Come afferma Susan Sontag:
“La malattia è la nostra seconda cittadinanza, quella che ci costringe a divenire cittadini di un paese che non vorremmo mai abitare”.
Scoprire di essere affetti da qualche forma di malattia rappresenta un momento emotivamente molto intenso. A seconda della patologia, sono molti gli stati emotivi che una persona può sperimentare e si trova a dover affrontare. Spesso, ricevere una diagnosi di malattia rappresenta un vero e proprio evento traumatico non solo per la persona interessata, ma anche per tutto il sistema familiare. La terapia psicologica può essere un valido strumento per gestire queste emozioni.
Dinnanzi a un avvenimento difficile come la diagnosi di malattia, la persona:
- può sentirsi sopraffatta da diverse emozioni;
- può dover fare i conti con fantasie di morte;
- può essere chiamata ad affrontare modificazioni piccole e grandi che riguardano il corpo, il modo di rappresentare se stessi, la gestione della propria quotidianità e le relazioni sociali.
Il ruolo della famiglia
La persona a cui è stata diagnosticata una patologia si trova a vivere una vera e propria crisi di senso difficile da affrontare e che spesso coinvolge anche i familiari e gli affetti più stretti. L’impatto emotivo della diagnosi può essere particolarmente intenso: ad esempio, dopo una media di tre anni dalla comunicazione della diagnosi di Alzheimer, il 46% dei caregiver ha mostrato sintomi post-traumatici da moderati a gravi legati al ricordo di quel momento (Singh Solorzano et al., 2025).
Soprattutto per le malattie terminali, può essere importante per i familiari prepararsi alla morte del proprio caro, anche con l'aiuto di programmi di death education.
Il dolore, la malattia o la morte non sono mai eventi che riguardano solo i singoli individui: nella famiglia si attivano dei meccanismi che modificano i ruoli e le relazioni e determinano quella specifica modalità con cui essa si occuperà dell’evento avverso.
Di fronte a situazioni simili si possono avere reazioni diverse, ad esempio:
- si innescano comportamenti di eccessivo allarme oppure compare la tendenza a minimizzare;
- si utilizza molto l’ironia o, al contrario, la disperazione diventa protagonista;
- si cerca di reagire con determinazione o ci si sente sopraffatti.
In ogni caso, qualunque sia il modo di reagire, esso trova il suo significato nella storia della famiglia. Un altro aspetto da considerare quando si fa riferimento al ruolo che la malattia ha su un sistema familiare riguarda il momento del ciclo di vita in cui esso si trova: la scoperta di una patologia, soprattutto quando cronica e invalidante, può dare luogo a reazioni diverse se avviene in un periodo caratterizzato da forti proiezioni verso il futuro e attività, rispetto alla reazione che si può innescare nella stessa famiglia che vive una fase di vita diversa.
Conseguenze psicologiche e pratiche per la famiglia
La diagnosi di una malattia non coinvolge solo la persona direttamente interessata, ma si ripercuote profondamente anche sulla famiglia. I familiari possono sperimentare una vasta gamma di emozioni, tra cui paura, senso di impotenza, rabbia e senso di colpa.
- Riorganizzazione dei ruoli: spesso la famiglia è chiamata a ridefinire i propri ruoli interni. Ad esempio, un partner può diventare caregiver principale, oppure i figli possono assumere responsabilità maggiori nella gestione della casa.
- Cambiamenti nella comunicazione: la necessità di parlare della malattia può portare a una maggiore apertura, ma anche a incomprensioni o silenzi carichi di tensione. Alcune famiglie tendono a evitare l’argomento per proteggere i membri più fragili, mentre altre affrontano la situazione in modo diretto. È stato dimostrato che un buon funzionamento familiare, caratterizzato da apertura, espressione diretta dei sentimenti e capacità di risolvere i problemi, è associato a livelli più bassi di depressione nei membri della famiglia (Edwards & Clarke, 2004).
