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Disturbo di conversione: sintomi, cause e strategie di guarigione

Disturbo di conversione: sintomi, cause e strategie di guarigione
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Disturbo di conversione: sintomi, cause e strategie di guarigione
Redazione
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
17.11.2025
Ultimo aggiornamento il
17.11.2025
Disturbo di conversione: sintomi, cause e strategie di guarigione
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Il disturbo di conversione, noto anche come disturbo neurologico funzionale o disordine di conversione, è una condizione in cui una persona sperimenta sintomi fisici reali, come paralisi, tremori o cecità, senza che sia identificabile una causa medica organica. Questi sintomi non sono intenzionali e possono risultare estremamente invalidanti. Comprendere il disturbo di conversione è fondamentale per riconoscere l’importanza di un approccio empatico e multidisciplinare alla cura. In questo articolo esploreremo le caratteristiche principali del disturbo, le possibili cause, i criteri diagnostici e le strategie di trattamento, con l’obiettivo di fornire informazioni chiare e utili, promuovendo la consapevolezza e riducendo lo stigma che spesso circonda i disturbi funzionali di origine psichica.

Definizione, terminologia e principali sintomi

Il disturbo di conversione è una condizione complessa, in cui sintomi fisici reali non trovano una spiegazione medica chiara. Nel corso della storia, questo disturbo ha assunto diversi nomi: "isteria" nell’antichità, "disturbo di conversione" in epoca freudiana, fino all’attuale "disturbo da sintomi neurologici funzionali" secondo il DSM-5-TR. Questa evoluzione riflette i cambiamenti nella comprensione della relazione mente-corpo e l’importanza di un approccio integrato alla salute.

I sintomi più comuni possono essere suddivisi in due categorie principali: motori e sensitivi.

Tra i sintomi motori troviamo:

  • Paralisi o debolezza di un arto
  • Tremori o movimenti involontari
  • Difficoltà nella coordinazione motoria
  • Crisi non epilettiche psicogene (PNES) (crisi simili a convulsioni epilettiche, ma non associate a un’attività epilettica cerebrale)
  • Alterazioni dell’andatura

I sintomi sensitivi includono:

  • Perdita/alterazione funzionale della visione
  • Sordità funzionale
  • Anestesia o alterazione della sensibilità cutanea
  • Disturbi funzionali della voce e del linguaggio

È importante sottolineare che questi sintomi non sono simulati né volontari. Le persone che soffrono di disturbo di conversione vivono un disagio autentico e necessitano di un approccio terapeutico empatico e rispettoso. La diagnosi richiede un’attenta valutazione clinica per escludere altre cause mediche e comprendere il contesto psicologico in cui i sintomi si manifestano.

Foto di Kindel Media – Pexels

Inquadramento diagnostico e diagnosi differenziale

L’inquadramento diagnostico del disturbo di conversione rappresenta una sfida complessa. I sintomi sono reali e invalidanti, ma non trovano una spiegazione medica chiara, il che rende fondamentale un approccio empatico e rispettoso, capace di riconoscere il disagio autentico della persona senza cadere in giudizi o pregiudizi. Negli ultimi decenni, il tasso di diagnosi errate del disturbo di conversione è diminuito drasticamente: se negli anni ’70 era molto elevato, oggi si attesta intorno al 4% (Feinstein, 2018), a testimonianza dei progressi nella valutazione clinica e nella comprensione del disturbo.

La diagnosi richiede un’attenta valutazione clinica, volta a escludere altre cause mediche e a comprendere il contesto psicologico in cui i sintomi si manifestano. È importante sottolineare che i sintomi non sono simulati né volontari. Le persone che soffrono di disturbo di conversione necessitano di un approccio terapeutico basato sull’ascolto attivo e sulla costruzione di un’alleanza terapeutica solida.

La diagnosi differenziale rimane un passaggio cruciale: è necessario distinguere il disturbo di conversione da altre condizioni neurologiche e psichiatriche che possono presentare sintomi simili, tra cui epilessia, sclerosi multipla, disturbi dissociativi, disturbi d’ansia e depressione maggiore. Un’accurata anamnesi, l’osservazione clinica e l’utilizzo di strumenti diagnostici specifici permettono di orientare il processo diagnostico e di individuare il percorso terapeutico più adeguato.

