La malattia oncologica in famiglia

La malattia oncologica in famiglia
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Michela Eigenmann
Redazione
Psicologa Sistemico-Relazionale
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
7.2.2020
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Gli esseri umani sono esseri relazionali: la definizione di sé, infatti, deriva in gran parte dalle relazioni in cui le persone vivono. Per questo motivo, quando con una diagnosi di cancro viene minacciata la vita di una persona, accade lo stesso con l’identità delle persone che sono in una relazione significativa con essa.

Si attivano dinamiche complesse che non riguardano solo i singoli individui, ma anche le relazioni tra loro e di conseguenza la stabilità e il cambiamento dell’intero sistema familiare in cui il paziente è inserito.


La famiglia ammalata di cancro

La prospettiva di una perdita obbliga ad un cambiamento di ruoli, ad una ridistribuzione delle funzioni all’interno della famiglia e alla costruzione di un nuovo equilibrio familiare, per cui la struttura familiare cambierà in termini gerarchici e nei suoi sottosistemi. Quando viene comunicata una diagnosi oncologica, la famiglia è costretta a un cambiamento coatto che ha effetti sulla sfera emotiva, cognitiva, comportamentale e relazionale di ognuno. Ci si troverà di fronte a una duplice visione della famiglia che diventa:

  • curante, perché si deve prendere cura del familiare malato;
  • paziente, perché soffre e deve trovare dei modi adattivi per andare avanti.


Il faticoso adattamento del sistema familiare alla nuova condizione di malattia

La famiglia, per sopravvivere, ha bisogno di mettere in atto repentini cambiamenti in termini di riorganizzazioni di ruoli e responsabilità. Questa capacità di cambiamento, unita alla capacità di mantenere contemporaneamente l’equilibrio familiare, determina l’adattabilità della famiglia. L’adattabilità delle famiglie nell’affrontare una diagnosi di tumore, dipende dalla qualità delle relazioni che, a sua volta, dipende da caratteristiche relazionali anche precedenti alla malattia.

Alex Green - Pexels

Si possono individuare dei fattori prognostici positivi di adattamento al cancro che sono: 

  • la coesione, i cui estremi (ipercoinvolgimento e disimpegno) sono considerati entrambi patologici;
  • l’assenza di elevata conflittualità;
  • l’adeguata espressività emotiva, che può dar sollievo ai membri della famiglia;
  • l’adattabilità, ossia la capacità di modificarsi in seguito al cambiamento;
  • la storia familiare;
  • i riferimenti culturali della famiglia;
  • lo stadio di vita della famiglia;
  • il supporto sociale extra-familiare.


Il potere delle etichette: “io sono un malato di cancro”

Una modalità con cui una diagnosi di tumore influenza l’intero sistema familiare è l’effetto delle etichette. Quando viene diagnosticato un cancro a un membro di una famiglia, molto spesso l’etichetta del cancro va a influenzare e determinare tutti i comportamenti successivi.

C’è il rischio che la vita familiare si organizzi intorno alla malattia che assume un ruolo totalizzante, dettando nuove regole all’interno del sistema: la storia della famiglia diventa la storia della malattia. Non c’è più spazio per le persone: o si è l’ammalato, o i familiari dell’ammalato. Questa modalità di reazione che il sistema può avere in queste situazioni, influenza e offusca la percezione delle risorse a disposizione, esaltando invece la sofferenza e gli ostacoli a un buon adattamento.

Nonostante sia importante lasciare spazio alla sofferenza e a questa nuova caratteristica che effettivamente entra a definire una parte della famiglia, (all’opposto, negarla potrebbe avere conseguenze anche peggiori), è importante non permetterle di coprire tutto il resto. Infatti, il processo di adattamento della famiglia sarà strettamente collegato al significato che attribuisce alla malattia e alla capacità di vedere e usare le proprie risorse personali, familiari e sociali.


Verso una cura biopsicosociale

Quando una malattia si presenta nella vita di una persona, la qualità di vita del malato ed inevitabilmente quella di tutto il suo contesto familiare, viene stravolta. Essa, infatti, non ha quasi mai solo effetti sul piano della salute fisica, ma ha spesso ripercussioni anche:

  • sugli equilibri interni
  • sulle relazioni affettive
  • sui ritmi quotidiani
  • sulla progettualità.

È evidente quindi, che quando si guarda la malattia dal punto di vista del curante, non si può prescindere dalla complessità, sia intrinseca alla malattia stessa, sia derivante dal sistema familiare e della rete all’interno di cui il paziente è inserito.

SHVETS production - Pexels

Un nuovo approccio

Fortunatamente, al giorno d’oggi, stanno avvenendo degli importanti cambiamenti nel modello di cura, che non ha più un approccio esclusivamente medico con il solo scopo di curare una malattia, ma un approccio basato su modello biopsicosociale e psicologia della salute, che tiene conto di più fattori e ha lo scopo di prendersi cura della persona a 360°. Questo cambiamento di paradigma ha permesso la nascita della psiconcologia. Non solo del corpo quindi, ma anche degli aspetti psicologici ed emotivi che una malattia organica implica.

Questo approccio ha portato a coinvolgere, nella presa in carico del paziente oncologico e della sua famiglia, figure non strettamente mediche come lo psicologo e lo psicoterapeuta. Nel fine vita ad esempio, accanto al supporto fornito dalle cure palliative, lo psicologo aiuta sia il paziente che la sua famiglia nella gestione delle forti emozioni che possono caratterizzare questo momento.


Come può essere d’aiuto il supporto psicologico al paziente e al familiare?

Il paziente e/o il suo familiare possono chiedere un aiuto psicologico per:

  • recuperare una progettualità perduta o scombussolata, per non sentire di subire passivamente le cure, ma assumendo un ruolo attivo nel percorso;
  • concedersi uno spazio per esprimere liberamente pensieri, emozioni e paure dando loro sfogo e trovandone un contenimento;
  • trovare dei modi costruttivi per aprire al dialogo e al confronto con parenti e amici;
  • avere supporto ed ascolto nella gestione di difficoltà anche pratiche incontrate sia nell’essere malato, sia nell’assistere un malato (per esempio le conseguenze economiche, lavorative, di gestione familiare, di svolgimento delle attività quotidiane, di progettualità).

Nonostante al giorno d’oggi la parola “cancro” non sia più sempre e necessariamente sinonimo di morte grazie agli sviluppi della scienza e della medicina, l’esperienza di ricevere una diagnosi oncologica spesso rimane paragonabile a quella di essere travolti da uno tsunami che scombussola tutto. Tuttavia, anche dopo uno tsunami è possibile ricostruire e ritrovare un po’ di serenità. Ricevere sostegno in questo processo è un diritto a cui i pazienti e i loro familiari non dovrebbero mai rinunciare.

Bibliografia
Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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