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Fame di stimoli e di riconoscimento: le carezze

Fame di stimoli e di riconoscimento: le carezze
Fame di stimoli e di riconoscimento: le carezzelogo-unobravo
Gilda Nicoletti
Gilda Nicoletti
Redazione
Psicoterapeuta ad orientamento Analitico Transazionale
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il

La carezza, concetto studiato e approfondito dell’analisi transazionale, è definita come una unità di riconoscimento sociale. Nell’esempio dell’incontro con il vicino, nonostante vi possa sembrare banale e scontato, voi vi siete visti, riconosciuti e vi siete detti reciprocamente e in maniera implicita “Tu esisti, Io ti vedo”.

Che effetto fa una carezza?

Immaginate che il vicino incontrato in ascensore, sollecitato dal vostro squillante saluto e sorriso, vi ignori e si giri dall’altra parte. Che provereste? Cosa pensereste di voi e di lui? Nel caso del vicino è probabile che dopo esservi posti degli interrogativi, andrete avanti e che il suo non vedervi non generi in voi particolari problemi.

Immaginate però se questo non esser visto succedesse con il vostro partner, con il vostro più caro amico, con i vostri genitori. Come vi sentireste in questa situazione? Questa seconda circostanza può avere su di voi un impatto ben diverso! L’insoddisfazione che può derivare da tali esperienze richiama il bisogno insito in ognuno di noi di contatto con l’altro. Un bisogno di essere nutriti dall’incontro, dall’interazione, dallo scambio.

Monstera - Pexels

La nascita del concetto di carezza in psicologia

L’approfondimento sul tema delle carezze nacque dal fondatore dell’analisi transazionale Eric Berne in seguito alle ricerche dello psicanalista Rene Spitz. Quest’ultimo verificò che i neonati ben nutriti e tenuti al caldo, ma privati di stimolazioni fisiche e sensoriali come il contatto fisico, le carezze, o gli atteggiamenti vezzeggiativi con la voce, manifestavano una maggiore vulnerabilità alle malattie e perfino alla morte.

Alla luce di questa ed ulteriori ricerche, Berne concluse che per il benessere e la sopravvivenza dell’individuo il “nutrimento” dato dagli stimoli e dal riconoscimento sociale riveste la stessa importanza di quello dato dal cibo.

Un bisogno che abbiamo anche da adulti

Da adulti, il bisogno infantile di essere toccato e accarezzato permane e si evolve anche nella ricerca di altre forme di riconoscimento. Un occhiolino, un sorriso, così come un rimprovero o un insulto da parte dell’altro, sono gesti che ci mostrano che esistiamo e che l’altro lo riconosce. Per indicare questa nostra necessità di essere visti dall’altro Berne utilizza il concetto di “fame di stimoli e riconoscimenti”.

Tipi di carezze

Le carezze non sono tutte uguali e possono essere:

  1. Verbali o non verbali. Si distinguono in base al canale comunicativo con cui vengono date. «Ciao» è ad esempio una carezza verbale, mentre l’occhiolino o lo scappellotto sono carezze non verbali;
  2. Positive o negative. Il termine «carezza», traduzione dall’inglese di “stroke” utilizzato da Berne, può trarre in inganno rispetto alla sua piacevolezza. Non tutte le carezze sono positive, piacevoli e trasmettono un messaggio positivo a chi le riceve. Le carezze infatti possono essere anche negative, fredde, pungenti, dolorose e spiacevoli. Un insulto, uno schiaffo, un’espressione di disgusto sul voto sono tutte carezze, perché implicano il contatto, lo scambio, l’essere visti dall’altro, ma in maniera negativa.
  3. Condizionate o incondizionate. Le carezze possono contraddistinguersi anche per le caratteristiche che intendono mettere in evidenza. Le carezze condizionate sono legate a ciò che l’altro fa, mentre quelle incondizionate a ciò che è. Un esempio di carezza condizionata positiva è «Complimenti! Il tuo lavoro è eccellente!» mentre un esempio di carezza incondizionata è «Mi piaci!». La maggior parte delle persone ottiene riconoscimenti più in base a ciò che fa che a ciò che è.
Arina Krasnikova - Pexels

Ricerchiamo tutti lo stesso tipo di carezze?

Vi è mai capitato di ricevere un complimento e sentirvi a disagio o in imbarazzo? Come affermano gli psicoterapeuti Woollams e Brown, la quantità di carezze di cui abbiamo bisogno è più o meno uguale per tutti, ciò che varia da persona a persona è piuttosto la qualità, il tipo di carezze di cui ognuno di noi si nutre nello scambio relazionale.

Ognuno di noi ha dei tipi di carezze preferite, che ci confermano la visione che nel tempo ci siamo costruiti di noi stessi e degli altri e, se riceviamo una carezza che non è compresa in essa, tendiamo a filtrarla. Il tipo di filtro, tuttavia, non è uguale per tutti e ci sono numerose variabili individuali che ci rendono più rigidi o al contrario flessibili. Sono fondamentali tre elementi che incidono sullo sviluppo del bisogno di vari tipi di carezze:

  • il temperamento;
  • l’educazione parentale;
  • il contesto socio-culturale di appartenenza

Se una persona ha costruito, in base alle sue esperienze di vita, una visione di sé come non degno di valore, di attenzioni e di amore, è probabile che si sentirebbe più a disagio se ricevesse una carezza con un messaggio positivo come «Mi piaci, sei straordinario» che non con uno negativo come «Non mi piaci! Lasciami stare».

Questi meccanismi sono spesso inconsapevoli e vengono applicati in maniera quasi automatica. Dunque, se ci rendiamo conto che il genere delle carezze che collezioniamo non ci piace, non ne siamo soddisfatti, cosa possiamo fare?

La prima cosa è esercitarci a riconoscere il tipo di carezze che diamo e riceviamo e diventare consapevoli dei nostri filtri e di cosa lasciamo fuori. E voi che tipo di carezze accettate di più? Quali tendete a filtrare?


Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista.
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