Alimentazione
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Identità, cibo ed emozioni

Identità, cibo ed emozioni
Identità, cibo ed emozionilogo-unobravo
Federica Destefanis
Federica Destefanis
Redazione
Psicoterapeuta ad orientamento Cognitivo-Costruttivista
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
30.8.2023

Il cibo, oltre ad essere una fonte di sostentamento, ha nella nostra società anche una valenza culturale. Nel saggio Il cibo e le emozioni, Lo psichiatra R. Iavazzo afferma infatti che “Il cibo ha una lunga storia, che è andata persa solo in apparenza: è dentro il taccuino dell’anima e ne abbiamo accesso solo in particolari condizioni.”

Il cibo assume per ognuno di noi un diverso significato: esso passa dalle emozioni e le emozioni viaggiano con il cibo tanto che, per alcuni, esso può diventare uno strumento attraverso il quale esternarle o esercitare su di esse una sorta di controllo, riempire un senso di vuoto, colmare carenze, privarsi del piacere o addirittura punirsi. 

Quando il rapporto tra cibo ed emozioni è sano e quando è patologico? Come faccio ad accorgermi di quando il rapporto che ho con il cibo diventa disfunzionale? Come non caricare il cibo di emozioni?

In questo articolo proveremo a leggere le dinamiche più comuni che coinvolgono emozioni e cibo e che possono portare la persona ad assumere comportamenti disfunzionali.

psicologia cibo emozioni
Polina Tankilevitch - Pexels

Il rapporto tra cibo ed emozioni

Come il cibo influenza le nostre emozioni? Michael D. Gershon, nel 1999 definisce come “Secondo cervello” il nostro intestino. Attraverso la serotonina, prodotta sia nell’apparato gastrointestinale che, in misura minore, nel cervello, possiamo provare un senso di benessere, tanto che questo elemento ha assunto nel linguaggio comune la definizione di “ormone del buonumore”.

Ma non solo, discipline come la psicobiotica hanno concentrato le ricerche sulla connessione tra flora intestinale e disturbi mentali, indagando come il microbiota intestinale può influire sulla salute mentale.

Psicologia, cibo ed emozioni

Ma se è vero che il cibo influenza le nostre emozioni, può essere vero anche il contrario. È il grande tema che fa da filo conduttore nella maggior parte dei casi di disturbi alimentari (DCA): il passare dal cibo nutriente al cibo come modalità di gestione delle emozioni

Questo può accadere perché si fa fatica a comprendere a pieno le fluttuazioni emotive interne, che si percepiscono come spaventose; si tenta di razionalizzarle per maneggiarle agendo sul proprio corpo: agire le emozioni nel cibo diventa così l’unica soluzione possibile.

Proviamo a fare un esempio che chiarisce la relazione tra cibo-emozioni-immagine corporea. Mi dicono che sono bella perché sono magra: controllerò allora questo aspetto restringendo l’assunzione di cibo, rischiando di cadere in disturbi quali anoressia e bulimia.

In un caso come questo, la bellezza mi serve per dirmi chi sono, per darmi valore, cose che però sto cercando nel posto sbagliato, ed è proprio questo mi porta a stare male. Neanche con questa “perfezione” arrivano le risposte e allora controllo le emozioni con il cibo.  

Anche se sono brava, anche se piaccio, non so comunque chi sono. Cercherò di essere la migliore in tutto quello che faccio e in come appaio nel tentativo di definirmi, ma ogni volta mi accorgerò che non ha senso per me, perché non so chi sono. 

Chi soffre di anoressia nervosa, per esempio, spesso si arrabbia con chi apprezza il suo aspetto fisico, perché conferma il gioco dell’apparenza e contribuisce a far ricomparire il fantasma del vuoto dal quale tanto cercava di fuggire continuando ad alimentare la propria bassa autostima

La tendenza è quella di razionalizzare tutto, di ricondurlo a un piano esteriore e concettualizzato perché manca il lessico per le emozioni, il linguaggio per l’espressione emotiva. È il corpo lo strumento per dirmi chi sono, l’espressione di me, ciò che mi definisce, ed è quindi in esso che faccio confluire il mio valore. Cibo, corpo ed emozioni sono così indissolubilmente legati.

