È capitato a tutti, almeno una volta, di fermarsi a pensare: “Perché mi ritrovo sempre nella stessa situazione?”. Spesso, senza accorgersene, si finisce per creare — in modo più o meno consapevole — le stesse condizioni che portano a ripetere determinati schemi di comportamento.
Ma perché ci si autosabota? E, soprattutto, perché questo accade più volte, anche quando si è consapevoli delle conseguenze negative?
In questo articolo si spiegherà il processo di autosabotaggio, facendo riferimento al libro Terapia ricostruttiva interpersonale per la rabbia, l’ansia e la depressione di Lorna Smith Benjamin, psicologa e psicoterapeuta americana, fondatrice di questo modello di terapia.
La teoria dell’evoluzione nelle relazioni familiari
Fin da piccoli, per via di un naturale istinto di sopravvivenza, siamo portati a captare tutti i segnali non verbali dei nostri genitori e a copiare i loro comportamenti. Quando la mamma scimmia con in braccio il suo cucciolo incontra un serpente, immediatamente si irrigidirà per la tensione e la paura e scapperà via.
Il cucciolo imparerà all’istante che, se si troverà davanti un serpente, dovrà avere paura e fuggire al più presto.
Dunque, la comunicazione non verbale ci aiuta ad avvertire una minaccia e imitare i comportamenti delle nostre figure di accudimento ci fa sentire al sicuro. Lo schema generale si può riassumere così:
- identificare una minaccia;
- provare paura;
- fare ciò che fanno i genitori;
- sentirsi al sicuro.
Mettere in atto questo schema di regole e conformarsi ai desideri delle figure di attaccamento attiva il sistema parasimpatico, il cosiddetto “sistema di sicurezza”, che rilascia nell’organismo ormoni e sostanze gratificanti. Dal punto di vista evolutivo, questo tipo di apprendimento tende a consolidarsi nel tempo, poiché le minacce percepite come reali vengono memorizzate come segnali di pericolo e mantengono la loro funzione di protezione.
Secondo Lorna Smith Benjamin, impariamo le lezioni sul senso di minaccia e di sicurezza trasmesse dai nostri genitori attraverso specifici processi di copia:
- Identificazione: “Sii come lui o lei.”
- Ricapitolazione: “Agisci come lui o lei.”
- Introiezione: “Tratta te stesso come ti trattava lui o lei.”
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I doni d’amore verso la famiglia in testa
Cercare di sfidare le regole di sicurezza apprese durante l’infanzia può risultare spaventoso, mentre seguirle genera un senso di soddisfazione e familiarità. Questo avviene perché, inconsciamente, si percepisce di dimostrare lealtà e affetto verso le figure genitoriali, che da noi si aspettavano proprio quel tipo di comportamento.
Questo meccanismo è definito da Lorna S. Benjamin (Terapia ricostruttiva interpersonale per la rabbia, l’ansia e la depressione, 2003) come “dono d’amore” nei confronti della “famiglia in testa”: le rappresentazioni interiorizzate delle persone amate, che sembrano approvare e “essere felici” quando continuiamo a comportarci secondo le regole che ci hanno insegnato.
L’autosabotaggio come dono d’amore
Nonostante questo “dono d’amore” possa offrire una sensazione di soddisfazione e sicurezza, può allo stesso tempo tradursi in comportamenti di autosabotaggio che, in modo più o meno consapevole, tendiamo a ripetere nel tempo.
Da bambini non siamo in grado di distinguere se le “lezioni” apprese dai genitori siano davvero funzionali al nostro benessere presente e futuro. Quando interiorizziamo e replichiamo schemi disadattivi, anche i nostri comportamenti tenderanno a esserlo, pur apparendo a volte privi di logica o coerenza.
Così, se durante l’infanzia si è stati spesso rimproverati con frasi come “Ma riesci mai a farne una giusta?”, attraverso il processo di introiezione potremmo protrarre quel modello appreso e rivolgere a noi stessi la stessa critica, continuando inconsciamente a ripetere il dono d’amore originario. In questo modo, si alimenta la convinzione di essere incompetenti o destinati a fallire, mantenendo vivo un circuito di autosabotaggio che nasce proprio dal bisogno di restare fedeli a quelle antiche regole d’amore (Benjamin, 2003).

