Salute mentale
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Uomo e natura: l’ipotesi della biofilia

Uomo e natura: l’ipotesi della biofilia
Uomo e natura: l’ipotesi della biofilialogo-unobravo
Giada Sofia Del Monaco
Giada Sofia Del Monaco
Redazione
Psicologa ad orientamento Psicoanalitico
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
13.10.2023

Nell’epoca della rivoluzione tecnologica e digitale, l’esperienza del contatto con la natura resta per molti una fonte unica e inesauribile di benefici fisici e psicologici. Lo psicologo e psicoanalista E. Fromm, utilizza la parola biofilia definendola “l’amore appassionato della vita e di tutto ciò che è vivo”.

A pensarci bene, a molti di noi sarà capitato di sperimentare un profondo senso di pace semplicemente camminando in un bosco, ascoltando suoni naturali o trascorrendo del tempo in spiaggia godendo di tutti i benefici del mare.

Oggi più che mai, sembra che il legame emotivo tra uomo e natura sia importante, tanto che, già da tempo, molti ricercatori da ogni parte del mondo si sono occupati di questo tema, focalizzandosi su questo “amore per la vita”, sul legame tra natura e uomo e sulle sue origini agli albori dell’umanità.

biofilia cos'è
Bela Cheers - Pexels

Cos’è la biofilia

Il significato letterale di biofilia, stando alla sua etimologia greca (bio “vita” e filia “amore”), è letteralmente “amore per la vita”.

Sebbene, come abbiamo visto, il termine è stato utilizzato in chiave psicologica da  Erich Fromm, “l’ipotesi biofilia” in campo di ricerca è stata avanzata dal biologo americano Edward Osborne Wilson nel libro Biophilia.

Per Wilson, la biofilia è la tendenza psicologica innata a focalizzare la propria attenzione su tutto ciò che è vivente, intrecciando anche, in determinate circostanze, relazioni affettive con le forme di vita che incontriamo.

Una storia d’amore lunga millenni

Più del 95% della storia dell’uomo ha avuto luogo in ambienti naturali selvaggi, caratterizzandosi per uno stile di vita da nomadi cacciatori-raccoglitori. 

Con l’avvento dell’agricoltura e dell’allevamento, circa 14.000 anni fa, le comunità di esseri umani iniziarono a divenire stanziali. Fu in quel periodo che iniziò a farsi strada la distinzione psicologica tra una natura rurale, abitata e domestica, e una natura selvaggia, pericolosa e incontrollabile.

Con la Rivoluzione Industriale e la trasformazione dei centri abitati in agglomerati urbani, in molte regioni del mondo, la distanza tra esseri umani e natura selvaggia si è accentuata, facendo sì che il nostro rapporto ancestrale con la vita selvatica finisse via via dimenticato. 

Come scrive Pinkola Estés in Donne che corrono coi lupi, “l’ombra che ci trotterella dietro va indubbiamente a quattro zampe”: il rapporto istintuale e ancestrale con la natura, rimasto intatto nelle profondità della psiche individuale e collettiva, ci segue silenzioso come un abitante del bosco, aspettando che ci voltiamo indietro per camminare al suo fianco.

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La biofilia nella ricerca scientifica

La ricerca scientifica sulla biofilia si è concentrata su due dimensioni. Un primo aspetto riguarda il potere della natura di attrarre la nostra attenzione involontaria, cui è stato anche dato il nome di fascinazione, e che non richiede sforzi particolari per essere mantenuta.

Questa differisce dall’attenzione volontaria, che invece necessita di sforzo e può provocare affaticamento mentale.

Un secondo aspetto riguarda invece il senso di connessione tra uomo e natura, ossia quanto sentiamo di appartenere alla natura e quanto percepiamo che natura e benessere siano strettamente connessi.

La teoria della rigenerazione dell’attenzione

Di attenzione volontaria e involontaria parlano i ricercatori Stephen e Rachel Kaplan nel libro The experience of nature: A psychological perspective, in cui i due studiosi, specializzati in psicologia ambientale, sostengono che gli ambienti naturali presentano qualità ristorative che aiutano gli individui a rigenerare le proprie capacità mentali in seguito a uno sforzo prolungato dell’attenzione.

Mantenere volontariamente la concentrazione su un certo compito richiede infatti di inibire tutti gli stimoli potenzialmente distraenti e ciò ha un costo in termini di affaticamento mentale. La natura, attraverso il suo potenziale di fascinazione, cattura dolcemente la nostra attenzione senza sforzo alcuno, consentendo ai meccanismi dell’attenzione volontaria di riposare e riguadagnare efficienza. 

Altre caratteristiche ristorative degli ambienti naturali derivano dal fatto che quando vi siamo immersi possiamo sperimentare un senso di ampliamento poiché, che si tratti degli spazi sterminati di una prateria o di un giardino in miniatura, ci sentiamo immersi in una realtà coerente e completa, un vero e proprio mondo brulicante di vita e con i suoi cicli.

amore per la natura
Pelageia Zelenina - Pexels

Sentirsi connessi con la natura

La dimensione della connessione uomo natura si riferisce a quanto ci sentiamo in risonanza con il mondo naturale, esperendoci come una sua parte, e non come superiori o completamente distinti da esso.

Tale vissuto di interdipendenza implica un certo grado di “sfocatura” dei confini tra noi e il mondo circostante, grazie al quale la natura non è più percepita come qualcosa da dominare ma come una matrice che ci avvolge il cui benessere influenza il nostro.

Quando ci focalizziamo sulla nostra persona in modo oggettivo, come se ci osservassimo dall’esterno, tendiamo a percepirci come un’entità coerente ben distinta dall’ambiente circostante, che diventa uno sfondo.

