Parlare di interruzione volontaria di gravidanza (IVG) significa entrare in un territorio complesso, spesso segnato da posizioni nette e polarizzate a livello sociopolitico e etico. Da un lato c'è chi la vede come un atto contro la vita, dall'altro chi la definisce un intervento medico su un insieme di cellule. Al di là del dibattito, la legge italiana (Legge 194 del 22 maggio 1978) riconosce l'IVG come un diritto della donna.
Questa titolarità, però, pone la donna di fronte alla piena responsabilità della scelta. Una responsabilità che non si limita alla consapevolezza della decisione, ma che spesso si carica del peso di un'accusa, più o meno velata, da parte della società. Molte esperienze di interruzione volontaria di gravidanza sono accompagnate dalla sensazione di dover giustificare una scelta intima e personale.
In questo contesto, emerge una domanda tanto profonda quanto silenziosa: come si fa a perdonarsi dopo un aborto? È una domanda che molte donne si pongono, cercando un modo per superare un aborto volontario e il suo carico emotivo. In questo articolo esploreremo le diverse esperienze di IVG, le possibili conseguenze psicologiche dell'aborto volontario e come un supporto psicologico possa aiutare a risignificare questo evento, trasformandolo in un capitolo di crescita personale.
L'aborto volontario in Italia: dati ed esperienze
In Italia ogni anno vengono effettuate circa 75.000 IVG, soprattutto su donne nubili. Il dato generale è in calo negli ultimi anni, probabilmente anche per l’aumento dell’informazione sulla prevenzione delle gravidanze indesiderate.
Questi dati vengono raccolti dal Sistema di Sorveglianza epidemiologica delle interruzioni volontarie di gravidanza per migliorare strategie di prevenzione e assistenza. Tuttavia, dietro la freddezza dei numeri si nasconde un mondo sommerso: l’esperienza dell'aborto volontario, vissuta spesso come un fatto intimo, segreto e carico di solitudine.
Il dolore dopo un aborto: un'emozione da non nascondere
A differenza di un aborto spontaneo, dove il dolore è socialmente riconosciuto e legittimato, chi sceglie un'interruzione volontaria di gravidanza spesso si sente privata del diritto di soffrire. Essendo protagonista della scelta, la donna può avvertire di non avere il 'permesso' di stare male, di chiedere conforto.
Eppure, la domanda resta, potente e silenziosa: come ci si sente dopo l’aborto volontario?
Le esperienze di IVG, sia che si tratti di aborto chirurgico o farmacologico, mostrano che le conseguenze psicologiche dell'aborto volontario possono essere significative. Non si tratta solo di un evento medico, ma di un momento che può essere vissuto come una profonda rottura: rispetto a una determinata immagine di sé, a un progetto di vita, o in relazione a una parte della propria identità. Questa ferita emotiva può lasciare un segno, indipendentemente dall'età o dalle circostanze.

Aborto e psicologia: cosa accade a una donna che sceglie l’IVG
Un aborto, dal punto di vista psicologico, può essere analizzato con vari livelli di interpretazione. La donna che abortisce volontariamente, in buona parte dei casi, si trova dapprima a subire un evento: la gravidanza non desiderata.
Spesso, il nucleo del dolore risiede nel sentirsi messi alle strette, nel dover affrontare una decisione irrevocabile senza averla cercata. Questa sensazione di essere costrette a scegliere può amplificare il peso emotivo. Le conseguenze di un'interruzione di gravidanza non sono uguali per tutte, ma alcune delle difficoltà psicologiche che possono emergere includono:
- Depressione reattiva: una tristezza profonda e persistente, che può manifestarsi anche come depressione post aborto volontario.
- Disturbi alimentari: il cibo può diventare un modo per gestire o silenziare emozioni difficili.
- Disturbi d’ansia: preoccupazioni costanti, attacchi di panico o un senso generale di allarme.
- Sensi di colpa e vergogna: sentimenti pervasivi legati al giudizio, proprio e altrui, che rendono difficile perdonarsi dopo un aborto.
- Senso di solitudine: la sensazione di essere sole e incomprese nel proprio dolore.
Imparare come superare il dolore di un aborto volontario è un processo che richiede tempo e gentilezza verso se stessi. Le ripercussioni psicologiche non devono essere affrontate in solitudine. Un percorso psicoterapeutico offre uno spazio sicuro per dare un nome a queste emozioni e imparare a gestirle.
L'aborto come esperienza trasformativa
Al di là del dolore, è importante considerare anche un altro significato psicologico dell’aborto. Per alcune donne, l'IVG può rappresentare il primo “no” esplicito e consapevole della loro vita: un atto di affermazione di sé che, pur nascendo da una crisi, può innescare un processo di profonda rinascita personale.
