Recentemente definiti anche disturbi della nutrizione e dell'alimentazione (DNA), i disturbi del comportamento alimentare (DCA) rappresentano una diffusa forma di disagio psicologico. La loro complessità risiede nell’intreccio di fattori che vi sono implicati, sia per quanto riguarda il processo eziologico, che per il quadro prodromico e per la prognosi circa le ipotesi sull’esito della malattia.
Secondo il Ministero della Salute, l’anoressia nervosa e la bulimia rappresentano uno dei problemi di salute più diffusi tra adolescenti e giovani adulti nei paesi occidentali, con tassi di mortalità elevati (Ministero della Salute, n.d.) . I disturbi alimentari sono ormai una vera e propria emergenza per la salute mentale e fisica e per l’alto tasso di mortalità che ne consegue. Negli ultimi anni, inoltre, si è osservato un esordio sempre più precoce di tali disturbi, aggravando i rischi soprattutto per lo sviluppo psicofisico dei pazienti prepuberali. Se non trattati adeguatamente e tempestivamente, i disturbi alimentari possono diventare permanenti e, nei casi più gravi, portare alla morte.. In particolare, la mortalità per anoressia nervosa risulta particolarmente alta: può raggiungere il 20% nei soggetti che convivono con la malattia per oltre vent’anni, soprattutto se il trattamento non è tempestivo ed efficace. .
L’aumento dell’incidenza dei DCA è accompagnato dallo sviluppo di studi sempre più specifici, orientati a una maggiore comprensione degli stessi. Di conseguenza, la crescente attenzione della comunità scientifica si riscontra anche nella formazione sempre più specialistica per tutte le figure professionali coinvolte nel trattamento di questi disturbi, come lo psicologo alimentare.
In questo articolo scopriremo di più su questa figura, ponendo l’attenzione sull’importanza di una formazione specifica al fine di offrire un trattamento clinico che sia adeguato alla complessità dei DCA e, soprattutto, alle caratteristiche peculiari della persona che chiede aiuto.
Chi è lo psicologo del comportamento alimentare
Lo psicologo del comportamento alimentare è un professionista a cui rivolgersi in caso di manifestazioni sintomatiche proprie dei disturbi alimentari. È anche una specializzazione cui fare riferimento in quei casi in cui vi sono problematiche nel rapporto con il cibo, indipendentemente dall’espressione di veri e propri sintomi psicopatologici.
In queste situazioni è fondamentale elaborare una diagnosi che sia tempestiva e, al contempo, in grado di definire le caratteristiche del funzionamento psicologico della persona che chiede aiuto. Questo permette di individuare il percorso psicoterapeutico più idoneo, rispettando le differenze individuali di ciascuno.
Cosa fa lo psicologo alimentare
La complessità del processo diagnostico deriva dalla multifattorialità che caratterizza i DCA, sia dal punto di vista psicologico sia da quello fisico, soprattutto quando è presente una comorbilità psichiatrica. Per esempio, Bulik et al. (1997) hanno individuato in un gruppo di pazienti con anoressia nervosa e con bulimia la presenza di disturbi d’ansia precedenti l’insorgenza di sintomi alimentari, con una percentuale rispettivamente del 90% e del 94%. Da qui, l’importanza di porre particolare attenzione alla persona nella sua totalità, alla sua storia personale e familiare, e non solo ai sintomi riguardanti il rapporto con il cibo (Antonini A., 2018).
È quindi fondamentale che il processo diagnostico includa la comprensione della struttura di personalità della persona, ovvero il suo funzionamento pre-morboso, la presenza di comorbilità e il contesto sociale, con particolare attenzione alla costellazione familiare in cui si inserisce la sua personalità. Lo psicologo alimentare può far riferimento alle categorie diagnostiche del DSM-5-TR (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), che prevedono criteri precisi basati sull’osservazione fenomenologica dei sintomi. Il PDM-2 (Manuale Diagnostico Psicodinamico) propone inoltre una lettura dell’esperienza soggettiva associata ai DCA, favorendo un’analisi più approfondita della sofferenza della persona.
La fase di assessment prevede l’utilizzo del colloquio clinico per l’anamnesi personale e familiare, partendo dal racconto della storia di vita e delle tappe più importanti che hanno definito la persona. Lo psicologo del comportamento alimentare si focalizza anche sulla “familiarità” di DCA e di disturbi psichiatrici nella costellazione familiare, e indaga la presenza o assenza di eventi significativi e di possibili traumi psicologici.
