Emozioni e sentimenti sono esperienze profondamente intrecciate, tanto che spesso è difficile tracciarne un confine netto. Le emozioni rappresentano reazioni immediate, intense e fugaci; i sentimenti, invece, nascono da esse e si trasformano in stati più duraturi, che si radicano nel tempo e contribuiscono a modellare il nostro modo di percepire il mondo.
Eppure, anche quando viviamo pienamente queste esperienze, può risultare difficile trovare le parole giuste per definirle.
Questo articolo esplora proprio quei sentimenti “difficili da descrivere”: sfumature della nostra esperienza di vita che magari ci accompagnano da tempo, ma che non abbiamo mai imparato a denominare. Scoprire come altre lingue e culture li descrivono può aiutarci a riconoscerli anche dentro di noi dando voce a esperienze universali che, fino a ieri, ci sembravano solo ineffabili.
Awumbuk: il vuoto dopo la partenza
Un ospite che se ne va, può farci percepire nell’aria un senso di vuoto, una calma sospesa che riempie gli spazi prima condivisi. Nella lingua dei Baining di Papua Nuova Guinea, questo sentimento ha un nome preciso: awumbuk.
Questa specifica forma di malinconia che segue la partenza di qualcuno viene concettualizzata come una sorta di “sbornia sociale” che, secondo la tradizione, dura tre giorni e lascia le persone spossate, incapaci di concentrarsi o di riprendere le normali attività quotidiane (Majid, 2019).
Questo fenomeno rivela come le culture possano nominare e dare forma a esperienze emotive universali in modi profondamente diversi: ciò che per noi è solo una vaga sensazione di nostalgia o silenziosa mancanza, per altri diventa un sentimento riconosciuto, legittimato e perfino ritualizzato. Come osserva Asifa Majid (2019), la parola awumbuk ci aiuta a comprendere non solo la varietà del lessico emotivo umano, ma anche come il terreno che accomuna le nostre esperienze più intime sia simile a prescindere dal contesto culturale.
Basorexia: l’impulso di un bacio inaspettato
Alcuni sentimenti somigliano a un impulso improvviso, quasi una spinta sottile e difficilmente definibile, ma inconfondibile nella sua esperienza. L’impulso a baciare qualcuno prende il nome di basorexia: un desiderio che nasce all’improvviso, a metà tra emozione e istinto, e che rivela quanto corpo e mente possano fondersi.

L’appel du vide: il richiamo del nulla
“L’appel du vide”, letteralmente “il richiamo del vuoto”, descrive quella sensazione irrazionale e fugace che possiamo provare di fronte a un precipizio, sul bordo di una scogliera o in attesa di un treno in corsa: un impulso improvviso verso il vuoto, non tanto come desiderio di morte, quanto come consapevolezza della possibilità del cadere.
Il “vuoto” a cui ci si riferisce non è però inteso in senso prettamente fisico. In ambito teatrale ad esempio, Maïsetti (2009) nota come il vuoto porti spesso ad intuizioni e spazi in cui tutto può ancora accadere. L’autrice lo definisce “l’ipotesi, il tempo prima dell’inizio, e lo spazio primo dove cominciare”.
Torschlusspanik: la sensazione di urgenza
La parola tedesca Torschlusspanik, letteralmente “panico da chiusura del portone”, descrive un tipo particolare di ansia legata al trascorrere del tempo e al timore di perdere delle opportunità. In origine indicava la paura dei viaggiatori di non riuscire a rientrare in città prima che le porte venissero chiuse per la notte; oggi il termine evoca un senso più esistenziale di fretta e inquietudine di fronte ai limiti della vita.
Negli ultimi anni, Portmann (2018) ne ha evidenziato la rilevanza per la filosofia delle emozioni, distinguendo tra una forma “funzionale”, connessa a scadenze o decisioni concrete, e una “esistenziale”, legata alla consapevolezza del tempo che passa e alla paura di restare indietro. Questo termine ci permette di definire un'ansia che non è solo il segnale di un’occasione che sfugge, ma anche un riflesso del desiderio di dare senso e direzione alla propria esistenza, prima che il “portone” del possibile si chiuda.

Ilinx: la tentazione della distruzione
Capita, soprattutto durante picchi emotivi, di avere la tentazione di rompere qualcosa. Questa stessa sensazione può nascere anche solo per il brivido di farlo. Questa è l’“ilinx”, il desiderio di distruggere oggetti e regole in un mondo che spesso ci richiede ordine e controllo.
Amae: il conforto dell’essere coccolati
Il termine giapponese amae descrive un sentimento complesso e profondamente radicato nella cultura nipponica: il desiderio di abbandonarsi con fiducia alla benevolenza e alla cura di un altro, come un bambino che si affida completamente alla madre. Non si tratta di dipendenza, ma di una forma di intimità che nasce dal sentirsi accettati e protetti senza riserve.
Lo studio di Niiya, Ellsworth e Yamaguchi (2006) ha indagato l’esperienza di amae sia in Giappone che negli Stati Uniti, dove non esiste un termine equivalente. I risultati hanno mostrato che in situazioni che evocano amae sia i partecipanti giapponesi che quelli americani provano emozioni positive e percepiscono una maggiore vicinanza relazionale rispetto ad altre condizioni.
Tuttavia, mentre i giapponesi vivono l'amae come un atto naturale di fiducia e connessione, gli americani tendevano a sentire maggiore necessità di controllo quando veniva chiesto loro un favore, segnalando una diversa interpretazione. Questa ricerca ci offre una prospettiva per comprendere l'utilità di recuperare questi termini. Essi ci permettono sia di arricchire la nostra quotidianità che comprendere meglio le differenti culture.
Saudade: la nostalgia di ciò che è lontano
La “saudade” è un sentimento profondo di nostalgia tipico della cultura portoghese. Molto famosa e studiata, quel misto di tristezza e amore che proviamo pensando a qualcosa o qualcuno che non è più con noi è un’esperienza universale e significativa.
Matutolypea: svegliarsi dal lato sbagliato del letto
“Matutolypea” è una parola che indica quella sensazione di irritabilità o malumore che alcuni di noi possono provare di tanto in tanto dopo un brusco risveglio.
Malu: l’inferiorità improvvisa
“Malu” è quella sensazione di timore o inferiorità che può coglierci all’improvviso, come quando ci troviamo in presenza di qualcuno che temiamo o di situazioni soverchianti.

Pronoia: la sensazione che l’universo sia alleato
Il termine “Pronoia” è il contrario della parola paranoia: non il timore che gli altri tramino contro di noi, ma la convinzione che il mondo stia segretamente lavorando per il nostro bene. È una sensazione di fiducia profonda, un ottimismo di fondo che ci porta a credere che le persone e le circostanze siano, in ultima analisi, favorevoli. Già nel 1982, Goldner descrive la pronoia come la percezione che gli altri pensino bene di noi e apprezzino ciò che facciamo, una sorta di “illusione benevola” che trasforma i gesti quotidiani di cortesia in segni di sincero affetto e sostegno. Secondo Goldner, questa tendenza nasce dalla complessità sociale e dall’ambiguità culturale, dove il giudizio altrui diventa un elemento centrale per definire la nostra identità.
Pur avendo una componente illusoria, la pronoia può essere reinterpretata in chiave positiva: possiamo vederla come una pratica per allenarci alla fiducia. Coltivare una forma di pronoia nella vita quotidiana significherebbe dunque allenarsi a riconoscere i gesti gentili, a interpretare gli eventi in chiave costruttiva e a credere, almeno un po’, che l’universo non sia un avversario, ma un alleato nel nostro cammino