- Impatto organizzativo nella quotidianità: le esigenze di cura, le visite mediche frequenti e le terapie possono modificare radicalmente la routine familiare, generando stress e fatica.
- Rischio di burnout: i caregiver familiari, soprattutto se privi di adeguato supporto, possono andare incontro a esaurimento emotivo e fisico, noto come burnout del caregiver (Zarit et al., 1980).
- Solidarietà e resilienza: in alcuni casi, la crisi può rafforzare i legami familiari, favorendo la solidarietà e la capacità di affrontare insieme le difficoltà.
Essere consapevoli di queste dinamiche permette di riconoscere i segnali di disagio e di attivare risorse di supporto, sia all’interno della famiglia che attraverso l’aiuto di professionisti.

Uno spazio di ascolto: il colloquio psicologico
La possibilità di ricevere un supporto psicologico in presenza di una diagnosi di malattia rappresenta un’importante risorsa sia per la persona sia per la sua famiglia: alcune evidenze hanno dimostrato che le persone con malattie rare che hanno subito un ritardo diagnostico hanno manifestato un bisogno maggiore di assistenza psicologica rispetto a chi ha ricevuto la diagnosi entro un anno (36,2% contro 23,2%) (Benito-Lozano et al., 2023).
Le funzioni del colloquio psicologico sono molteplici: creare uno spazio sicuro dove poter condividere ed elaborare le emozioni che si stanno sperimentando, come la rabbia, la paura e la tristezza, e ridurre lo stress che ne deriva; favorire l’elaborazione della diagnosi, che in fase iniziale può essere compresa con difficoltà; supportare la persona nelle varie fasi della malattia, dalla diagnosi ai trattamenti, promuovendo l’adesione alle indicazioni sanitarie; sviluppare e sostenere le risorse dell’individuo, il suo senso di autoefficacia, le strategie di adattamento e, in generale, la sua capacità di gestire i problemi di salute; infine, supportare la comunicazione delle diagnosi ai familiari e favorire la comprensione della situazione, affinché la rete di relazione possa diventare un reale aiuto per il paziente.
Quando può essere utile
Molto spesso, quando si parla di supporto psicologico in relazione alle patologie, si tende ad associare questa possibilità ai casi di malattie terminali o oncologiche. In realtà, scoprire di essere affetti da una malattia rappresenta un’esperienza complessa anche quando la diagnosi non è necessariamente terminale. Nel caso della vulvodinia, ad esempio, molte donne si sentono “difettose” a causa della malattia, con importanti ripercussioni sull’immagine di sé e sull’autostima.
Indipendentemente dalla tipologia di diagnosi, i meccanismi psicologici che possono nascere sono molteplici. La possibilità di poter avere uno spazio di ascolto per comprendere in che modo questa nuova realtà con cui si è chiamati a confrontarsi modifica e influenza la propria vita, significa avere un’arma in più per affrontarla.
Anche piccoli cambiamenti nella propria quotidianità rappresentano eventi molto intensi, che rischiano di innescare una profonda crisi per la persona e per tutta la famiglia. Può succedere, ad esempio, di:
- dover assumere medicinali;
- dover rivolgersi al medico con una certa frequenza;
- sottoporsi a esami.
Prendersi cura delle condizioni psicologiche e della sofferenza psichica della persona e dei familiari si conferma come una buona prassi per fornire un’assistenza adeguata a chi si trova a fare i conti con una malattia.
Le reazioni psicologiche alla diagnosi: una panoramica clinica
Ricevere una diagnosi di malattia rappresenta spesso un evento dirompente, in grado di innescare una gamma di reazioni psicologiche intense e complesse. Secondo il DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, American Psychiatric Association), la risposta a una diagnosi può variare notevolmente da persona a persona, ma la letteratura clinica ha identificato alcune reazioni comuni che si manifestano in modo sistematico.