L’analisi della personalità può essere completata con l’utilizzo di questionari e di test sui DCA standardizzati, che aiutano a raccogliere informazioni sul funzionamento della persona e sulla sua esperienza soggettiva. Tuttavia, è importante ricordare che l’efficacia di questi strumenti dipende dalle conoscenze scientifiche e dalle competenze del professionista, oltre che dalla capacità di integrare tutte le informazioni raccolte (Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione. Linee di indirizzo, Ordine Psicologi Regione Campania).
Lo psicologo del comportamento alimentare dovrebbe avere una particolare sensibilità nel processo di diagnosi differenziale, cioè essere in possesso di competenze cliniche orientate all’osservazione e all’eventuale identificazione di sintomi che potrebbero ricondurre ad altre forme di sofferenza psicologica. Lo spettro dei DCA può infatti essere accompagnato da differenti quadri psichiatrici come depressione, disturbi d’ansia o disturbi di personalità. È importante comprendere se l’inanizione osservata sia una conseguenza diretta di una riduzione dell’assunzione di cibo, oppure se rappresenti l’effetto di una diversa condizione medica o psichiatrica.
Per descrivere meglio la complessità della diagnosi che grava sulle spalle di uno psicologo del comportamento alimentare, riportiamo le parole di Hilde Bruch, psichiatra esperta nel trattamento dell’anoressia: “[...] nelle mie prime formulazioni, indicavo tre caratteristiche tipiche del disturbo anoressico: una falsa percezione del proprio corpo, una confusione circa le proprie sensazioni corporee e un senso onnicomprensivo d’incapacità. Ora sono incline a considerare queste caratteristiche sotto un’etichetta più ampia, cioè come espressione di un concetto di sé deficitario [...]”.
L’osservazione clinica di Bruch ha trovato riscontro in ricerche successive: inizialmente si ipotizzava che i disturbi di personalità rappresentassero un fattore di rischio nell’insorgenza di condotte alimentari disforiche, mentre concettualizzazioni più recenti suggeriscono che i DCA possano modificare direttamente alcuni aspetti della personalità, anche attraverso l’azione fisiologica e chimica che l’assenza di sostanze nutritive può causare al cervello.

Psicologia e alimentazione: il benessere passa anche dal cibo
I disturbi dell’alimentazione sembrano rappresentare una condizione clinica sempre più attuale, probabilmente in relazione ai rapidi cambiamenti che stiamo vivendo, soprattutto a causa del bombardamento mediatico di immagini che propongono canoni di bellezza ben definiti.
Sebbene si parli spesso di anoressia nerovsa e bulimia, negli ultimi anni sono aumentati gli studi sullo spettro sintomatologico dei DNA, con l’individuazione di ulteriori quadri diagnostici. Il DSM-5, ad esempio, ha aggiunto il disturbo da binge-eating, che si differenzia dalla bulimia principalmente per l’assenza di condotte compensatorie invalidanti (Marcus, Wildes, 2014), oltre che ad altri disturbi che rientrano nel quadro dei disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati.
Ma quale legame esiste tra alimentazione e psicologia?
Si tratta di una domanda complessa, poiché il comportamento alimentare accompagna l’essere umano sin dalla nascita. Il processo di costruzione dell’identità è strettamente connesso alle cure del caregiver, tra cui l’allattamento.
Se collochiamo l’esperienza umana su un continuum che va dalla “normalità” alla “patologia”, può essere interessante considerare l’alimentazione anche attraverso manifestazioni più sfumate, dove possono esserci forme di sofferenza in condotte meno evidenti, rispetto al rifiuto del cibo o alle abbuffate.
Nella pratica clinica, spesso si incontrano persone che riportano sentimenti di ansia e angoscia legati al loro rapporto con il cibo. Raccontano, ad esempio, di non riuscire a seguire diete prescritte, oppure di provare disagio nella gestione dei pasti in famiglia. In alcuni casi, la comprensione clinica è resa più complessa da meccanismi sottostanti che possono rimandare ad altri quadri sintomatologici, come un tono dell’umore ansioso o una coloritura affettiva deflessa.
È importante quindi prestare attenzione anche a queste situazioni, in cui il rapporto con il cibo diventa una forma di comunicazione. L’alimentazione può essere uno strumento attraverso cui, consapevolmente o meno, si esprime un malessere emotivo, ad esempio in periodi di stress o dopo la fine di una relazione.
