Chi non ricorda il famoso personaggio della serie The Simpson di nome Eleanor Abernathy? Su due piedi il nome forse non dice niente ma, se aggiungiamo che il suo soprannome è “la signora gatto", affiora subito alla mente la vecchietta con i capelli scompigliati, eccentrica, stravagante e circondata dai gatti.
Il personaggio di Eleanor potrebbe essere il ritratto perfetto di un’accumulatrice seriale di animali o animal hoarder. Ma l’amore eccessivo per gli animali può diventare una patologia? Quando l’accumulo diventa ossessivo, è possibile riferirsi all’animal hoarding. Scopriamo meglio di cosa si tratta.
Cosa si intende per animal hoarding
L'accumulo di animali, noto anche come animal hoarding o sindrome di Noè, è un disturbo psichico caratterizzato dall'accumulo di animali domestici, spesso vissuto senza la capacità di fornire loro cure adeguate.
Si tratta di una forma di disposofobia o disturbo da accumulo compulsivo, che nel DSM-5 passa da essere classificato come disturbo ossessivo compulsivo a una categoria autonoma. L’animal hoarding, nel DSM-5, non ha però un’ulteriore classificazione specifica, perché viene inserito nella categoria di disturbo da accumulo compulsivo.
Pet hoarders: chi sono gli accumulatori seriali di animali
Gli accumulatori compulsivi di animali sentono la forte necessità di accumulare un gran numero di animali ma, spesso, possono avere difficoltà nel riconoscere la propria situazione come problematica.
Al contrario, possono percepire se stessi come salvatori degli animali, anche se le condizioni in cui gli animali vivono sono spesso degradanti e dannose per il loro benessere: credono di prendersi cura dei loro animali in modo amorevole, ma in realtà il loro ambiente diventa rapidamente sovraffollato e insalubre.
Questi ambienti possono essere sporchi e privi di risorse fondamentali come cibo, acqua e cure veterinarie. Gli animali in questi contesti possono soffrire di malnutrizione, malattie non trattate, parassiti e stress da sovraffollamento.
Animal hoarding e maltrattamenti
Nel 2020 il Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II ha pubblicato un articolo in cui racconta il caso della Signora P. (nome di fantasia) accusata di (come indicato testualmente nell’articolo):
- “detenzione incompatibile di animali, per aver detenuto numerosi cani in condizioni incompatibili con la loro natura
- maltrattamento di animali (art. 544-ter c.p.)
- abbandono di animali (art. 727 cp) – in Italia l'abbandono di animali si riferisce a persone che abbandonano animali ma anche a coloro che li tengono in condizioni di vita incompatibili con la loro natura
- violazione di sigilli (art. 349 cp)
- inosservanza dell'ordine di allontanamento degli animali dalla propria abitazione (art. 650 cp)
- minacce rivolte al pubblico ufficiale (veterinario) (art. 336 cp).”
Il caso della Signora P. è emblematico perché, oltre che evidenziare una carenza di sinergia tra i diversi stakeholder e figure giuridiche e sanitarie per la gestione di casi di animal hoarding in Italia, fa luce sulla psicopatologia dell’animal hoarding. Nell’articolo si legge infatti che:
“Le caratteristiche dell'accaparratore qui riportate sono in linea con le caratteristiche tipiche dell'accaparratore animale precedentemente descritte in letteratura: l'età di insorgenza del problema, la solitudine dell'accaparratore, le pessime condizioni igieniche in cui vivevano il paziente e i suoi animali, sono state tutte caratteristiche riscontrate in questo caso.”
Facciamo luce sul disturbo da accumulo di animali
Molte volte, come abbiamo accennato, gli accumulatori di animali possono anche manifestare sintomi di negazione e minimizzazione delle condizioni in cui vivono gli animali. Questo può provocare vergogna e spingerli a chiudersi in un isolamento sociale.
La ricerca A theoretical perspective to inform assessment and treatment strategies for animal hoarders prova ad applicare la teoria dell’attaccamento all’animal hoarding. Gli studiosi sostengono infatti che:
“Nel corso della vita, c’è una lotta persistente per formare uno stile di attaccamento funzionale e raggiungere un’integrazione sociale positiva. Per alcune persone, in particolare quelle affette da un’esperienza di attaccamento primario disfunzionale durante l’infanzia, una relazione protettiva e confortante con gli animali può lasciare un’impronta indelebile.
Nell’età adulta, quando l’attaccamento umano è cronicamente problematico, la cura compulsiva degli animali può diventare il mezzo principale per mantenere o costruire un senso di sé.”
Secondo questa teoria, quindi, gli accumulatori seriali di animali possono essere spinti dall’esigenza di riempire un profondo vuoto emotivo e una grande solitudine attraverso la compagnia degli animali. Inoltre, questo disturbo può manifestarsi in comorbilità con disturbi depressivi e disturbi d’ansia.
Animal hoarding: cosa fare in presenza di questo disturbo?
La cosiddetta Sindrome di Noè è una condizione complessa che necessità di ulteriori studi su diversi versanti.
Questo disturbo, infatti, oltre che coinvolgere la salute mentale della persona, rappresenta un problema di salute e tutela degli animali, nonché un problema di salute pubblica. Gli ambienti sovraffollati possono creare problemi igienici che possono ripercuotersi sulla salubrità delle comunità circostanti.
Inoltre, la mancanza di cure adeguate può portare alla diffusione di malattie trasmissibili agli esseri umani, come la rabbia. Il trattamento di questo disturbo deve quindi svolgersi con una combinazione di interventi psicologici, supporto sociale e assistenza, sia per la persona che per gli animali coinvolti.
Affrontare il problema dell'accumulo di animali richiede un approccio compassionevole e collaborativo, in cui è importante l’esercizio dell’empatia. È importante coinvolgere professionisti della salute mentale per fornire supporto alle persone interessate e aiutare a trattare le cause sottostanti del comportamento.
Le autorità locali e le organizzazioni per la protezione degli animali possono poi intervenire per rimuovere gli animali dalle condizioni nocive e fornire assistenza e risorse per il loro recupero e la loro ricollocazione in ambienti sicuri.