Disturbi psichici
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Il disturbo da stress post-traumatico complesso

Il disturbo da stress post-traumatico complesso
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Spesso associamo il trauma psicologico ad eventi singoli e circoscritti nel tempo. Le reazioni a queste tipologie di eventi possono provocare il disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Esiste però una forma di trauma psicologico che può essere radicato dall'infanzia e perpetrato in un tempo prolungato, generando effetti pervasivi ed invalidanti per lo sviluppo della persona. È il PTSD complesso. In questo articolo cercheremo di capire come riconoscerlo.

In psicopatologia, con il termine disturbo da stress post-traumatico (PTSD), si identifica una sindrome caratterizzata da:

  • episodi intrusivi: ricordi dell'evento traumatico che si manifestano in maniera vivida ed emotivamente intensa;
  • evitamento sistematico di qualsiasi luogo, cosa o persona che ricordi l'evento traumatico;
  • ipersensibilità e ipervigilanza, che portano l'individuo ad agire come se fosse costantemente minacciato dal trauma.

Quando una persona si trova a vivere traumi che si ripetono nel tempo e all’interno di una dinamica interpersonale, lo si definisce PTSD complesso.

PTSD COMPLESSO (cPTSD): quali sono i segnali?

Il cPTSD ha origine da una serie di eventi traumatici che si ripetono in un tempo prolungato e sono di tipo interpersonale: si manifestano in un contesto relazionale significativo, come ad esempio quello tra un bambino ed il suo genitore. Gli eventi traumatici a cui si sta facendo riferimento sono:

  • maltrattamenti;
  • abusi fisici;
  • violenze sessuali;
  • neglect genitoriale.


Questi eventi traumatici, se vissuti durante l'infanzia, posso essere il terreno di predisposizione per i disturbi di personalità, tra i quali ricordiamo:


Come agisce il trauma nel corpo e nella mente?

Il cervello delle persone vittime di cPTSD è un cervello traumatizzato. Per proteggersi, il corpo secerne l'ormone dello stress, che si mantiene in circolo costantemente. Un trauma che non viene elaborato comporta che le difese e le risposte emotive ad esso collegate vengano ripetutamente messe in atto.


Un contributo fondamentale a comprendere meglio come il trauma agisce nel corpo lo ha fornito la Teoria Polivagale del neurofisiologo Stephen Porges. Introducendo il termine di neurocezione, Porges ha messo in luce come gli individui, costantemente e in maniera inconsapevole, valutano le condizioni di pericolo e di sicurezza presenti nell'ambiente.

Keira Burton - Pexels


La reazione al pericolo

Quando l'individuo percepisce il pericolo entra in gioco il nervo vago, presente nel tronco dell'encefalo, che segnala automaticamente la sensazione di agitazione con espressioni facciali e tono della voce, con l'obiettivo di ricercare il soccorso degli altri.


Se questo non avviene, allora si attiva il nostro sistema limbico, più primitivo, che predispone l'individuo a quattro tipologie di risposta al pericolo:

  • attacco;
  • fuga;
  • congelamento;
  • spegnimento.


Intrappolati nel trauma

Nelle persone traumatizzate, la neurocezione non funziona in maniera ottimale. Vivono e sono bloccati nell'attacco, nella fuga o nello spegnimento, a causa di ottenebramento o di un'ipervigilanza sui segnali esterni, interpretabili come pericolo.

Il trauma, attraverso i ricordi, si riattualizza e l’individuo lo rivive nel tempo presente. Questo ha un impatto devastante. Lo scarso o mancato controllo di queste reazioni porta l'individuo a non sentirsi normale e a provare un fortissimo senso di vergogna.


Inoltre, non si riesce a fare una connessione consapevole tra le cose terribili che sono capitate in passato e lo stato psicofisico che si vive nel presente, e tutto questo amplifica la percezione di se stesso come ''pazzo'' o ''sbagliato''.

Anna Shvets - Pexels


L’aiuto della terapia

È possibile trattare il PTSD complesso con l’aiuto di un terapeuta e utilizzando delle tecniche specifiche che lavorano sul ricordo del trauma, per permettere al corpo e alla mente di elaborare il ricordo traumatico. 

Secondo Porges è necessario aiutare il paziente a sviluppare comprensione e rispetto verso il proprio corpo e le risposte che è stato in grado di mettere in atto che gli hanno consentito di sopravvivere, facendo attenzione a non veicolare implicitamente il messaggio che il suo comportamento, o lui come persona, finora è stato inadeguato e che necessita di cambiare. 

Adottando un’ottica compassionevole verso la parte di sé che ha messo in atto quelle risposte di difesa il paziente sarà in grado di attuare veramente un’esplorazione e un’integrazione con il proprio corpo. 


Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista.
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