Questo meccanismo è stato osservato anche dall’Infant Research, che ha evidenziato come, già nei primi mesi di vita, in situazioni di dis-regolazione emotiva, l’infante possa utilizzare l’alimentazione per comunicare sofferenza o frustrazione, attirando così l’attenzione del caregiver.
Pertanto, il rapporto con il cibo ci accompagna dalla nascita e può rappresentare, a livello simbolico, un elemento centrale nella creazione e nello sviluppo delle nostre relazioni. Esiste un forte intreccio con emozioni e sentimenti, dove prendersi cura dell’altro attraverso l’alimentazione significa soddisfare sia il bisogno biologico di essere nutriti sia quello di relazionarsi.
La valenza simbolica dell’alimentazione è quindi definita dai suoi aspetti emotivi e relazionali, che arricchiscono la nostra identità. L’immagine corporea che ciascuno costruisce rappresenta un pilastro in questa dinamica, poiché è connessa sia al concetto che abbiamo di noi stessi sia a quello che immaginiamo gli altri abbiano di noi (Ricca V. et al).
In particolare, i disturbi del comportamento alimentaresono caratterizzati da un’eccessiva preoccupazione per il proprio peso e da una percezione errata della propria immagine corporea, fino ad attribuire il proprio valore personale a questi canoni, spesso influenzati dal contesto socio-culturale: i media e i genitori hanno un ruolo centrale nello sviluppo di queste dinamiche, forse più dei coetanei, soprattutto in adolescenza (Field et al., 1999).
L’inizio di diete restrittive può essere conseguenza della visione di immagini che raffigurano donne particolarmente magre e di successo. Tuttavia, la sensibilità a queste rappresentazioni varia da persona a persona, probabilmente in relazione alla forza dell’Io, all’autostima e alla struttura di personalità.
La distorsione dell’immagine corporea può raggiungere livelli tali da influenzare l’esito stesso dei trattamenti: anche dopo la remissione dei sintomi, può persistere una certa vulnerabilità alle ricadute, soprattutto se questa dimensione psicopatologica rimane (Garner et al., 1987). Questo sottolinea la necessità di ulteriori studi, poiché i meccanismi alla base, anche a causa della comorbilità con altri quadri psicopatologici, non sono ancora del tutto chiari e rappresentano un fattore determinante per individuare il percorso di trattamento più adatto.
Come offrire sostegno a persone con DCA
Dinanzi a un sospetto disturbo del comportamento alimentare, è importante procedere con cautela, prestando attenzione a tutti i fattori coinvolti. È fondamentale avere consapevolezza della propria esperienza professionale e agire con sincerità deontologica ed etica rispetto alle competenze a disposizione.
Avere la possibilità di confrontarsi con colleghi, ad esempio in supervisione permanente, può essere molto utile non solo per condividere esperienze, ma anche per esercitare uno sguardo più ampio e attento.
Inoltre, la collaborazione con un’équipe di professionisti è di vitale importanza per sostenere il processo diagnostico, soprattutto in caso di comorbilità. La multidisciplinarietà è necessaria, in particolare per il coinvolgimento di medici psichiatri, nutrizionisti e altri specialisti, a seconda delle esigenze specifiche. È stato evidenziato che il trattamento per i disturbi alimentari risulta più efficace quanto più tempestivamente il paziente ha accesso alle cure.
È quindi necessario procedere con una prima valutazione psicodiagnostica, attraverso la raccolta anamnestica e l’eventuale utilizzo di test che aiutino a definire in modo più preciso il funzionamento mentale della persona.
La valutazione psicodiagnostica assume rilievo sia dal punto di vista categoriale che funzionale, per individuare il percorso di cura più idoneo alle caratteristiche della persona che chiede aiuto, ricordando che ognuno è unico e irripetibile, anche nell’espressione della propria sofferenza.
Lo psicologo alimentare dovrebbe inoltre avere una visione del contesto di vita della persona, sociale, culturale e soprattutto familiare, per individuare sia i fattori di rischio sia le risorse. Di solito, il trattamento dei DCA prevede anche il coinvolgimento dei familiari, specialmente nel caso di bambini e adolescenti.
I disturbi del comportamento alimentare sono fonte di sofferenza sia per chi manifesta i sintomi sia per i familiari. Questi ultimi possono provare frustrazione, paura, ansia e impotenza di fronte alla sofferenza del proprio caro. In questo contesto, lo psicologo può offrire uno spazio di ascolto e supporto, spiegando le caratteristiche dei DCA e fornendo indicazioni su come comunicare e relazionarsi con la persona che ne soffre. Se necessario, può proporre anche un percorso di psicoterapia individuale ai familiari.