In questo senso, la donna che sceglie di abortire si trova di fronte a una sorta di prima nascita di se stessa. Questo momento può segnare una svolta, accelerando il percorso di definizione della propria identità. Sebbene possa sembrare un paradosso, esistono esperienze di aborto volontario positive, non perché l'evento sia felice, ma perché la consapevolezza che ne deriva può essere generativa e trasformativa.
L'aborto come rito di passaggio
La scelta di abortire raramente è un passaggio indolore. Può essere accompagnata da senso di colpa e da un sentimento di inadeguatezza, proprio perché rappresenta una forte affermazione di sé. In termini psicologici, affrontare un'IVG può significare confrontarsi con la propria 'madre onnipotente interiore': quella parte di noi che si prende cura degli altri fino ad annullarsi, che fatica a dire di no per paura di deludere o di non essere amata.
Visto in questa luce, l'aborto può assumere le forme di un evento iniziatico, un rito di passaggio che segna una trasformazione. Considerarlo tale, come avviene in alcune culture, implica:
- riconoscerne l'importanza trasformativa nella propria storia personale;
- andare oltre l’apparenza di un evento puramente negativo per coglierne il potenziale di crescita.
Nell'inconscio, i processi non sono sempre lineari o evidenti. Può sembrare un paradosso vedere un potenziale generativo in un evento che socialmente è legato alla fine di qualcosa. Eppure, è proprio nel dialogo tra fine e inizio, tra morte e vita, che possono emergere e trovare spazio nuove parti di noi.
Uno strumento di consapevolezza
La rinuncia a un percorso, come quello di diventare madre in un dato momento, può aprire le porte a nuove consapevolezze, che sono a loro volta generative. Da un punto di vista psicodinamico, si potrebbe ipotizzare che alcune gravidanze inizino già con un destino inconscio di interruzione: non come una fatalità subita, ma come una necessità interiore (ananke, per i greci) di fare ciò che è indispensabile per la propria evoluzione in quel preciso istante.
Questa non è una visione egoistica, ma una presa di coscienza: la salute psicologica di una madre è un fattore determinante per il benessere di un futuro figlio. In definitiva, ciò che rende un evento davvero trasformativo non è tanto la scelta in sé, quanto la riflessione e la consapevolezza che possono accompagnarla o seguirla. È questo lavoro interiore che permette di superare un aborto e integrarlo nella propria storia.

La terapia come spazio per risignificare l'esperienza
Chiedere aiuto e andare dallo psicologo dopo un'interruzione di gravidanza è un passo importante. La terapia, infatti, offre uno spazio protetto dove è possibile dare voce e significato a tutto ciò che si agita dentro. In particolare, permette di:
- avviare l'elaborazione del lutto: anche se la gravidanza non è stata portata a termine, c'è una perdita da riconoscere e onorare.
- risignificare il dolore: trasformare la sofferenza in un'occasione di comprensione più profonda di sé.
- elaborare eventuali ricordi traumatici: elaborare gli aspetti più difficili legati all'intervento, che sia stato un aborto farmacologico o chirurgico.
- lavorare sulla narrazione della propria esperienza: raccontare la propria storia in un ambiente non giudicante aiuta a ricomporre i pezzi e a integrarla nel proprio percorso di vita.
La ricerca scientifica suggerisce che, nella maggior parte dei casi, dopo un'IVG non si sviluppano conseguenze psicologiche o psichiatriche gravi a lungo termine. Tuttavia, quando emergono difficoltà significative, è spesso perché l'aborto si inserisce in un quadro di vulnerabilità preesistente. Questo non minimizza il dolore, ma sottolinea l'importanza di un ascolto attento e competente per comprendere la situazione nella sua interezza.
Un psicologo o psicoterapeuta può offrire un supporto fondamentale per affrontare e gestire l'impatto e i sintomi psicologici dopo un aborto. Che si tratti di una possibile depressione post aborto volontario, di un blocco emotivo o di altre difficoltà, un professionista aiuta a navigare queste acque complesse, fornendo strumenti per elaborare l'esperienza e prevenire lo sviluppo di disagi più strutturati.
La psicologia post aborto
Come abbiamo visto, il tema dell'interruzione volontaria di gravidanza è sfaccettato e solleva domande profonde e personali. Molte donne si chiedono:
- Come superare un aborto volontario e il suo dolore?
- Cosa posso imparare dalle esperienze di altre donne che hanno fatto questa scelta?
- Come affrontare un aborto a livello psicologico?
- È davvero possibile gestire le conseguenze psicologiche di un'interruzione di gravidanza?
Cercare un supporto psicologico, anche attraverso una/o psicoterapeuta online, non è un segno di debolezza, ma una scelta di consapevolezza e di amore verso se stesse. Permettersi di affrontare un evento così impattante con l'aiuto di un professionista significa entrare in un ambiente non giudicante, dove poter ricevere sostegno con empatia e competenza per dare un nuovo significato all'esperienza vissuta.