Disturbi psichici
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Perché siamo sempre a dieta?

Perché siamo sempre a dieta?
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Licia Casola
Redazione
Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale
Unobravo
Pubblicato il
7.2.2020


Di fronte a cibi considerati ingrassanti può crescere in noi un irrefrenabile desiderio di consumarli dal quale non riusciamo a sfuggire. A quel punto, sabotiamo completamente un progetto di dimagrimento che, sino a cinque minuti prima del temuto “sgarro”, era sacro. Ma quando cediamo alla tentazione subentrano i sensi di colpa, un senso di fallimento che ci fa sentire incapaci e senza forza di volontà.

Un cibo rassicurante

È in questo preciso momento che, giudicandoci come deboli e incapaci, il cibo acquista ancora più potere perché diventa altro:

  • la coccola rassicurante della mamma
  • il passatempo preferito
  • la compagnia nei momenti di solitudine
  • la gratificazione dopo una dura giornata lavorativa
  • la carezza che non riceviamo più da chissà quanto tempo
  • la sedazione dei pensieri che abbiamo nella testa
  • la rabbia per noi stessi: “odio vedermi mangiare ma non riesco a fermarmi e allora mi nascondo per farlo”.

L’ Emotional eating

L’Emotional eating, ovvero l’alimentazione emotiva o fame nervosa, è la risposta che diamo a una situazione emotivamente carica e stressante attraverso un’alimentazione incontrollata e ipercalorica, anche in assenza di fame. Corrisponde alla ricerca di cibo per arrivare ed ottenere coccole, rassicurazione, scioglimento della tensione, distrazione o piacere.

Il cibo è questo e molto altro ancora!

Attribuiamo al cibo significati emotivi che non gli appartengono, ma è proprio da qui che il nostro percorso interiore potrebbe avere inizio. Questo rapporto estremamente complesso ed intimo con l’alimentazione ci spinge troppo spesso a mangiare molto di più di quanto avremmo bisogno e, inevitabilmente, ad ingrassare, con importanti ripercussioni sul nostro stato mentale.

È frequente, infatti, che la persona sia risucchiata nel vortice della restrizione-disinibizione, fatto di diete ipocaloriche molto restrittive, che sfociano dopo pochi giorni o settimane in abbuffate e totale perdita di controllo del comportamento alimentare.  Il risultato di questo meccanismo è che, il più delle volte, il rapporto con il cibo diventa una vera e propria ossessione che, una volta attecchita, non ci abbandona più.

Questo è quello che accade di frequente a persone che soffrono di disturbi alimentari come l'anoressia, la bulimia e il binge eating o che si trovano a vivere altri problemi di salute mentale come l'ortoressia e la vigoressia.

Diana Polekhina - Unsplash

Il problema non è la disinformazione

La maggior parte delle persone che vogliono o devono seguire una dieta per perdere peso o perché hanno, ad esempio, una malattia come la celiachia, è ben informata sulle nozioni dietetiche e piani alimentari ipocalorici.

Le persone, il più delle volte, hanno ben chiari i cambiamenti che devono apportare nel loro regime alimentare, consapevoli delle difficoltà che incontreranno. Ma la sola informazione non basta!

Cambiare abitudini

Anche se siamo più consapevoli ci ritroviamo sempre di fronte al solito problema: non riusciamo a cambiare le nostre abitudini, anche se sbagliate e dannose. Nella maggior parte dei casi le persone sanno ciò che devono o non devono mangiare. Quello che non riescono a fare è applicare il regime dietetico che hanno scelto o che il nutrizionista ha prescritto loro, non riuscendo a seguire quindi la cosiddetta “sostenibilità” del regime alimentare.

Ciò di cui sono consapevoli è il bisogno di cambiamento necessario al loro stato di salute e, il più delle volte, al miglioramento della propria immagine corporea. L’aspetto non consapevole spinge invece a cercare il cibo anche se non se ne sente il bisogno perché l’organismo non lo richiede attraverso la sensazione di fame.


Le fasi della dieta

Seguire una dieta ci porta a vivere tanti stati psichici diversi, in progressione tra loro:

  1. Inizialmente si vive un grande entusiasmo stimolato da un obiettivo, spesso non realistico e supportato dalla determinazione nel pensare che si riuscirà a raggiungere un determinato peso prefissato in un lasso di tempo specifico;
  2. Si organizzano delle tabelle alimentari, si controllano le calorie degli alimenti in maniera rigida e scrupolosa. Ogni alimento viene pesato sulla bilancia, si eliminano gli spuntini e si affrontano faticose sessioni di allentamento cardio, con il solo obiettivo di bruciare calorie sudando tantissimo;
  3. Passano i giorni e l’obiettivo, irrealistico, non viene raggiunto: ecco che ci si sente frustrati, avviliti, affaticati. Nella dieta dimagrante si ripongono molte aspettative, alcune delle quali non hanno niente a che fare con il comportamento alimentare in sé, che però diventa un catalizzatore magico che ci permette addirittura di arrivare a pensare: “se mangio meno, dimagrisco e sarò più felice”.
  4. Quando non si raggiunge l’obiettivo prefissato arriva la fase della delusione: ci si sente avviliti e si tende a lasciar andare pian piano tutte le restrizioni. Lo “sgarro” diventa l’occasione per mollare, restituendoci, seppur brevemente, quella sensazione di piena libertà. In quel momento inizia il circolo vizioso che si autoalimenta.

È per questo motivo che, nella gran parte dei casi, non è possibile trattare sovrappeso e obesità con la prescrizione di una semplice dieta.

Engin Ahyurt - Unsplash

La dieta fa ingrassare?

La ricerca scientifica in questo campo ha scoperto che, nel lungo periodo, le diete fanno ingrassare: sembra impossibile, ma spesso l’obesità nasce o si aggrava proprio a causa di una dieta dimagrante!

Alcuni studi dimostrano che il 65% delle persone che seguono una dieta, recupera tutto il peso perduto entro i tre anni successivi. I numeri aumentano se la dieta è stata particolarmente restrittiva: solo il 5% riesce a mantenere il peso perduto.


La psicologia viene in soccorso

Come possiamo imparare a “mangiare con la testa”? L’alimentazione intuitiva, insieme ad un lavoro di ristrutturazione cognitiva, è la strada da percorrere una volta acquisita la consapevolezza che stiamo rivestendo il cibo di molteplici significati.

Lo psicologo alimentare è il professionista giusto, perché ha il compito di accompagnare verso un percorso di conoscenza ed elaborazione dei personali vissuti emotivi legati alla funzione di nutrimento.

Cosa fa uno psicologo specializzato in alimentazione?

Con il suo intervento, lo psicologo alimentare si occupa non solo di individuare i significati che ognuno di noi attribuisce al cibo, ma aiuta anche:

  • a recuperare la percezione del senso di fame e sazietà;
  • a gestire i comportamenti scorretti legati all’alimentazione;
  • a modificare lo stile alimentare;
  • a lavorare sulle credenze disfunzionali per acquisire nuove e più sane abitudini.

L’obiettivo finale non è tanto quello di ridurre drasticamente il peso corporeo, quanto quello di mantenerlo nel tempo. Ciò che conta davvero è imparare a dare voce al proprio peso e peso alla propria voce!

Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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