Criteri diagnostici e valutazione specialistica

Secondo il DSM-5-TR, il disturbo di conversione (disturbo da sintomi neurologici funzionali) si caratterizza per la presenza di uno o più sintomi motori o sensoriali incompatibili con una condizione neurologica o medica riconosciuta. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento e non sono meglio spiegati da un altro disturbo medico o mentale.

La valutazione specialistica prevede un approccio multidisciplinare. Il neurologo ha il compito di escludere patologie organiche attraverso esami clinici e strumentali, come il segno di Hoover (un test clinico utile nella diagnosi differenziale delle paralisi funzionali). Lo psichiatra valuta la presenza di altre condizioni psichiatriche che potrebbero spiegare i sintomi. Lo psicologo indaga il contesto psicologico e relazionale, alla ricerca di fattori di stress o traumi che potrebbero aver scatenato il disturbo. La diagnosi si basa sull’integrazione di questi elementi e sulla costruzione di un’alleanza terapeutica solida, fondata sull’ascolto empatico e sul rispetto del vissuto della persona.

Sintomatologia e tipologie di presentazione

Il disturbo di conversione può manifestarsi in modo estremamente variabile. Alcune persone possono sperimentare episodi acuti e isolati, spesso in concomitanza con eventi stressanti. In questi casi, i sintomi possono risolversi spontaneamente o con un intervento psicoterapeutico mirato. Altre volte, invece, il disturbo assume un carattere persistente, con sintomi che si protraggono per mesi o anni, alternando fasi di miglioramento e ricadute. In questi casi, il quadro clinico può diventare più complesso, con l’aggiunta di ansia, depressione e difficoltà di adattamento sociale.

I sintomi del disturbo di conversione sono estremamente eterogenei e possono coinvolgere diverse aree del funzionamento neurologico. I più frequenti sono:

  • Paralisi o debolezza di un arto
  • Cecità, sordità o altri deficit sensoriali
  • Crisi conversive (crisi convulsive non epilettiche)
  • Difficoltà di deambulazione
  • Perdita della voce (afonia)

La caratteristica distintiva è l’assenza di una base organica che giustifichi tali sintomi. Ogni persona può presentare un quadro unico, influenzato dalla propria storia, dal contesto relazionale e dalla capacità di fronteggiare lo stress. Ad esempio, una giovane donna può sviluppare una paralisi funzionale della gamba dopo un incidente stradale, mentre un uomo anziano può manifestare crisi conversive in seguito a un lutto improvviso. In entrambi i casi, i sintomi sono reali e invalidanti, ma non riconducibili a una patologia neurologica.

Foto di Olly – Pexels

Epidemiologia

Il disturbo di conversione è un fenomeno clinico relativamente raro, con una prevalenza stimata tra lo 0,1% e lo 0,5% nella popolazione generale. Tuttavia, la sua incidenza può essere sottostimata a causa delle difficoltà diagnostiche e della tendenza a cercare cure in ambito neurologico piuttosto che psichiatrico. Il disturbo di conversione colpisce più frequentemente le donne, con un rapporto di circa 2:1 rispetto agli uomini. L’età di esordio è variabile, ma spesso si registra tra l’adolescenza e la giovane età adulta. In alcuni casi, il disturbo può emergere in seguito a eventi traumatici o stressanti, mentre in altri si sviluppa in modo più insidioso e graduale.

Eziologia, fattori di rischio e cause psicologiche

Il disturbo di conversione si sviluppa spesso in risposta a eventi stressanti o traumi. Questi fattori possono essere molto diversi tra loro: un incidente, la perdita di una persona cara, conflitti familiari o pressioni lavorative intense. In alcuni casi, il trauma può essere di natura psicologica, come l’abuso emotivo o fisico, mentre in altri può derivare da situazioni di stress cronico. La vulnerabilità individuale gioca un ruolo cruciale: persone con una storia di traumi infantili, difficoltà nell’elaborazione emotiva o strategie di coping disfunzionali sono più a rischio. Anche fattori di personalità, come la tendenza all’ansia o alla somatizzazione, possono contribuire allo sviluppo del disturbo.

