Da sempre l’uomo ha cercato gli strumenti per placare l’angoscia della morte. Nella cultura occidentale, per esempio, la morte è stata, per tanto tempo un evento pubblico e sociale; attraverso i riti propri di ogni cultura, veniva vissuta come un passaggio nel quale c’era la possibilità di essere accompagnati da familiari e amici.
Com’è cambiato il rapporto con la morte oggi
In una società fortemente individualista come quella che viviamo e in cui si impone la combinazione giovinezza-salute-felicità, la morte ha perso la sua connotazione di evento naturale e sociale rendendone più difficile la sua accettazione. I riti, che permettevano di accettare con più umanità questo passaggio, vanno via via dissolvendosi, lasciando un vuoto di senso.
La continua esposizione a immagini di morte nei film e al contempo la mancanza di esperienza diretta, l’ha resa un concetto sempre più virtuale, lontano da noi: qualcosa che dissociamo dalla vita, a cui non pensare in senso tangibile e reale. Il progresso in campo medico, poi, ha spostato sempre più avanti la fine della vita, da una parte trovando rimedi per molte malattie, dall’altra alimentando l’illusione e la conseguente delusione di avere i mezzi per combatterla.
La pandemia da Covid-19 ha impedito a molte persone di essere vicine ai loro cari e la morte è diventata ancora più inaccettabile a causa dell’assenza di un saluto e di quel calore umano che è capace di ricostruire piano piano un senso.
Da cosa nasce l’angoscia della morte?
Il nostro contesto socio-culturale non favorisce un approccio sereno alla morte e rendere questo concetto un tabù non aiuta ad affrontarla. Uno degli strumenti con cui si può far fronte ad un evento così destabilizzante è il nutrimento emotivo ricevuto dai genitori, grazie a cui è possibile imparare a gestire emozioni spiacevoli e negative. Ma anche per i genitori gestire queste emozioni può essere complicato e soprattutto in famiglie disfunzionali si rischia di trasmettere:
- sensazioni di instabilità
- sfiducia nel futuro
- insicurezza.
Inoltre, neanche la società narcisistica in cui viviamo favorisce questo tipo di elaborazione: un concetto così importante come la morte viene quindi messo da parte.
Quando la paura può diventare angoscia?
La paura della morte o tanatofobia può emergere:
- da un’esperienza traumatica vissuta in prima persona o da altri
- da una malattia come il cancro, associandosi alla paura di avere un tumore
- dalla morte di qualcuno
- da un licenziamento o da una gravidanza
- dal passaggio ad un nuovo ciclo di vita, come ad esempio adolescenza-età adulta-vecchiaia;

Anche riconoscendone l’irragionevolezza, questo pensiero diventa difficile da scacciare e può provocare:
- ansia e attacchi di panico
- pianto e disperazione
- rabbia e tristezza
- senso di colpa e solitudine
- frustrazione e confusione.
Cosa si può fare per stare meglio?
Meno chiaramente è compresa l’idea di morte, maggiori sono la paura e lo stato d’ansia ad essa associati. È quindi importante normalizzare la morte, smettere di considerarla un tabù. Per farlo possiamo seguire alcune indicazioni:
- È importante che esista una death education: rendere familiare il concetto di morte già in tenera età significa aiutare il bambino ad elaborare e comprendere questo evento come parte integrante del percorso di vita. Bisogna accogliere le sue paure e le sue domande offrendogli gli strumenti per gestire la scomparsa di qualcuno vicino, come ad esempio la morte di un nonno.
- Riti funebri e credenze culturali e religiose possono aiutare a trovare un significato più profondo a quello che accade. Il senso di comunità e di condivisione del dolore potrebbe ridare spazio ad un pensiero che affrontato individualmente può fare molta più paura.
- È importante osservare quello che succede dentro di sé quando questa paura fa capolino. Un’osservazione priva di giudizio permette di ascoltarsi senza lasciarsi travolgere, perché spesso è un segnale che indica che qualcosa nella nostra vita non sta andando come vorremmo.
- Trovare il contatto con il proprio corpo, quando l’angoscia sembra farci sprofondare. Prestare attenzione ai propri piedi, “radicarli” sul pavimento, fare caso al posto in cui si è seduti, sciogliere la tensione di spalle e collo, sentire il calore della propria mano poggiata sul corpo. Ma anche riprendere contatto con l’ambiente esterno, notare i dettagli nella stanza, prestare attenzione ai rumori attorno, osservare un oggetto particolare: tutto ciò serve a dirsi “sono qui, è tutto ok”.
- Prendersi cura di sé stessi e del proprio benessere mentale e fisico è importante per combattere questa angoscia. Agire seguendo i propri valori, ascoltare i propri bisogni e desideri aiuta ad accettare anche le proprie paure.
- Chiedere aiuto quando se ne sente il bisogno: la vicinanza e la comprensione nella relazione con persone care o all’interno di un percorso di cura, hanno un valore inestimabile nella gestione delle emozioni spiacevoli.

L’aiuto di un terapeuta
Un professionista può aiutare a gestire l’angoscia, ad ascoltarne e comprenderne il significato, per far acquisire via via gli strumenti necessari ad affrontarla. Questo avviene attraverso un ascolto attivo e senza giudizio, all’interno di una relazione sicura in cui è possibile esprimersi senza timore. È importante ritrovare scopi, desideri e obiettivi a breve e lungo termine che permettono di vivere la vita con senso di continuità perché
" La morte perde ogni connotazione di terrore se si muore dopo aver consumato la vita" , da "Le lacrime di Nietzsche", I. Yalom