Giù la maschera!

Giù la maschera!
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Redazione
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
21.2.2022
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Carnevale è il momento dell’anno per eccellenza in cui giochiamo a cambiare volto e identità, indossando maschere di personaggi che ammiriamo o di cui vorremmo vestire i panni per un giorno. “Diventare qualcun altro”, diciamocelo, ogni tanto può farci stare bene, purché ci sia chiaro che si tratta di un gioco.

Vestire i panni di un altro infatti può essere divertente ma, se questo finisce per essere un momento in cui mettendo delle maschere non riusciamo ad esprimere noi stessi e la nostra individualità, può diventare un problema. 

È normale non sentirsi bene nei propri panni?

Tutti possiamo vivere dei momenti in cui vorremmo essere qualcun altro: è normale, tanto più se questa sensazione è associata a fasi particolari della nostra vita. Magari ci troviamo a gestire delle situazioni difficili, come ad esempio una relazione che non sta andando nel modo giusto, in cui non riusciamo a essere quello che vorremmo. Ma qual è il confine tra un desiderio sano di essere qualcun altro e un sintomo di qualcosa di più serio?

Tutti noi tendiamo a porci un ideale a cui aspiriamo, quello che vorremmo essere. Spesso questo ideale è frutto di aspettative irrealistiche che nutriamo verso noi stessi e, la nostra ambizione ad aderire ad un modello che abbiamo nella mente, può distoglierci da ciò che realmente ci assomiglia e che ci renderebbe più sereni.

Come possiamo avvicinare l'ideale a ciò che siamo realmente? Attraverso quello che in psicologia viene definito esame di realtà, cioè “la capacità di valutare realisticamente i propri sentimenti, comportamenti e pensieri nel quadro delle norme sociali condivise”.

È importante riuscire a esprimere chi si è davvero e, se sentiamo di non farcela, possiamo iniziare un percorso che ci aiuti a ritrovare (e accettare) la nostra unicità insieme a un terapeuta.

L’autenticità e la rappresentazione di sé

La nostra società, definita da molti “la società della performance” ci chiede autenticità, ma spesso pare che la richiesta “vera” sia quella di uniformarsi al pensiero comune: pensiamo ai social media e alla rappresentazione del che essi veicolano. 

I social media sono un ottimo strumento di condivisione e di conoscenza, purché utilizzati nel modo giusto. È innegabile, però, che hanno amplificato la tendenza a mostrare un sé differente da quello reale (pensiamo all’utilizzo di filtri di bellezza).

Pur con questa consapevolezza, può capitare di osservare la vita degli altri attraverso i social, vederli “più belli di noi”, “con più successo” o “più felici”, sentire di non essere altrettanto belli o bravi, e provare un forte senso di destabilizzazione

Dovremmo tenere a mente, però, che i social media filtrano sempre la realtà e che quello che per qualcuno può essere un traguardo, non è detto che lo sia per noi. Ciascuno di noi raggiunge i propri obiettivi quando è davvero pronto a mettersi in gioco e può consentirsi di farlo. Anche per superare l'empasse può servire una mano, e non perché può sembrare che non ci si voglia impegnare: a volte si tratta di blocchi indipendenti dalla propria volontà.

Il desiderio di essere diversi, a volte, può diventare estremo, portando a cambiamenti radicali al nostro aspetto. Cosa si nasconde dietro questa scelta? Quando sentiamo che c’è qualcosa che non va, quasi sempre imputiamo questa difficoltà allo “strato più superficiale”, quello che tutti gli altri vedono, cioè l’io-pelle.

Fares Hamouche - Unsplash

Questo segna il confine tra noi e gli altri e ci rappresenta all’interno della società. L’interno di noi stessi è meno visibile ma è quello di cui dovremmo prenderci più cura, perché se stiamo bene dentro anche il nostro lato esteriore si modifica, sia ai nostri occhi che a quelli degli altri. 

