Ci sono alcune domande che genitori, educatori e insegnanti temono particolarmente.
“Come nascono i bambini?”, “cosa succede quando si muore?”, “cos’è la guerra?”.
Vita, morte, sessualità, violenza e aggressività rappresentano temi delicati da affrontare. Se a ciò aggiungiamo la frequenza con la quale i media parlano e diffondono immagini relative a questi temi, la situazione si complica ulteriormente.
Dal febbraio 2022 con lo scoppio della guerra in Ucraina e, successivamente, a partire da ottobre 2023, con l’intensificarsi del conflitto nella striscia di Gaza, la guerra ha invaso con prepotenza le nostre case con notizie e informazioni spesso contrastanti. Sguardi attoniti e confusi si dipingono su volti che, smettendo di giocare improvvisamente, si fanno interrogativi.
Domande e curiosità ci spingono a porci varie domande, per esempio come parlare della morte ai bambini e spiegare loro il concetto di guerra.
La guerra spiegata ai bambini: il ruolo dei genitori
Affrontare tematiche complesse con i bambini è una vera e propria responsabilità pedagogica e psicologica per genitori e insegnanti. Spesso, da genitori, commettiamo l’errore di pensare che i bambini non possano capire. Scegliamo di mentire nell’illusione di proteggere, finendo per lasciare soli i bambini nell’affrontare tematiche con cui inevitabilmente vengono a contatto.
Secondo quanto emerge da un’analisi della letteratura sul tema (Perasso et al., 2025), parlare di guerra ai bambini è importante per due ragioni principali:
- promuovere l’educazione alla pace (Shapiro, 2002)
- prevenire traumi indiretti (Pine et al., 2005).
Senza dubbio, l’esposizione diretta a eventi bellici o terroristici è fortemente correlata con la possibilità di sviluppare un disturbo post-traumatico da stress (PTSD). Tuttavia, anche acquisire informazioni e notizie dai media, dai discorsi e dalle reazioni dei genitori può avere effetti traumatici, sebbene più moderati (Pine et al., 2005) oppure generare impotenza appresa di fronte alla guerra.
Perché è importante parlare di guerra con i bambini?
Linguaggio e pensiero sono strettamente legati. Parlare di un tema significa autorizzarci a pensarlo. Per questo motivo è di fondamentale importanza introdurre il dialogo sul tema della guerra con i bambini.
Mettere in parola permette di “normalizzare” i contenuti da un punto di vista cognitivo, ma soprattutto emotivo, riducendo l’impatto traumatico di argomenti che in ogni caso si incontrerebbero nel proprio percorso di crescita.
Viviamo in un sistema con un tale livello di interconnessione che è davvero improbabile pensare di poter proteggere qualcuno dall’esposizione a un determinato argomento. Parlare di guerra con i bambini è importante per evitare che accedano al contenuto tramite media o social network in solitudine e senza la possibilità di una mediazione da parte del mondo adulto.

Raccontare la guerra ai bambini: creare ambienti sicuri per parlare di emozioni difficili
La guerra è, purtroppo, parte della nostra storia fin dall’antichità. Negare la sua esistenza, quindi, rischia di non essere un comportamento protettivo nei confronti dei più piccoli.
Parlare di queste tematiche con i bambini è fondamentale per diversi motivi:
- permette di riconoscere, affrontare e regolare emozioni come la paura di un evento, ma anche la tristezza oppure la rabbia e l’aggressività che possono essere alla base di un comportamento belligerante. Questo forse non aiuta a risolvere i conflitti su larga scala, ma può fornire risorse utili nell’affrontare con comportamenti e consapevolezze diversi la conflittualità quotidiana
- secondo la teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969) l’adulto serve da base sicura al bambino nel processo di esplorazione. Confrontarsi con un caregiver che ha paura di affrontare un argomento può trasmettere insicurezza nell’approfondimento dello stesso da parte del piccolo. La tematica può diventare qualcosa di eccessivamente spaventoso di cui non si può o non si deve parlare, quasi non fosse possibile pensarla. Come si potrà affrontare il discorso quando se ne parlerà in classe o si vedrà l’immagine sullo schermo di una tv o di un cellulare?