Un esperto può aiutarti a gestire le emozioni senza sfogarle nel cibo.

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Il cibo e il senso di vuoto

Un concetto centrale nel rapporto disfunzionale con il cibo è il senso di vuoto, un vuoto esistenziale che sa di carenza di significati. La vita in questi casi, viene percepita come piena di solitudine e smarrimento.

Per chi prova queste sensazioni è molto difficile riuscire a spiegare cosa senta in quei momenti. Si tratta di un sentire che può apparire inaccessibile, difficile da raccontare agli altri, in cui le emozioni:

  • non riescono a essere trasposte in parole (alessitimia)
  • vengono agite mediante un’assunzione di cibo incontrollata.

Accade allora di sperimentare la cosiddetta fame nervosa e sfogare le emozioni sul cibo, nel tentativo di colmare una voragine emotiva in cui spesso ci si spinge oltre il senso di sazietà, perché quello che si tenta di colmare non è un bisogno fisico. È il caso, per esempio, del binge eating disorder e della dipendenza da cibo, in cui la persona si trova a soffocare le emozioni con il cibo. 

Cibo e tristezza  

Alcune persone usano il cibo per consolarsi e con meccanismi iperfagici cercano di tutelarsi dalla tristezza, dalla solitudine, dalla fatica. Ne è un esempio anche ciò che accade nella depressione, di cui l’iperfagia può essere un sintomo. 

Si instaura così il binomio tra mangiare con gusto e poi pentirsi, come nel caso in cui l’immagine allo specchio rimanda al pensiero “non sono più desiderabile”, “nessuno mi non vorrà più”,  facendo sentire la persona condannata nuovamente alla solitudine. 

Emergono così vergogna, senso di colpa, ma anche rabbia. In questo caso il cibo provoca piacere, ma in modo effimero rispetto ai vissuti emotivi che cerca di bilanciare.

influenza del cibo sull'emozione
Cottonbro Studio - Pexels

Cibo ed emozioni: l’aiuto della psicologia

Il mondo dei disturbi alimentari è un mondo complesso, in cui la chiave per il miglioramento passa attraverso:

  • la comprensione di sé, una comprensione profonda fatta di significati personali costruiti a partire da dentro
  • una lettura emotiva che permetta di integrare i vissuti al percepito e che apra alla via dell’esserci con l’essere e non con l’apparire. 

La costruzione di un lessico emotivo personale che restituisca o crei la possibilità di comprendere ed esprimere il proprio mondo interiore è una risorsa preziosa per poter vivere la propria vita in pienezza, lasciando andare piano piano il controllo apparente per riprendere una vera padronanza di sé stessi data alla consapevolezza.  

Il percorso per affrontare un possibile rapporto disfunzionale con il cibo può essere svolto con il supporto di uno specialista, uno psicologo e psicoterapeuta che possa costruire una terapia su misura in base alla problematica specifica, che sia in grado di valutare le cause e i fattori di mantenimento dei disturbi alimentari della persona e intervenire su di essi.

emozioni legate al cibo
Cottonbro Studio - Pexels

Mangiare con consapevolezza emotiva 

Attraverso un percorso psicoterapeutico mirato, svolto anche con uno psicologo online Unobravo, con l’utilizzo di diverse tecniche e strumenti come la mindful eating, la cucinoterapia o il diario alimentare emozionale, la persona potrà provare a costruire un nuovo modo di intendere il legame tra il cibo e le emozioni.

Oltre alla cura, molto importante è il lavoro di prevenzione che può essere svolto sin dall'infanzia, per esempio attraverso un percorso di educazione alimentare sul cibo e le emozioni nei bambini. 

Insieme a un esperto di psicologia infantile, per esempio, è possibile insegnare ai bambini a gestire le emozioni senza il cibo come modalità prevalente e disfunzionale, ma utilizzare quest’ultimo per favorire uno stile di vita sano e scongiurare l’insorgere di disturbi della nutrizione e dell’alimentazione anche in età infantile. 

Libri su cibo ed emozioni

Concludiamo il nostro articolo su emozioni e cibo con alcuni consigli di lettura in cui inseriamo anche un suggerimento su un libro che parla di cibo ed emozioni ai bambini:

Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista.
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