È importante sottolineare che il disturbo di conversione non è simulazione o finzione; i sintomi sono reali e spesso invalidanti. La comprensione delle cause psicologiche è fondamentale per un approccio terapeutico efficace, che miri a ridurre lo stress e a migliorare le capacità di gestione emotiva.

Aspetti psicologici, ambientali e genetici

Il disturbo di conversione è un fenomeno complesso che può essere influenzato da fattori psicologici, ambientali e genetici. A livello psicologico, la presenza di ansia, depressione o traumi pregressi può aumentare la vulnerabilità. L’ambiente in cui una persona cresce e vive gioca un ruolo cruciale: situazioni di stress cronico, conflitti familiari o pressioni sociali possono agire da trigger. Anche fattori genetici possono contribuire, sebbene non siano ancora completamente compresi; studi suggeriscono una possibile predisposizione familiare.

Meccanismi psicopatologici e modelli interpretativi

Il disturbo di conversione è stato oggetto di diversi modelli interpretativi volti a spiegare i meccanismi psicopatologici sottostanti ai sintomi. Il modello psicoanalitico, introdotto da Freud, interpreta la conversione come un meccanismo di difesa inconscio, attraverso cui un conflitto psichico intollerabile viene trasformato in un sintomo fisico. I modelli cognitivi, invece, pongono l’accento su errori di interpretazione e convinzioni disfunzionali riguardo al proprio corpo, che possono condurre a una percezione e amplificazione di sintomi reali o immaginari.

Negli ultimi anni, i modelli neurobiologici hanno evidenziato alterazioni funzionali nei circuiti cerebrali responsabili della regolazione dell’attenzione, dell’emotività e della percezione corporea; in particolare, la neuroimaging funzionale ha mostrato un modello coerente di ipoattivazione nelle regioni cerebrali associate ai sintomi specifici del disturbo di conversione, accompagnato da attivazioni accessorie nelle strutture limbiche, paralimbiche e dei gangli della base (Feinstein, 2018). Tali alterazioni non sono attribuibili a lesioni organiche, ma piuttosto a pattern di attivazione anomali. In sintesi, il disturbo di conversione può essere compreso come il risultato di una complessa interazione tra fattori psicologici, cognitivi e neurobiologici, che si traducono in una sofferenza reale e invalidante.

Comorbidità con ansia, depressione e altri disturbi psicologici

Il disturbo di conversione spesso si accompagna ad altri disturbi psicologici, come ansia e depressione. Questi termini, pur essendo di uso comune e molto ricercati dagli utenti (ad esempio "depressione ansiosa"), non corrispondono a una diagnosi formale del DSM-5-TR, ma indicano la frequente coesistenza di sintomi ansiosi e depressivi. Questa comorbidità può complicare il quadro clinico e richiedere un approccio terapeutico integrato. Le persone affette da disturbo di conversione possono infatti presentare sintomi ansiosi o depressivi, che si intrecciano con i sintomi somatici, rendendo più difficile la diagnosi e il trattamento. La presenza di comorbidità può inoltre influenzare la prognosi, aumentando il rischio di cronicizzazione e di ricadute. È quindi fondamentale che lo specialista valuti attentamente la presenza di altri disturbi psicologici e adotti strategie terapeutiche mirate, che tengano conto della complessità del quadro clinico.

Foto di cottonbro – Pexels

Diagnosi: percorso clinico e strumenti di valutazione

Il percorso clinico per la diagnosi del disturbo di conversione è complesso e richiede un approccio multidisciplinare. La valutazione inizia con un’accurata anamnesi, volta a raccogliere informazioni sulla storia clinica, familiare e psicosociale del paziente. L’anamnesi è fondamentale per identificare eventuali fattori di rischio, eventi stressanti o traumi che possono aver contribuito all’insorgenza dei sintomi.

