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“La Vita di Chuck”: riflessioni psicologiche su memoria, identità e accettazione

“La Vita di Chuck”: riflessioni psicologiche su memoria, identità e accettazione
Ilaria Tonelli
Psicologa a orientamento Psicodinamico
Redazione
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Ultimo aggiornamento il
2.12.2025
“La Vita di Chuck”: riflessioni psicologiche su memoria, identità e accettazione
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The Life of Chuck è un film che, pur partendo da una premessa apparentemente semplice, la ricostruzione della vita di un uomo comune, in realtà si sviluppa come meditazione profonda sull’esistenza, la morte, la memoria e il significato. Attraverso una struttura narrativa non lineare, il dolore e la speranza, il reale e l’immaginario si mescolano per invitare lo spettatore a riflettere su cosa voglia dire “vivere pienamente”, anche di fronte all’inevitabile.

Struttura narrativa e memoria

Una delle scelte più interessanti è quella di narrare a ritroso: prima la morte di Chuck, poi il suo periodo adulto, infine l’infanzia. Questa inversione temporale ha effetti psicologici notevoli.

In prima istanza la riduzione della distanza emotiva, in quanto lo spettatore parte dal momento più estremo, quello della fine, che è già carico di tutto ciò che è stato. Non si attende che il dolore arrivi, è già presente dall’inizio. Questo crea empatia immediata, con la conseguente comprensione del dolore del distacco. La naturale fine della vita, narrata come un cataclisma meraviglioso, carico di emozioni contrastanti come la paura e la meraviglia.

Si accede poi alla memoria e ricostruzione andando “indietro” nel tempo. Il film mostra non solo ciò che Chuck ha vissuto, ma come quegli eventi abbiano formato la sua mente, la sua identità, e il suo modo di percepire il mondo. È una specie di ricostruzione della coscienza che cerca di dare senso alla totalità della vita attraverso i ricordi. Ogni evento è una risonanza dell’infanzia, un ricordo non cosciente che però si manifesta per altre vie, altre azioni. 

Il film è carico di simbolismo della decadenza; attraverso le immagini apocalittiche, il mondo che “collassa” intorno a Chuck, sono metafore che visualizzano ciò che accade dentro una mente che sta lottando contro la malattia terminale , la frammentazione del sé, la perdita di controllo, la morte come dissoluzione non solo fisica ma mentale.

Identità, scelte e “moltitudini interiori”

Una frase che ricorre nei commenti sul film è quella tratta da Walt Whitman: “I Contain Multitudes”. Questo suggerisce un concetto psicologico rilevante: non siamo solo il risultato delle scelte che facciamo, ma di una moltitudine di influenze, di relazioni, di ostacoli, di sogni, di ricordi.

Dentro ogni essere vivente, dentro ogni uomo, vi sono moltitudini che concorrono alla sua pianezza. Queste moltitudini si esprimono attraverso ricordi, azioni, scelte, credenze e si sviluppano nel corso delle ere temporali. Ciascuno custodisce moltitudini antiche che affondano le loro radici negli antenati, nell’universo ancestrale.

Chuck è un uomo ordinario: contabile, con un’esistenza che apparentemente non eccelle. Ma attraverso il film si scopre che la sua vita è piena di bellezza, di momenti di grazia, di relazioni semplici ma profonde. Psicologicamente, questo parla del valore del quotidiano, del momento presente.

Quanto contano per la nostra identità le piccole cose, come la danza, la musica, i legami affettivi che spesso trascuriamo. Il film invita a riconoscere che sono queste “contaminazioni”, questi piccoli universi, a dare senso e ricchezza alla vita. I piccoli istanti nutrono di significato il quotidiano. E’ attraverso questi fugaci momenti che si alimenta il momento presente rendendolo ricco di significato.

Chuck appare come qualcuno che vive dentro ruoli (il contabile, l’uomo ordinario) che gli sono stati dati o che ha interiorizzato. Ma ci sono momenti in cui rompe questo schema (come la scena di danza in strada) riconnettendosi a sé stesso, al desiderio, alla vita. Danzando Chuck si ricongiunge al bambino interiore, toccando un momento di auto-espansione, di autenticità. Infatti, ogni volta che l’adulto incontra il sé bambino, può raggiungere una vera pienezza emotiva, si può lasciare andare rompendo gli schemi del “dovere”, delle “aspettative”.

