Chi lascia la propria terra, parte per raggiungere un futuro ignoto, un mondo ancora sconosciuto, con la speranza di una vita migliore. Si arriva in un contesto diverso e nuovo, sperando di trovare una realtà più prospera dove potersi sistemare. In questo quadro ci si adatta, si mira a raggiungere quel benessere che nella propria località non è stato possibile realizzare. Ma il cuore è rimasto là… nel paese di origine!
Cosa intendiamo con “casa”?
Quante volte abbiamo detto “voglio tornare a casa”? La casa rappresenta uno spazio privato pieno di significati simbolici ed emozionali, che la rendono specchio e riflesso della nostra identità psichica e del modo di rapportarci agli altri.
È frequente avere dei luoghi preferiti e altri poco graditi: questo viene definito dalla psicologia ambientale Place Identity ovvero ciò che permette di spiegare perché i diversi ambienti generano comportamenti e vissuti diversi.
L’identità di luogo
Il luogo dove si spera di avere un “futuro migliore” è spesso ricco di fantasie. Migrare è un movimento difficile che mette alla prova le capacità individuali della persona, alla quale è richiesta una riorganizzazione importante del proprio bagaglio psichico, sociale e culturale.
Ci si augura di avere l’opportunità di sviluppare un’identità biculturale, ovvero quella combinazione tra la propria identità di provenienza, unita a un nuovo legame con la nazionalità della nuova patria, al fine di raggiungere un ottimale adattamento.
Mal di casa e processo di adattamento
In chi parte c’è sempre una voce che dice “ritornerò!”. Il ritorno ai luoghi natii comporta l’entrare a contatto con una realtà diversa, trasformata, ma intrinsecamente legata ad un passato felice. Quando si è lontani, è importante ritagliarsi dei momenti per poter tornare ai propri luoghi d’infanzia, per riscoprirsi e ritrovare sé stessi.
“La cosa più bella di un viaggio è il ritorno a casa. Apri la porta e senti quell’odore misto di mobili, libri e persone che ami, che è una fragranza unica. Il profumo di casa tua” F. Brizzi
Sentimenti condivisi: istinto, nostalgia, adattamento
In qualsiasi parte del mondo ci troviamo, non possiamo dimenticare le nostre origini. Sono queste a definire la nostra identità e a far si che possiamo raggiungere la meta prefissata, quella nuova realtà dove stabilirci e co-costruire un nuovo percorso di vita, una nuova avventura. Siamo noi il nostro Paese e possiamo personificarlo ovunque le esperienze possano condurci.
Chi emigra è spinto, spesso, dal non avere alternativa o dalla volontà di migliorare la propria condizione di vita e perciò si impegnerà per rendere ciò realizzabile. Si imbatterà in dinamiche lungo un continuum tra diffidenza e accoglienza, cercando e trovando un proprio posto.
Tornare, come una scelta
Che ci piaccia o no, i luoghi dove siamo cresciuti ci modellano ed influiscono sul nostro essere, contribuendo a renderci quelli che siamo.
I luoghi di provenienza ci fanno viaggiare indietro nel tempo e hanno un valore affettivo unico. Soprattutto in questo periodo, dove il senso di solitudine dilaga, siamo alla ricerca di radici affettive stabili, di quella voglia di sentirci al sicuro, “un po' come a casa”.
“Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti” C. Pavese
Tornare, come sfida
Quando si è vissuto in un altro paese, inevitabilmente si ci renderà conto che alcuni adattamenti costituiscono una vera e propria sfida. Poco spazio di riflessione viene dato al riadattamento, cioè quella condizione di rientro al proprio paese di origine, dopo essersi già distaccati in precedenza. Sentirsi un estraneo a casa propria? È possibile e anche frequente. Un vero e proprio shock culturale inverso, dover imparare di nuovo a vivere nel proprio paese.
“Non c’è niente come tornare in un luogo che non è cambiato, per rendersi conto di quanto sei cambiato” N. Mandela
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