Cos’è l’autosabotaggio? Una definizione chiara
Prima di approfondirne le origini, è utile chiarire cosa si intende per autosabotaggio. Si parla di autosabotaggio quando una persona, spesso in modo inconsapevole, mette in atto comportamenti, pensieri o scelte che finiscono per ostacolare il proprio benessere o il raggiungimento dei propri obiettivi.
Queste dinamiche possono emergere in diversi ambiti della vita — dal lavoro alle relazioni, fino alla cura di sé — e sono spesso guidate da convinzioni profonde o da schemi appresi nel tempo.
L’autosabotaggio non rappresenta una debolezza né una mancanza di volontà, ma piuttosto un meccanismo di adattamento complesso, che affonda le sue radici nella storia personale e relazionale di ciascun
Come può manifestarsi l’autosabotaggio: comportamenti e vissuti comuni
L’autosabotaggio può assumere molte forme, alcune facilmente riconoscibili, altre più sottili e difficili da individuare.
Una delle manifestazioni più comuni è la procrastinazione, ossia la tendenza a rimandare compiti o decisioni importanti anche sapendo che ciò potrà avere conseguenze negative. Spesso, dietro questo comportamento si nasconde la paura di fallire o di non essere all’altezza.
Un’altra forma frequente è l’autosvalutazione, che si manifesta nel criticare se stessi con eccessiva durezza, nel minimizzare i propri successi o nell’attribuire i risultati positivi al caso. Questi atteggiamenti possono portare a non cogliere opportunità o a rinunciare in anticipo, prima ancora di tentare.
Infine, l’autosabotaggio può emergere anche nella scelta di relazioni disfunzionali: alcune persone tendono a cercare o mantenere rapporti che confermano una visione negativa di sé, come se in qualche modo meritassero di essere trascurate o trattate male.
La paura del successo, invece, può portare a evitare situazioni che offrirebbero riconoscimento o possibilità di crescita, per il timore di non saper gestire nuove responsabilità o di perdere l’approvazione degli altri.
Alcune forme di autosabotaggio assumono connotazioni più autolesionistiche, come trascurare il proprio benessere, abusare di sostanze o isolarsi dagli altri. È stato infatti dimostrato che abusi sessuali e fisici subiti durante l’infanzia rappresentano predittori significativi di comportamenti autolesionistici, come il taglio o i tentativi di suicidio (van der Kolk et al., 1991).
Cause dell’autosabotaggio: oltre la famiglia in testa
Sebbene il modello della “famiglia in testa” di Lorna S. Benjamin offra una chiave di lettura preziosa, l’autosabotaggio può avere origini diverse e spesso multifattoriali. Ad esempio, esperienze infantili di negligenza fisica sono state associate allo sviluppo di comportamenti di autosabotaggio medico in età adulta (Sansone et al., 2008). Una bassa autostima può indurre una visione negativa di sé, alimentando la convinzione di non meritare successo o felicità e spingendo verso comportamenti che confermano questa percezione.
Anche la paura del cambiamento può generare ansia e resistenza, portando a restare in una zona di comfort che, sebbene dolorosa, appare più sicura. Infine, i condizionamenti sociali e culturali possono spingere a rinunciare ai propri desideri per conformarsi alle aspettative esterne, rinforzando così gli schemi di autosabotaggio.
Riconoscere la complessità delle cause dell’autosabotaggio rappresenta un primo passo fondamentale per affrontarlo con maggiore consapevolezza e gentilezza verso se stessi.

Conseguenze dell’autosabotaggio nella vita quotidiana
L’autosabotaggio può avere un impatto significativo su diversi aspetti della vita quotidiana. Le sue conseguenze non si limitano solo al raggiungimento degli obiettivi, ma possono influenzare il benessere emotivo, le relazioni e la qualità della vita in generale.
- Difficoltà nel raggiungere obiettivi: chi si autosabota spesso fatica a portare a termine progetti o a realizzare i propri sogni, sperimentando un senso di insoddisfazione e fallimento.
- Relazioni complicate: l’autosabotaggio può portare a dinamiche relazionali disfunzionali, come la tendenza a scegliere partner poco disponibili o a mettere alla prova l’affetto degli altri.
- Bassa autostima e senso di colpa: il ripetersi di comportamenti autosabotanti può rafforzare la convinzione di non essere capaci o meritevoli, alimentando un circolo vizioso di autosvalutazione e colpa.
- Stress e disagio emotivo: vivere costantemente in conflitto con se stessi può contribuire a generare ansia, stress e, in alcuni casi, sintomi depressivi.
Essere consapevoli delle possibili conseguenze dell’autosabotaggio può aiutare a riconoscere l’importanza di chiedere aiuto e di intraprendere un percorso di cambiamento.
Esempi pratici di autosabotaggio nella vita di tutti i giorni
Per comprendere meglio come l’autosabotaggio possa manifestarsi nella quotidianità, ecco alcune situazioni tipiche in cui molte persone possono riconoscersi:
- Lavoro: una persona che desidera una promozione ma arriva spesso in ritardo o non consegna i progetti nei tempi previsti, rischiando così di non essere considerata per avanzamenti di carriera.
- Relazioni: chi teme di essere abbandonato può mettere alla prova il partner con continue richieste di conferme o con comportamenti provocatori, fino a spingere l’altro ad allontanarsi.
- Studio: uno studente che si prepara poco per un esame, pur sapendo di essere in grado di superarlo, può inconsciamente temere il giudizio positivo e la responsabilità che ne deriverebbe.
- Benessere personale: una persona che desidera migliorare la propria salute ma trova sempre una scusa per non iniziare a fare attività fisica o per non seguire una dieta equilibrata.
Questi esempi mostrano come l’autosabotaggio possa insinuarsi in molte aree della vita, spesso in modo silenzioso e automatico.
Cosa si può fare?
Se senti che l’autosabotaggio sta influenzando la tua vita e desideri iniziare un percorso di cambiamento, Unobravo può aiutarti a trovare il professionista più adatto alle tue esigenze. Inizia il questionario e fai il primo passo verso il benessere psicologico.






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