Il confronto con la morte: paura, accettazione e significato

La malattia terminale che Chuck affronta (un tumore al cervello) non è solo un elemento di trama ma il centro psicologico su cui il film poggia la sua riflessione.

La morte è come un’apocalisse personale. La fine non è solamente fisica, ma anche mentale, emotiva, simbolica. Quando il mondo “cade a pezzi”, è la coscienza, la percezione, la memoria che sembrano disintegrarsi.

Questa visione contribuisce a ciò che in psicologia si chiama anticipatory grief (“lutto anticipatorio”), la consapevolezza anticipata della perdita, che può portare a vivere le relazioni o il tempo in modo profondamente diverso. L’apocalisse della morte umana coincide con la fine dell’universo. Il tempo non ha più confini perché i confini stessi non esistono più. Nell’implosione del mondo interno vi è un’esplosione del mondo esterno. Si torna ad essere parte di un tutto universale. Il tempo nel suo sistema universale, Kairos, si integra con la sua dimensione di finitezza, Chronos.

Il percorso di Chuck non è tanto segnato dalla lotta contro la morte, quanto dall’accettazione, dal riuscire a godere i piccoli momenti significativi prima che tutto finisca. Questo implica una trasformazione profonda dove la paura non è negata, ma integrata; il dolore è riconosciuto come parte della vita, non come qualcosa da cancellare. Chuck decide di vivere ogni istante della propria esistenza, accetta di vivere il qui ed ora.

Effetti sullo spettatore: empatia, riflessione esistenziale, consapevolezza

Un film come La vita di Chuck non è soltanto un’esperienza narrativa, ma un’occasione per porsi degli interrogativi mettendosi in una posizione di osservazione e di riflessione. Osservare la vita di un uomo “normale” con la sua dose di difficoltà, ma anche di momenti belli, permette di riconoscere la propria vita come significativa. Ci invita a rivalutare il quotidiano, non come banale, ma come fonte di senso. Le vicende del quotidiano trovano una dimensione nuova, un valore nuovo.

Così come il tempo che è limitato, lo sappiamo, ma il film rende questa consapevolezza tangibile, muovendosi a ritroso, mostrandoci che ogni momento vissuto bene conta. Se si potesse conoscere la propria fine in anticipo, come sarebbe speso il tempo a disposizione? Le relazioni quale peso avrebbero? Cosa conta realmente? Le relazioni, l’amore, i momenti di bellezza, la memoria, l’autenticità. Non il successo esterno, il prestigio, o il ruolo sociale o meglio, questi contano, ma non sono ciò che definisce la ricchezza di una vita.

Criticità e limiti psicologici

Nessuna opera è perfetta ed alcune riflessioni che emergono offrono uno spunto per una critica costruttiva. Il film potrebbe essere accusato da alcuni di indulgere troppo nell’emotività, nel pathos, rischiando di banalizzare il dolore o ridurlo a immagine commovente. Tuttavia, molti critici sottolineano che Flanagan evita questo scivolamento grazie a una regia attenta, sensibile. Conoscere la fine permette di fantasticare sul principio, sul come si sia arrivati fin là.

Non tutti hanno esperienze che rispecchiano la malattia terminale o la perdita imminente. Il film colma questa distanza evocando metafore universali, ma alcune scene possono risultare troppo simboliche o astratte per chi preferisce un realismo più crudo. Inizialmente infatti, non si comprende chi sia Chuck, cosa stia accadendo nel mondo reale.

In effetti vi è un’interpretazione soggettiva / interpretazione universale: il film lascia molto spazio all’interpretazione personale (la stanza chiusa, le immagini apocalittiche, i manifesti “39 splendidi anni”), il che è bello, ma può anche creare disorientamento o una sensazione di incompletezza se si cerca una spiegazione “definitiva”.

Conclusione

La Vita di Chuck è un’opera che va oltre il semplice racconto; infatti è un invito a guardarsi dentro, a non dare per scontata l’ordinarietà, a riconoscere che ogni vita contiene moltitudini di ricordi, desideri, fragilità, bellezza e che la morte non è solo una fine, ma un evento che può insegnare come vivere. Da un punto di vista psicologico il film propone un percorso che parte dalla paura e dalla perdita per arrivare a una forma di accettazione, che non annulla il dolore ma lo integra, rendendo possibile una vita piena di un “sé presenza”, anche nei momenti più oscuri.

La semplicità de La Vita di Chuck insegna che si può vivere il momento presente perché “tanti qui ed ora” confluiscono in un tempo universale al quale tutti noi apparteniamo.

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