Una delle “porte” che guida il terapeuta a entrare nel mondo interno della persona è il sintomo. Dare un significato psicologico al comportamento sintomatico può essere già di per sé salutare, perché normalizza e allontana la percezione di alienità e inadeguatezza che i sintomi spesso suscitano. Questo permette di parlarne come di qualcosa di comprensibile.
Il termine “sintomo” deriva dal greco symptoma, “ciò che accade/accadimento”. Pur essendo spesso percepito negativamente nell’immaginario collettivo, può essere inteso anche come segnale o messaggio di un equilibrio che si è alterato e che richiede comprensione e intervento.
Oggi, il sintomo viene considerato come una sensazione soggettiva di un qualche disturbo o malattia che altera la normale percezione di sé e del proprio corpo. Spesso accade che chi sperimenta il sintomo non comunichi neanche a sé stesso il significato di ciò che prova, rendendo necessario che sia il clinico a fornire una spiegazione di ciò che sta accadendo.
I sintomi egosintonici
I sintomi egosintonici sono vissuti come “coerenti” e in linea con l’immagine di sé. Si presentano come realtà dolorose, ma allo stesso tempo percepite come irrinunciabili. Ne sono un esempio l’anoressia, la bulimia o la tossicodipendenza.
Questi vissuti ci rivelano gli aspetti difensivi della psiche della persona, che spesso hanno radici nello stress post-traumatico. In questi casi, ci si aggrappa alla “zattera del comportamento patologico” per difendersi.
In queste situazioni, il sintomo indica la dimensione del trauma: guida l’indagine ricostruttiva iniziale e suggerisce la presenza di una ferita che ha segnato la crescita della persona. Gli effetti del sintomo possono riflettersi su:
- relazione;
- soggettività;
- cultura e contesto di appartenenza.
Quando questi eventi sfavorevoli, reali o interpersonali, vengono alla luce e sono condivisi e compresi, la persona che soffre può iniziare a immaginare la propria vita oltre il sintomo.
Implicazioni cliniche dei sintomi egosintonici
Dal punto di vista clinico, i sintomi egosintonici – cioè percepiti come coerenti con il proprio sé – sono spesso associati a una scarsa consapevolezza di malattia (insight) in diversi disturbi mentali. Questo non riguarda solo la schizofrenia, ma anche disturbi dell'umore, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi alimentari, fobie e disturbi di personalità (Konstantakopoulos, 2019). Poiché la persona li vive come parte integrante di sé, può mancare la consapevolezza della loro natura problematica. Questo rende difficile riconoscere il bisogno di aiuto: spesso non si percepisce la necessità di un cambiamento o di un supporto psicologico. Anche quando si inizia un percorso terapeutico, può emergere una forte resistenza a modificare i comportamenti o i pensieri egosintonici. Inoltre, la mancata consapevolezza può favorire il mantenimento del sintomo nel tempo, con un impatto negativo sulla qualità della vita e sulle relazioni. Per questi motivi, il lavoro terapeutico con sintomi egosintonici richiede particolare attenzione, empatia e strategie mirate per favorire la consapevolezza e la motivazione al cambiamento.
Esempi concreti di sintomi egosintonici
I sintomi egosintonici possono manifestarsi in diversi modi, coinvolgendo pensieri, emozioni e comportamenti. Alcuni esempi concreti aiutano a chiarire come si presentano nella vita quotidiana:
- Nei disturbi alimentari come l'anoressia nervosa, i comportamenti alimentari restrittivi vengono spesso vissuti dalla persona come una virtù o una fonte di orgoglio, piuttosto che come un problema. Questa percezione positiva e l’egosintonia dei sintomi contribuiscono a una scarsa accuratezza nell’auto-valutazione, all’evitamento del trattamento, a difficoltà nella relazione terapeutica e a tassi elevati di abbandono e ricaduta (Vitousek et al., 1998).
- Uso di sostanze: chi fa uso di sostanze può vedere questa abitudine come una scelta personale o un modo per gestire lo stress, senza riconoscerne i rischi.
