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Psicologia infantile
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"Mamma, Babbo Natale esiste?": il mito da una prospettiva psicologica

"Mamma, Babbo Natale esiste?": il mito da una prospettiva psicologica
Redazione
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Ultimo aggiornamento il
20.12.2025
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La figura di Babbo Natale costituisce un fenomeno psicologico e culturale di particolare interesse nello sviluppo infantile. Attraverso i contributi di Freud, Winnicott, Klein e Piaget, vengono delineati i processi mentali implicati nella credenza, nella disillusione e nella rielaborazione simbolica di Babbo Natale. Si evidenzia come la credenza nel mito non rappresenti un inganno, bensì un dispositivo transizionale che favorisce la costruzione della fiducia, dell’autonomia psichica e della capacità simbolica del bambino. Il momento della disillusione, se gestito con sensibilità dall’adulto, diventa un’esperienza di crescita e di integrazione tra fantasia e realtà.

L’articolo esplora la funzione simbolica e affettiva del mito natalizio, analizzandolo alla luce delle teorie psicodinamiche e dello sviluppo cognitivo. 

Drz - Unsplash

Il pensiero magico e la costruzione della realtà

La domanda “Mamma, ma Babbo Natale esiste?” rappresenta uno dei momenti più significativi nello sviluppo cognitivo e affettivo del bambino.  La figura di Babbo Natale, lungi dall’essere un semplice prodotto culturale, costituisce un mito psichico che incarna elementi di fiducia, speranza e regolazione morale.

Secondo Jean Piaget (1936), nella fase pre-operatoria (2-7 anni) il bambino tende ad attribuire intenzionalità e potere agli oggetti e agli eventi, configurando un pensiero di tipo magico e animistico. In questo contesto, la credenza in Babbo Natale è del tutto coerente con la struttura cognitiva del bambino, che non distingue ancora completamente la realtà interna da quella esterna.

Il mito natalizio rappresenta una forma di realismo magico infantile, in cui il bambino può esercitare funzioni simboliche, esplorare l’attesa e confrontarsi con le prime regole morali. L’idea che Babbo Natale premi i comportamenti “buoni” introduce una primitiva forma di regolazione etica e di interiorizzazione del giudizio. Babbo Natale ha la funzione di portare doni ai bambini buoni e, tramite la “letterina”, i bambini possono fare una lista  dei desideri. Questo momento è importante soprattutto se gestito in maniera adeguata e costruttiva da parte dei genitori. Desiderare e chiedere non deve sottintendere la certezza di ottenere. I genitori hanno il compito di chiarire al bambino che magari non tutti i regali saranno portati da Babbo Natale, proprio perché vi sono dei limiti, magari anche economici. Pertanto il bambino sceglierà quelli effettivamente desiderati e che ritiene di meritare davvero.

Il mito natalizio secondo la prospettiva psicodinamica

La psicoanalisi ha da sempre riconosciuto l’importanza delle rappresentazioni simboliche nel processo di sviluppo. Per Freud (1923), le figure mitiche possono incarnare funzioni del Super-Io e fornire al bambino un modello di autorità benevola e non punitiva. Babbo Natale, in questa prospettiva, rappresenta una forma idealizzata dell’Altro buono: colui che conosce, osserva e gratifica.

Melanie Klein (1932) sottolinea come le fantasie infantili, anche se non reali, siano strumenti attraverso i quali il bambino modula angosce e desideri. La figura di Babbo Natale funge da oggetto buono interno, stabile e confortante, che aiuta a tollerare l’assenza, l’attesa e la frustrazione.

Secondo Winnicott (1971), la credenza in Babbo Natale può essere letta come esperienza transizionale, situata nello “spazio potenziale” tra realtà psichica e realtà condivisa. In questo spazio il bambino gioca, crea e attribuisce significati, sviluppando le basi della capacità simbolica e della fiducia nel mondo.

Il momento della disillusione

Intorno ai 7-8 anni, il bambino attraversa una fase di revisione cognitiva. L’ingresso nel pensiero operatorio concreto (Piaget, 1947) consente una comprensione più logica della realtà e una rielaborazione critica delle credenze precedenti.
La scoperta della non esistenza “reale” di Babbo Natale può generare una momentanea delusione, ma anche un senso di crescita e di empowerment cognitivo.
Il modo in cui l’adulto accompagna questa transizione è determinante. Una risposta empatica, che valorizzi la curiosità e la capacità di pensare del bambino, sostiene la fiducia e trasforma la disillusione in integrazione.
Come osserva Winnicott (1965), la disillusione graduale è un passaggio essenziale nello sviluppo del senso di realtà e della sicurezza interna.

Mario Amaral - Unsplash

Considerazioni cliniche

Nel lavoro clinico con bambini e genitori, il tema di Babbo Natale può emergere come metafora della tensione tra verità e fiducia, tra fantasia e realtà.
L’intervento psicologico può aiutare l’adulto a comprendere che la credenza nel mito natalizio non è un inganno, ma una forma di pensiero simbolico funzionale alla crescita.
La perdita di tale credenza non rappresenta un trauma, ma una ristrutturazione cognitiva ed emotiva: la possibilità di mantenere viva la magia attraverso la simbolizzazione e non più attraverso la credulità.

In tal senso, la figura di Babbo Natale si configura come mito di transizione, ponte tra il mondo dell’immaginario e quello della realtà condivisa, tra dipendenza e autonomia psichica.

L’importanza del mito

Il mito di Babbo Natale offre alla psicologia dell’età evolutiva un campo privilegiato per osservare la costruzione della realtà psichica, la fiducia genitore-figlio e la funzione trasformativa della fantasia.
Accompagnare il bambino nella scoperta della “verità” su Babbo Natale significa offrirgli la possibilità di elaborare la perdita dell’illusione senza perdere la capacità di credere: credere nella bontà, nella generosità e nella magia come funzioni psichiche interiorizzate.

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