Nelle fasi iniziali, molte persone sperimentano uno stato di shock e incredulità: una sensazione di stordimento che può durare da poche ore a diversi giorni, fungendo da meccanismo di difesa per concedersi il tempo necessario a elaborare la realtà. Spesso segue una fase di negazione, in cui la persona tende a minimizzare la gravità della diagnosi o a mettere in dubbio la correttezza degli esami; seppur temporanea, questa reazione può proteggere dall’impatto emotivo immediato, ma se persiste rischia di ostacolare l’adesione alle cure.
L’incertezza rispetto al futuro, ai trattamenti e alle possibili conseguenze della malattia genera frequentemente ansia e paura, che possono manifestarsi sia con sintomi fisici (tachicardia, insonnia, tensione muscolare) sia con pensieri ricorrenti di preoccupazione. A conferma della diffusione di queste reazioni, uno studio ha rilevato che il 39% delle persone con una nuova diagnosi di malattia infiammatoria intestinale (IBD) ha riportato sintomi di un disturbo mentale comune, come ansia o depressione, già al momento della diagnosi (Riggott et al., 2025).
Alcune persone possono inoltre provare rabbia, rivolta verso se stesse, i medici, la malattia o persino verso chi sta loro vicino; questa emozione, se non riconosciuta, rischia di trasformarsi in senso di colpa o isolamento. La consapevolezza delle perdite reali o potenziali legate alla malattia può infine portare a sentimenti di tristezza profonda, apatia e, in alcuni casi, a veri e propri episodi depressivi: secondo il DSM-5, la depressione reattiva è una risposta possibile a eventi di vita stressanti come una diagnosi di malattia.
In ambito oncologico, si parla di sindrome psiconeoplastica per descrivere l’insieme di disturbi psicologici che possono insorgere dopo la diagnosi di tumore, tra cui ansia, depressione e disturbi dell’adattamento (Grassi et al., 2015). Queste reazioni non seguono un ordine prestabilito e possono alternarsi o sovrapporsi; riconoscerle rappresenta il primo passo per affrontarle in modo consapevole e chiedere aiuto quando necessario.

Fattori che possono influenzare la risposta psicologica alla diagnosi
Non tutte le persone reagiscono allo stesso modo di fronte a una diagnosi di malattia. La risposta psicologica può essere influenzata da una serie di fattori individuali, relazionali e contestuali che possono modulare l’intensità e la durata delle emozioni provate.
- Struttura di personalità: le persone con una maggiore flessibilità psicologica e una buona capacità di adattamento tendono a gestire meglio lo stress legato alla diagnosi. Al contrario, chi ha una storia di disturbi d’ansia o depressione può essere più vulnerabile a reazioni emotive intense.
- Caratteristiche della malattia: la gravità, la prognosi e la visibilità dei sintomi influenzano profondamente l’impatto psicologico. Malattie croniche, invalidanti o con prognosi infausta sono associate a un rischio maggiore di disagio emotivo (Mitchell et al., 2011).
- Età e fase di vita: l’età della persona e il momento del ciclo di vita in cui avviene la diagnosi giocano un ruolo importante. Ad esempio, una diagnosi in età giovanile può essere vissuta come particolarmente ingiusta e destabilizzante, mentre in età avanzata può essere percepita come parte del naturale decorso della vita.
- Supporto familiare e sociale: la presenza di una rete di sostegno solida può attenuare l’impatto emotivo della diagnosi. Al contrario, l’isolamento sociale o la presenza di conflitti familiari possono aumentare il rischio di disagio psicologico.
- Esperienze pregresse: chi ha già affrontato eventi traumatici o malattie in passato può reagire in modo diverso, a seconda che queste esperienze abbiano rafforzato le proprie risorse o lasciato ferite ancora aperte.
Comprendere questi fattori aiuta a personalizzare il supporto psicologico e a individuare le strategie più efficaci per favorire l’adattamento alla nuova realtà.
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