Gli strumenti di valutazione più utilizzati includono scale psicometriche, interviste cliniche strutturate e test neuropsicologici, che permettono di esplorare in modo approfondito il quadro sintomatologico e il funzionamento globale del paziente. Tra le scale più impiegate vi sono la PHQ-15/SSS-8, lo SDQ-20/DES-II, la HADS, e misure di funzionamento (WHODAS 2.0); per sottotipi specifici si usano scale dedicate (p.es. S-FMDRS, NESSS). Le diagnosi e le comorbidità si approfondiscono con SCID-5-CV/PD (o MINI). La diagnosi integra anamnesi, osservazione e strumenti di valutazione, con segni positivi di funzionalità e gli accertamenti necessari per escludere cause alternative plausibili.

Trattamento: approcci terapeutici, strategie di coping ed efficacia

Il disturbo di conversione rappresenta una sfida clinica complessa che richiede un intervento terapeutico mirato e multidimensionale. Tra i principali approcci terapeutici, la psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) si è dimostrata particolarmente efficace nel modificare i pensieri disfunzionali e i comportamenti maladattivi associati ai sintomi di conversione. La terapia cognitivo-comportamentale sembra promettente come trattamento psicologico di scelta per il disturbo di conversione, anche se sono necessari dati più definitivi (Feinstein, 2018). La CBT aiuta i pazienti a riconoscere e gestire lo stress, migliorando la consapevolezza dei propri stati emotivi e l’autoregolazione.

L’ipnosi rappresenta un altro strumento terapeutico utile, soprattutto nei casi in cui i sintomi sono radicati in conflitti inconsci o traumi non elaborati. Attraverso l’ipnosi, è possibile accedere a livelli profondi di coscienza e facilitare il processo di ristrutturazione cognitiva. Inoltre, evidenze preliminari indicano che la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva potrebbe essere benefica per il trattamento del disturbo di conversione (Feinstein, 2018).

Le terapie fisiche, come la fisioterapia e la riabilitazione motoria, sono fondamentali per il recupero delle funzioni compromesse, soprattutto nei casi caratterizzati da sintomi motori persistenti. Questi interventi mirano a ristabilire il controllo motorio e a ridurre la disabilità, favorendo un ritorno graduale alle attività quotidiane.

Le strategie di coping più efficaci includono: tecniche di rilassamento e mindfulness per la gestione dello stress; problem solving e pianificazione per affrontare le difficoltà quotidiane; supporto sociale e partecipazione a gruppi di auto-aiuto; educazione psicologica per aumentare la consapevolezza del disturbo; monitoraggio e autoregolazione dei sintomi attraverso diari clinici.

L’efficacia dei trattamenti varia in base alla gravità del disturbo e alle caratteristiche individuali del paziente. Tuttavia, numerosi studi hanno dimostrato che un approccio integrato, che combina psicoterapia, eventuali interventi farmacologici e terapie fisiche, può portare a significativi miglioramenti nella qualità della vita e nella riduzione dei sintomi. È fondamentale un intervento precoce e personalizzato, volto a rafforzare le risorse interne del paziente e a promuovere un equilibrio psicofisico duraturo.

Decorso, prognosi e possibilità di guarigione

Il decorso del disturbo di conversione può variare notevolmente da persona a persona. Alcuni individui possono sperimentare episodi isolati e transitori, mentre altri possono affrontare una sintomatologia più persistente e ricorrente. La prognosi dipende da diversi fattori, tra cui la tempestività dell’intervento terapeutico, la presenza di comorbidità psichiatriche, il supporto sociale e familiare, e la capacità del paziente di sviluppare strategie di coping efficaci.

In generale, un intervento precoce e mirato aumenta significativamente le possibilità di remissione completa dei sintomi. Le possibilità di guarigione sono buone, soprattutto nei casi in cui il disturbo viene riconosciuto e trattato nelle fasi iniziali. Tuttavia, la cronicizzazione dei sintomi può verificarsi in assenza di un adeguato supporto terapeutico. È fondamentale un approccio integrato che coinvolga psicoterapia, eventuali interventi farmacologici mirati e terapie fisiche, al fine di promuovere un recupero globale e duraturo. La collaborazione tra paziente, famiglia e team terapeutico è essenziale per favorire un percorso di guarigione efficace e sostenibile nel tempo.