- I bambini imparano ad affrontare eventuali aspetti critici attraverso l’osservazione del comportamento degli adulti, secondo quanto espresso dalla teoria dell’apprendimento sociale di Bandura (1977). Per questo motivo, un adulto che nega o teme di affrontare determinati argomenti “insegna” a fare altrettanto a chi osserva
- la teoria dello sviluppo morale di Kohlberg (1984) evidenzia come gli adulti possano svolgere un ruolo di guida nel permettere ai bambini di comprendere le conseguenze di comportamenti e di interiorizzare concetti complessi
- per parlare di emozioni complesse occorre, in primo luogo, creare uno spazio di ascolto, accoglienza e apertura. Questa operazione passa attraverso la disponibilità a fare i conti in prima persona con determinati contenuti. Se per primi li neghiamo, diventa impossibile permettere all’altro di riconoscerli, viverli ed esprimerli. Le emozioni complesse, inoltre, non dovrebbero essere sminuite a causa delle difficoltà di affrontarle. Trovare le parole adeguate al livello di sviluppo dei bambini, che non sono adulti in miniatura, né incapaci di comprendere, è fondamentale per valorizzare i loro vissuti. In alcuni casi, siamo noi adulti a rifugiarci in queste giustificazioni per evitare contenuti che potrebbero turbarci.
Strategie e consigli pratici per parlare della guerra ai bambini
Ricostruzioni storiche e analisi politiche ed economiche non sono adatte per tutte le età.
L’idea di guerra nella mente dei bambini segue infatti precise tappe di sviluppo.
Secondo alcune ricerche (Berti, 2000) i bambini di sette anni percepirebbero la guerra come lo scontro tra gruppi privi di strutture dove prevalgono dimensioni individuali. Successivamente riuscirebbero a interiorizzare la competizione per un elemento specifico come la causa scatenante dell’evento bellico. In questa fase non riuscirebbero a distinguere tra le diverse situazioni, vivendo come potenziale guerra anche i conflitti familiari o sportivi.
Solo con la preadolescenza, che secondo la teoria dello sviluppo cognitivo di Piaget è la fase in cui inizia a formarsi un pensiero astratto e capace di inferenze, possono essere accolte spiegazioni più complesse che facciano riferimento a cause politiche ed economiche.
Appare dunque necessario domandarsi come può essere spiegata la guerra ai bambini della scuola primaria o addirittura ai più piccoli. Un suggerimento può arrivare dal passato. La narrazione di favole sul tema appare infatti una costante. Fin dai tempi di Omero, epoca in cui la cultura si trasmetteva tramite l’oralità, nascono delle favole per narrare l’esistenza. Un’alternanza di violenti conflitti e tempi di pace.

La letteratura antica ci consegna così la Batracomiomachia, ovvero la guerra delle rane, ripresa anche in tempi più recenti da Leopardi. Rane e formiche si affrontano dopo che il re delle rane Gonfiagote ha causato la morte di quello dei topi Rubabriciole. Solo l’intervento di Zeus e l’arrivo dei granchi permette agli anfibi di salvarsi dalla sconfitta.
Numerosi esempi li possiamo anche prendere in prestito da Esopo o Fedro, ci permettono di trovare le parole per raccontare le emozioni, le complessità e le sofferenze di alcuni temi complessi come la guerra. Narrare invitando al disegno e alla costruzione di nuovi racconti, può essere un ottimo modo per far fluire emozioni, fantasie, ansie e per familiarizzare con concetti ostici.
Per i più piccoli un suggerimento sul tema può essere Anche le galline nel loro piccolo si uniscono. Storia di un pollaio di Laurent Cardon.
Per gli adulti, invece, può essere d’aiuto Guerra: le parole per dirla: Ai bambini, agli adolescenti, a noi stessi (Vicari et al., 2022).
Educare alla pace
Parlare della guerra diviene il primo strumento di educazione alla pace. Permettendo, infatti, di mettere in circolo emozioni e fantasmi relativi all’aggressività, ai conflitti e alla violenza, offre la possibilità di regolare questi vissuti educando alla risoluzione dei contrasti, alla tolleranza, alla cooperazione, alla convivenza pacifica degli individui e dei gruppi, all’armonia sociale.
Tutto questo corrisponde al termine inglese peacebuilding. Si tratta di una responsabilità a cui gli adulti non possono rinunciare poiché corrisponde all’assunzione di un preciso impegno alla promozione della crescita umana, relazionale e sociale delle nuove generazioni.
Alla fine vissero felici e contenti?
Sarebbe confortante pensare che la conclusione per eccellenza delle favole si adattasse anche alla guerra tra Israele e Palestina spiegata ai bambini. Purtroppo, la complessità degli scenari geopolitici, gli interessi economici, la crudeltà umana, non sempre ci permettono di raccontare un lieto fine.
Parlare però delle guerra ai più piccoli è fondamentale per:
- favorire l’espressione di emozioni complesse
- non lasciarli soli di fronte a contenuti a cui rischierebbero di essere esposti indirettamente tramite i media
- promuovere una cultura basata su rispetto, valorizzazione delle differenze, capacità di riconoscere, affrontare e risolvere il conflitto tramite strategie non aggressive.
- educare le future generazioni a una diversa armonia sociale.
Genitori e insegnanti possono farsi promotori di questo tentativo di cambiamento, supportati da professionisti della salute mentale e personale qualificato in psicologia infantile.