- Perfezionismo estremo: la tendenza a essere eccessivamente perfezionisti può essere vissuta come un punto di forza, anche quando causa sofferenza o isolamento.
- Comportamenti di dipendenza dal lavoro (workaholism): lavorare in modo compulsivo può essere interpretato come segno di dedizione e successo, piuttosto che come un sintomo di disagio.
In tutti questi casi, la persona tende a giustificare o minimizzare il sintomo, rendendo più difficile il riconoscimento del problema.

Sintomi egosintonici ed egodistonici: le differenze fondamentali
Per comprendere meglio i sintomi egosintonici, è utile confrontarli con i sintomi egodistonici. I sintomi egosintonici sono vissuti come coerenti con il proprio modo di essere: la persona li percepisce come parte integrante della propria identità e spesso non sente il bisogno di modificarli. Ad esempio, un comportamento di controllo eccessivo può essere interpretato come un segno di responsabilità e non come un problema. È interessante notare che il livello di Ricerca della Novità (Novelty Seeking) rappresenta un elemento distintivo tra sintomi egosintonici ed egodistonici: bassi livelli di Ricerca della Novità sono stati associati in particolare ai sintomi egosintonici (Marchesi et al., 2008).
Al contrario, i sintomi egodistonici sono percepiti come estranei, fastidiosi o in conflitto con la propria identità; chi li sperimenta li vive come fonte di disagio e desidera liberarsene, come avviene frequentemente nei disturbi ossessivo-compulsivi, dove i pensieri intrusivi sono vissuti come inaccettabili. Questa distinzione è fondamentale per la comprensione e il trattamento dei sintomi psicologici, poiché influenza profondamente la motivazione al cambiamento e la richiesta di aiuto.
Definizione clinica di sintomi egosintonici
I sintomi egosintonici sono manifestazioni psicologiche, comportamentali o emotive che risultano coerenti con l'immagine che la persona ha di sé, con i propri valori e con il proprio modo di pensare. In altre parole, chi sperimenta un sintomo egosintonico lo percepisce come parte integrante della propria identità, non come qualcosa di estraneo o in conflitto con il proprio Io.
Questa caratteristica può rendere i sintomi egosintonici particolarmente insidiosi: spesso non vengono riconosciuti come problematici dalla persona stessa, che può considerarli normali o addirittura utili per il proprio equilibrio interno.
C’è connessione tra sintomo e personalità?
La relazione tra sintomo e personalità permette di osservare come è cresciuta la persona. È importante sottolineare che i disturbi di personalità in cui prevalgono sintomi egosintonici possono essere compresi come profili di tratti amplificati (Paris, 2015). Alla sofferenza può seguire una richiesta d’aiuto o, al contrario, una negazione del problema. Questo consente di individuare due tipi di attaccamento e due sottogruppi in base alle caratteristiche di dipendenza:
- gruppo ambivalente: la persona si percepisce senza valore, con scarse risorse, orientata a ricevere solo dall’altro il sostegno e la soluzione dei suoi problemi;
- gruppo evitante: la persona si mostra orientata a lottare in solitudine, diffidando dell’aiuto esterno, considerato non affidabile.
All’interno di queste due macro categorie esistono anche dei sottogruppi, che derivano dagli attaccamenti disorganizzati. In questi ultimi, l’attaccamento ambivalente o quello evitante vengono alternati e selezionati in modo incongruo.
Unobravo: un alleato nel cambiamento
Riconoscere e comprendere i propri sintomi, soprattutto quelli egosintonici, può rappresentare un primo passo importante verso il benessere. Non sempre è facile accorgersi di ciò che ci fa soffrire, soprattutto quando certi comportamenti o pensieri sembrano parte di noi. Ma non sei solo: con il supporto di uno psicologo puoi esplorare il tuo mondo interno in un ambiente sicuro, accogliente e senza giudizio. Se senti che qualcosa non ti fa stare bene, anche se fatichi a dargli un nome, affidati a Unobravo: inizia il questionario per trovare il tuo psicologo online e scopri come possiamo aiutarti a trasformare il sintomo in una nuova possibilità di crescita.








