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La comunicazione non violenta genitori-figli

La comunicazione non violenta genitori-figli
La comunicazione non violenta genitori-figlilogo-unobravo
Barbara Bacco
Barbara Bacco
Redazione
Psicoterapeuta ad orientamento Biosistemico
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il

La comunicazione è uno dei modi principali con cui entriamo in relazione con gli altri. Comunicazione e relazione sono, infatti, strettamente connessi tanto che lo psicologo Paul Watzlawick e gli altri studiosi della Scuola di Palo Alto, hanno individuato cinque assiomi della comunicazione, primo tra tutti “non possiamo non comunicare”.

Anche quando decidiamo di non mettere parola nella comunicazione rimanendo in silenzio, stiamo già comunicando qualcosa di noi nella relazione che stiamo vivendo. Ecco che diventa fondamentale poter sviluppare una maggiore consapevolezza di come e cosa posso comunicare nel legame con l’altro, soprattutto quando la comunicazione diventa conflittuale e difficile tanto da creare distanza, incomprensione e sofferenza.


Come trasformare il conflitto e l’incomprensione in un momento di incontro e non di scontro?

È un’azione possibile, da realizzare attraverso la comunicazione non violenta, che si fonda sull’ascolto empatico utile a riconoscere ed accogliere i miei bisogni, così come quelli dell’altro. La comunicazione non violenta rappresenta un differente modo di relazionarsi con chi ho di fronte, oltre preconcetti e comportamenti appresi, in un’ottica di rispetto, empatia e comprensione reciproca.

Questo tipo di comunicazione è una vera occasione di conoscenza di se stessi, di sviluppo di nuove competenze relazionali e può aiutare e sostenere anche i genitori nella loro funzione educativa attraverso l’uso del “linguaggio giraffa”, ideato e sviluppato dallo psicologo Marshall Rosenberg.


Il linguaggio sciacallo e il linguaggio giraffa

Carl Rogers ha descritto l’impatto dell’empatia con queste parole:

“Quando qualcuno ti ascolta davvero senza giudicarti, senza cercare di prendersi la responsabilità per te, senza cercare di plasmarti, ti senti tremendamente bene.”

Essere genitori è un compito difficile che richiede una particolare capacità di ascolto e osservazione di quanto i figli cercano di esprimere, anche attraverso la disobbedienza e la ribellione, come accade nei bambini con disturbo oppositivo provocatorio. Compito del genitore diventa, quindi, quello di porsi in una posizione empatica, dove l’amore incondizionato dovrebbe guidare il proprio agire.

Amare incondizionatamente non significa rinunciare alla propria funzione educative e normativa, ma mostrare amore e rispetto sia quando i bambini rispondo a ciò che gli chiediamo, sia quando non lo fanno. Ecco che Marshall Rosenberg arriva a distinguere due modalità principali di linguaggio che il genitore può adottare nella comunicazione con i figli:

  • il linguaggio sciacallo:
  • il linguaggio giraffa.
Pixabay - Pexels

Il linguaggio sciacallo

Il linguaggio sciacallo si basa sul pretendere qualcosa dall’altro, attraverso punizioni o ricompense perché il comportamento del bambino viene classificato secondo i concetti di giusto o sbagliato, appropriato o inappropriato, bravo o cattivo.

In questo caso, si agisce una forma di potere di tipo coercitivo che impedisce al bambino di sperimentare e comunicare i propri sentimenti e bisogni. La comunicazione appare caratterizzata da uno scambio in cui si obbliga l’altro a sottomettersi all’autorità esercitata, non a riconoscere l’autorevolezza.

Il linguaggio giraffa

Il linguaggio giraffa è caratterizzato, invece, da un linguaggio basato sui bisogni: i bambini non sono valutati in maniera moralistica, ma secondo le caratteristiche della comunicazione non violenta. Nello specifico, la comunicazione non violenta, infatti, si basa sull’esercitare la propria influenza (potere) in una relazione fondata sulla fiducia reciproca.

Questo è possibile attraverso l’esempio concreto che il genitore può dare al figlio: esprimere apertamente i propri bisogni e sentimenti per permettere al bambino di fare esperienza di questa modalità comunicativa. Inoltre, adottare un linguaggio giraffa significa prendersi un tempo per consapevolizzare come gestire quanto sta emergendo nel rapporto con il bambino.

Diventa necessario anche in questo caso sospendere il giudizio personale, frutto anche di condizionamenti culturali e sociali, con lo scopo di sostenete l’autonomia e il processo di responsabilizzazione del bambino, sollecitandolo nel trovare attivamente soluzioni partendo anche dai propri sentimenti e bisogni.

Un linguaggio che determina l’approccio genitoriale

Marshall Rosenberg ha scelto la giraffa per via del suo collo molto lungo che le permette di avere una visione più ampia del mondo che la circonda, oltre ad avere un cuore molto grande. Similmente, il linguaggio giraffa può rappresentare la capacità di osservare la relazione con l’altro, e gli eventuali problemi connessi, in maniera più aperta andando oltre a ciò che appare.

Un’importante differenza tra il linguaggio giraffa e il linguaggio sciacallo sta nel fatto che il genitore che usa le “orecchie da giraffa” coglie e riconoscere i sentimenti e i bisogni del figlio indipendentemente da come sono espressi, mentre quello che ha “orecchie da sciacallo” addossa la colpa e la responsabilità unilateralmente sull’altro e interpreta ogni parola come critica o giudizio.

Il linguaggio giraffa ha proprio lo scopo di liberare la comunicazione dalla pretesa e dalla critica per evitare che il figlio sviluppi la convinzione che, per essere amato e rispettato, deve necessariamente fare quanto il genitore vuole, non in termini di regole e valori trasmessi da rispettare, ma in termini di bisogni e aspettative da soddisfare.

Kampus Production - Pexels

Saper comunicare per poter amare e amarsi

L’idea della comunicazione non violenta è il saper conoscersi, senza giudizi e interpretazioni, per poter entrare profondamente in contatto con i nostri bisogni e sentimenti più autentici. Questo ci permetterà di relazionarci in maniera empatica e genuina con le persone con cui entriamo in contatto, in un reciproco rispetto e un’attenta comprensione.

Ciò può portarci a interpretare quello che ci distingue come valore aggiunto e non come ostacolo alla comunicazione stessa. Saper comunicare senza violenza vuole dire gettare le basi per instaurare e consolidare un rapporto di amore e fiducia in cui ciascuno porta il proprio vissuto, i propri bisogni e le proprie richieste senza paura o vergogna, perché non teme di essere giudicato e attaccato.

Ogni relazione, anche quella genitori-figli, deve poter essere sostenuta e rinforzata da una comunicazione non violenta intesa come incontro empatico, sincero e spontaneo.  Più il genitore avrà sviluppato la capacità di seguire e adottare una comunicazione non violenta, maggiore sarà la possibilità del figlio di fare una positiva esperienza di relazione e contatto.

Tuttavia, può capitare di incontrare momenti di maggiore difficoltà comunicativa e relazionale, dove lo scontro e i conflitti familiari sembrano prevalere rispetto alla volontà e possibilità di trovare soluzioni condivise.
In questo caso poter rivolgersi a una persona esterna come uno psicologo, che possa supportare le singole emozioni e i singoli bisogni, può essere una strada utile verso una differente lettura della realtà vissuta.

Tra i possibili interventi psicologici ci sono la terapia familiare e il parent training, un programma di stampo cognitivo comportamentale rivolto ai genitori e finalizzato a migliorare la gestione di comportamenti problematici in famiglia.

Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista.
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