Lo psicologo assume quindi il ruolo di “facilitatore” nella comunicazione tra familiari e paziente, sostenendoli nell’assunzione di responsabilità come agenti attivi nel processo di cura. La famiglia diventa così una risorsa preziosa per favorire il benessere psico-fisico della persona e ridurre il rischio di ricadute, evitando la ripetizione di modelli relazionali disfunzionali che potrebbero, inconsapevolmente, sostenere il sintomo.

Panoramica aggiornata dei disturbi alimentari: oltre anoressia e bulimia
Quando si parla di disturbi del comportamento alimentare (DCA), spesso si pensa subito ad anoressia nervosa e bulimia nervosa. Tuttavia, la ricerca clinica e diagnostica ha identificato negli ultimi anni una gamma più ampia di condizioni che meritano attenzione.
Oltre ai disturbi più noti, esistono altre forme di disagio legate al rapporto con il cibo, tra cui:
- Disturbo da binge-eating (BED): caratterizzato da episodi ricorrenti di abbuffate senza comportamenti compensatori regolari, come il vomito autoindotto. È uno dei disturbi più diffusi e può colpire persone di ogni età.
- ARFID (Avoidant/Restrictive Food Intake Disorder): si manifesta con una restrizione alimentare significativa non motivata da preoccupazioni per il peso o la forma del corpo, ma da avversioni sensoriali, paura di soffocare o altre ragioni. Colpisce spesso bambini e adolescenti, ma può persistere anche in età adulta.
- Ortoressia nervosa: non ancora riconosciuta ufficialmente nei principali manuali diagnostici, si riferisce a una preoccupazione eccessiva per l'alimentazione "sana" che può portare a restrizioni alimentari severe e a un impatto negativo sulla qualità della vita.
- Pica: consiste nell'ingestione persistente di sostanze non commestibili (come terra, carta o gesso), più frequente nei bambini ma possibile anche negli adulti.
- Disturbo di ruminazione: caratterizzato dalla ripetuta rigurgitazione di cibo che può essere rimasticato, sputato o deglutito nuovamente.
Secondo il Ministero della Salute, i DCA colpiscono in Italia circa 3 milioni di persone, con un aumento dei casi tra i più giovani e un esordio sempre più precoce (Ministero della Salute, 2023). Riconoscere la varietà dei disturbi alimentari è fondamentale per favorire una diagnosi precoce e un trattamento mirato.
Le principali tecniche terapeutiche nei casi di disturbi alimentari
Il trattamento dei disturbi alimentari richiede un approccio personalizzato, che tenga conto delle caratteristiche individuali e della complessità del quadro clinico. Negli ultimi anni, sono state sviluppate e validate diverse tecniche terapeutiche specifiche per i DCA.
Tra le più utilizzate troviamo:
- CBT-E (Cognitive Behavioural Therapy – Enhanced): una forma avanzata di terapia cognitivo-comportamentale, specificamente progettata per i disturbi alimentari. Aiuta a identificare e modificare i pensieri disfunzionali legati al cibo, al peso e all'immagine corporea, promuovendo comportamenti alimentari più sani.
- DBT (Dialectical Behaviour Therapy): inizialmente sviluppata per il trattamento dei disturbi di personalità, la DBT si è dimostrata efficace anche nei DCA, in particolare quando sono presenti difficoltà nella regolazione emotiva. Si concentra sull'insegnamento di abilità per gestire le emozioni intense e ridurre i comportamenti impulsivi.
- Terapia dinamica breve: si focalizza sull'esplorazione delle dinamiche inconsce che possono contribuire al disturbo alimentare, come i conflitti emotivi o le difficoltà relazionali. Può essere particolarmente utile per chi presenta una storia di traumi o relazioni familiari complesse.
Nella pratica, lo psicologo alimentare può proporre esercizi come:
- Diario alimentare ed emotivo: annotare ciò che si mangia e le emozioni associate ai pasti può aiutare a riconoscere i legami tra stati d'animo e comportamenti alimentari.
- Ristrutturazione cognitiva: lavorare insieme per identificare e mettere in discussione pensieri rigidi o negativi su sé stessi e sul cibo.
- Tecniche di mindfulness: imparare a prestare attenzione al momento presente, anche durante i pasti, può favorire una relazione più consapevole e meno giudicante con il cibo.
La scelta della tecnica più adatta viene sempre valutata insieme alla persona, considerando la sua storia, le sue risorse e le sue preferenze.