Foto di Kindel Media – Pexels

Disturbo di conversione in età evolutiva

Il disturbo di conversione in età evolutiva si presenta con caratteristiche peculiari rispetto agli adulti. Nei bambini e negli adolescenti, i sintomi possono essere più fluttuanti e legati a contesti specifici, come la scuola o la famiglia. La diagnosi è spesso più complessa a causa della limitata capacità di introspezione e di verbalizzazione dei più giovani. Tuttavia, la prognosi è generalmente più favorevole rispetto agli adulti, soprattutto se il disturbo viene riconosciuto precocemente e trattato in modo adeguato. Nei bambini, infatti, la plasticità psicologica e la maggiore resilienza possono facilitare una rapida remissione dei sintomi. È fondamentale un approccio integrato che coinvolga la famiglia e l’ambiente scolastico, oltre al supporto psicoterapeutico individuale.

Implicazioni sociali, qualità della vita e relazioni

Il disturbo di conversione può avere un impatto significativo sulla vita sociale delle persone che ne soffrono. I sintomi, infatti, possono compromettere la capacità di partecipare ad attività quotidiane, lavorative o scolastiche, limitando l’autonomia e riducendo la qualità della vita. Le relazioni interpersonali possono risentire della difficoltà di comprendere e accettare la natura del disturbo, sia da parte della persona che ne soffre sia da parte di familiari e amici. Il rischio di isolamento sociale è elevato, soprattutto se il contesto non è in grado di offrire supporto e comprensione. È fondamentale un approccio integrato che coinvolga non solo il paziente ma anche il suo ambiente sociale, al fine di promuovere una migliore qualità della vita e relazioni più sane.

Diritti, tutela legale e accesso al supporto sanitario in Italia

Le persone che convivono con un disturbo di conversione in Italia hanno diritto a tutela, rispetto e accesso a cure appropriate. La normativa italiana riconosce il diritto alla salute e all’assistenza psicologica e psichiatrica attraverso il Sistema Sanitario Nazionale (SSN). È possibile accedere a servizi di diagnosi e trattamento presso strutture pubbliche, come i Centri di Salute Mentale (CSM), gli ambulatori ospedalieri o i servizi territoriali. In caso di necessità, è previsto il ricovero ospedaliero. Le persone con disturbo di conversione sono tutelate dalla Legge 833/1978 che garantisce il rispetto della dignità e dei diritti dei pazienti psichiatrici. In situazioni di particolare gravità o vulnerabilità, possono essere attivate misure di protezione legale, come l’amministrazione di sostegno.

Quando rivolgersi a uno psicologo o a un neurologo

In presenza di sintomi motori o sensitivi improvvisi e non spiegabili da una condizione medica nota, è importante rivolgersi a uno psicologo o a un neurologo. Segnali di allarme includono: perdita di coscienza, crisi conversive, paralisi, cecità, afasia. La valutazione specialistica è fondamentale per escludere cause organiche e indirizzare verso un percorso terapeutico adeguato. Non sottovalutare l’impatto emotivo e relazionale di questi sintomi: un intervento tempestivo può migliorare la qualità della vita e prevenire la cronicizzazione. In caso di dubbi, è sempre meglio consultare un professionista per una valutazione accurata.

Un invito a prendersi cura di sé

Affrontare un disturbo di conversione può essere un’esperienza complessa e disorientante. Tuttavia, è importante ricordare che non si è soli. Cercare aiuto non è un segno di debolezza, ma un passo coraggioso verso il benessere. La presenza di sintomi fisici senza una causa medica apparente non sminuisce la reale sofferenza che si sta vivendo. Al contrario, sottolinea l’importanza di un approccio integrato che consideri sia la dimensione psicologica che quella corporea. Rivolgersi a un professionista della salute mentale può fare la differenza, offrendo strumenti per comprendere e gestire i sintomi, migliorando la qualità della vita. Ricordate: chiedere aiuto è un atto di cura verso sé stessi, un diritto che ogni persona merita di esercitare senza timore di giudizio. Inizia il questionario per trovare il tuo psicologo online e scopri come possiamo aiutarti.

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