dipendenza:

  • gruppo ambivalente: il paziente si percepisce senza valore, con scarse risorse, orientato a ricevere solo dall’altro il sostegno e la soluzione dei suoi problemi;
  • gruppo evitante: il soggetto si mostra orientato a lottare in solitudine, diffidando dell’aiuto esterno, considerato non affidabile.


All’interno di queste due macro categorie ci sono però anche dei sottogruppi, che derivano dagli attaccamenti disorganizzati. In questi ultimi, l’attaccamento ambivalente o quello evitante verranno alternati e selezionati in modo incongruo.


Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista.
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