Come diventare psicologo alimentare
Lo psicologo del comportamento alimentare è una specializzazione professionale relativamente recente e nasce da una maggiore attenzione verso il ruolo delle dimensioni biologiche e sociali implicate nei DCA e DNA.
In quanto professione sanitaria, lo psicologo che lavora in un’équipe multidisciplinare dovrebbe possedere una formazione specifica e un’esperienza orientata a una comprensione più profonda del fenomeno. In particolare, queste conoscenze riguardano il funzionamento mentale e i risvolti biologici che tali meccanismi comportano a livello fisiologico, per favorire una lettura dei processi sottostanti che sia il più possibile completa.

Titoli e formazione
La complessità dei disturbi del comportamento alimentare richiede una formazione specifica, sia a livello teorico sia esperienziale, anche se è importante ricordare che lo psicologo del comportamento alimentare è una figura non formalmente prevista dalla legislazione vigente. Possiamo comunque affermare che la sola preparazione in psicologia e psicoterapia potrebbe non essere sufficiente.
Pertanto lo psicologo, in quanto figura sanitaria, ha il dovere etico e deontologico di approfondire le conoscenze nell’ambito dei DCA, per esempio attraverso Master proposti da enti accreditati e riconosciuti in materia di psicobiologia della nutrizione e dell’alimentazione.
Il valore della multidisciplinarietà: lavorare in équipe
Affrontare i disturbi alimentari in modo efficace richiede la collaborazione tra diversi professionisti. La multidisciplinarietà è un elemento chiave per garantire un percorso di cura completo e personalizzato.
In un'équipe dedicata ai DCA possono essere coinvolti:
- Psicologo alimentare: si occupa della valutazione psicologica, della diagnosi e del trattamento dei vissuti emotivi e dei comportamenti disfunzionali legati al cibo.
- Medico nutrizionista o dietista: elabora piani alimentari personalizzati e monitora lo stato nutrizionale, lavorando in sinergia con lo psicologo per favorire un rapporto più sereno con il cibo.
- Psichiatra: valuta la presenza di eventuali comorbilità psichiatriche (come depressione o ansia) e, se necessario, prescrive terapie farmacologiche.
- Altri specialisti: a seconda dei casi, possono essere coinvolti medici internisti, endocrinologi, ginecologi o pediatri, soprattutto quando il disturbo ha ripercussioni sulla salute fisica.
Consigli pratici per migliorare il proprio rapporto con il cibo
Anche se il supporto di uno specialista è fondamentale nei casi di disturbi alimentari, esistono alcune strategie che chiunque può iniziare a mettere in pratica per favorire un rapporto più sereno con il cibo e con il proprio corpo.
Ecco alcuni suggerimenti utili:
- Ascolta i segnali del corpo: prova a distinguere la fame fisica dalla fame emotiva, chiedendoti se hai davvero bisogno di mangiare o se stai cercando conforto.
- Evita il giudizio: cerca di non etichettare i cibi come "buoni" o "cattivi". Tutti gli alimenti possono avere un posto in una dieta equilibrata.
- Mangia con consapevolezza: dedica tempo ai pasti, assaporando ogni boccone e prestando attenzione alle sensazioni che provi.
- Sii gentile con te stesso: se ti capita di mangiare più del previsto o di sentirti in colpa, ricorda che il percorso verso un rapporto sano con il cibo è fatto di piccoli passi e di comprensione.
- Cerca il confronto: parlare delle proprie difficoltà con una persona di fiducia può aiutare a sentirsi meno soli e a trovare nuove prospettive.
Questi consigli non sostituiscono in alcun modo un percorso terapeutico, ma possono rappresentare un primo passo verso una maggiore consapevolezza e benessere.
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Affrontare le difficoltà legate al rapporto con il cibo e con il proprio corpo richiede coraggio, ma non sei solo in questo cammino. Ogni storia è unica e merita ascolto, comprensione e un supporto professionale su misura. Se senti che il tuo benessere psicologico è influenzato dall’alimentazione, oppure se vuoi semplicemente migliorare la relazione con te stesso e con il cibo, un percorso con uno psicologo alimentare può fare la differenza. Su Unobravo trovi professionisti specializzati pronti ad accompagnarti con empatia e competenza, anche online, nel rispetto dei tuoi tempi e delle tue esigenze. Fai il primo passo verso una maggiore serenità: inizia il questionario per trovare il tuo psicologo online.