Abbracciare la nostra individualità, riconoscere i nostri bisogni più autentici e accogliere le nostre debolezze ci dona una luce diversa che illumina anche la nostra esteriorità con colori nuovi.

Quando ciò non accade, le conseguenze sono spesso l’abbassamento del tono dell’umore e una bassa autostima che, nei casi più gravi, potrebbero portare alla depressione e al rischio di pensieri autodistruttivi.


Come scoprire le nostre peculiarità e valorizzarle?

Spesso vediamo l’immagine del nostro corpo diversa da quella che è: questo meccanismo viene definito dismorfismo corporeo. Quelli che per noi possono essere difetti, però, per qualcun altro possono essere particolarità che ci rendono unici!

Dovremmo imparare ad accettare le imperfezioni, ricordando che l’accettazione parte da noi stessi. Se siamo capaci di accettare noi stessi, prenderci cura dei nostri bisogni e “perdonarci” anche gli altri lo faranno mentre, se facciamo il contrario e poniamo come condizione necessaria per essere soddisfatti di noi stessi l'approvazione degli altri, il malessere e l’insoddisfazione saranno sempre dietro l’angolo.

Andrea Piacquadio - Pexels

In tutta sincerità

Il malessere causato dalla paura del giudizio ci spinge a celare parti di noi. A lungo termine, questo può generare grande sofferenza. Rinunciare alla nostra autenticità ci allontana sempre più dai nostri bisogni e dalla possibilità di essere visti realmente dall'altro. È facile immaginare quanto ciò possa farci sentire soli.

E se provassimo a essere sinceri? Essere sinceri con gli altri può essere impegnativo, specie se non ci sentiamo vicini a ciò che vorremmo essere. Farlo significa esporsi e abbassare le difese ed è difficile, perché temiamo di essere feriti. 

Esserlo con noi stessi poi, può essere spaventoso, perché probabilmente bisognerà cambiare degli equilibri raggiunti a fatica che, anche se non sono il massimo, sono qualcosa di conosciuto. Pensiamo a una relazione tossica. Il rapporto diventa disfunzionale e provoca: 

  • stress;
  • rabbia;
  • insoddisfazione;
  • annullamento dei propri bisogni in favore di quelli del partner.

Le conseguenze della mancata sincerità

Nascondere il nostro vero Io implica uno sforzo che toglie energie alla nostra creatività e blocca qualsiasi spinta produttiva. Del resto, se investiamo tutta questa energia per occultare parti di noi, dove possiamo trovare la forza per raggiungere i nostri sogni?

Chi indossa sempre una maschera finisce per mettere un muro invalicabile tra sé e il mondo esterno e si condanna a essere inconoscibile. È una vita di solitudine e tristezza, perché se gli altri ci stanno vicini solo perché non conoscono le nostre “parti oscure”, non ci conoscono davvero e non possono amarci per quello che siamo.

Giù la maschera!

In alcune circostanze è normale sentirsi inadeguati: la forza sta nel non farsi travolgere da questa sensazione e ricordarsi che la perfezione non esiste. È possibile cominciare a mostrarci per quelli che siamo senza sentirci sbagliati e il modo migliore è farlo gradualmente.

Abbassare la maschera può essere difficile, ma si può iniziare scegliendo di farlo con poche e fidate persone, costruendo a piccoli passi un rapporto basato sulla sincerità. Bisogna comprendere chi si ha davanti e lavorare su noi stessi, con l’obiettivo di arrivare a esprimerci per quello che siamo davvero. 

Se non ci sentiamo capaci di accettare le parti di noi che non ci piacciono e indossiamo una maschera anche con gli altri, ci ritroviamo a vivere una vita non nostra che può portare tanta sofferenza. Un percorso di terapia con uno psicologo online di Unobravo può aiutarci a riscoprire noi stessi e i nostri desideri e guidarci lungo la strada che ci porta a vivere una vita che ci assomigli ogni giorno di più.

Bibliografia
Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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