In questa condizione, definita dagli studiosi Duval e Wicklund autoconsapevolezza oggettiva [1], il nostro rapporto con la natura è mediato da ciò che crediamo e conosciamo di noi stessi: 

  • se l’insieme dei nostri valori e atteggiamenti implica un buon rapporto con l’ambiente, allora ci comporteremo di conseguenza
  •  diversamente, sperimenteremo un senso di distacco.

Al contrario, nella condizione di autoconsapevolezza soggettiva, invece che “uscire da noi stessi” ci viviamo “da dentro” quale centro di percezione e azione. La relazione con noi stessi non è mediata dal concetto che abbiamo di noi, ma presenta un carattere esperienziale e diretto. 

Invece di essere focalizzati sul nostro “Io”, ci immergiamo nel flusso delle relazioni con il mondo attraverso le nostre azioni. Per tale ragione, sperimentiamo un senso di maggiore connessione con il mondo naturale circostante, a prescindere dalle nostre disposizioni più o meno eco-friendly.

Studi scientifici [2] hanno riscontrato che il vissuto di connessione con la natura è significativamente associato a una maggiore vitalità, meno stress [3], emozioni positive e soddisfazione nella vita. 

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L’architettura biofilica

Al giorno d’oggi le persone tendono a trascorrere quotidianamente molte più ore nei luoghi chiusi che all’aperto. Secondo l’ipotesi di biofilia di Wilson, il contesto in cui l’essere umano vive riveste un’importanza fondamentale per il proprio benessere, teoria confermata da una ricerca [4] che ha identificato “specifici meccanismi neurali per un fattore di rischio ambientale stabilito” e collegato “per la prima volta l’ambiente urbano all’elaborazione dello stress sociale”.

Anche l’OMS sottolinea l’importanza di ambienti più salubri e con una maggiore integrazione tra natura e spazi urbani, attraverso l’iniziativa Healthy Cities [5], in cui l’ecologia rappresenta uno dei pilastri contemporanei del benessere della persona.

Il rapporto uomo-natura è il principale ambito di ricerca del design biofilico, che mira appunto a integrare sempre di più, e in modo armonico, gli spazi verdi e naturali con quelli urbani che ognuno di noi vive quotidianamente:

“cultura e natura possono coesistere e i paesaggi urbani espandersi senza restrizioni nella dimensione verticale” Bjarke Ingels

La progettazione biofilica è sostenuta anche da diversi studiosi come Giuseppe Barbiero, biologo e docente all’Università della Valle D’Aosta, e direttore del Laboratorio di ecologia affettiva dell’Ateneo e che, nello studio Affective Ecology as development of biophilia hypothesis [6] sottolinea:

“Le persone che vivono in città avranno sempre meno possibilità di entrare in contatto con la Natura. Diventa quindi importante creare un ambiente quanto più stimolante possibile per la nostra biofilia. […]

L’obiettivo della progettazione biofila è creare ambienti artificiali quanto più simili possibile a quelli naturali, per garantire l’effetto positivo che la Natura ha sulla salute e sul benessere delle persone.”

natura e benessere psicologico
Lucas Allmann - Pexels

Quando la natura è lontana e sofferente

Se da un lato questo “effetto biofilia” porta indubbi benefici sulla salute mentale dell’individuo, la mancanza di una connessione con la natura può portare a quello che il giornalista Richard Louv ha definito “deficit di natura” o Nature Deficit Disorder.

Questa definizione è “un’etichetta” [7] utilizzata per definire gli alti costi, pagati soprattutto dai bambini, provocati dall’alienazione umana, privata del rapporto con la natura. Non è certamente una definizione diagnostica contemplata nei manuali (come non lo è la depressione post Avatar) ma evidenzia ugualmente un fenomeno sociale in ascesa.

Quando poi la riflessione sulla natura si sposta sulla crisi climatica, si può sperimentare la “paura cronica della rovina ambientale” o eco-ansia. L’American Psychological Association (APA), nel documento Mental health and our changing climate: impacts, implications, and guidance [8] evidenzia con chiarezza gli effetti del cambiamento climatico sul benessere psicologico delle persone:

“Le principali conseguenze sulla salute mentale includono aumento di traumi e shock, disturbo da stress post-traumatico (PTSD), stress, ansia, abuso di sostanze e depressione. Il cambiamento climatico- come i cambiamenti meteorologici estremi- le risorse alimentari e idriche danneggiate, e l’aria inquinata influiscono sulla salute mentale umana

Maggiori livelli di stress e angoscia possono anche mettere a dura prova le relazioni sociali e hanno anche un impatto sulla salute fisica, come perdita di memoria, disturbi del sonno, deficit immunitari e cambiamenti nella digestione.”

Natura e benessere emotivo

Passeggiare in un bosco, in spiaggia, fare una pausa in un giardino verde, può portare effetti benefici sulla depressione e sull’ansia, riducendo i pensieri ricorsivi che caratterizzano la ruminazione e sono alla base di molte forme di malessere psicologico. 

Il modello di Gilbert, che ha sviluppato la Compassion Focused Therapy, può esserci utile nel comprendere alcuni di questi effetti. Esso identifica tre sistemi di regolazione emotiva:

  • il sistema di protezione dalla minaccia si attiva di fronte alla percezione di un pericolo ed è volto a garantire la sopravvivenza attraverso comportamenti di attacco, fuga e messa in sicurezza; si accompagna ad emozioni quali paura, rabbia, disgusto e tristezza
  • il sistema di ricerca di stimoli e risorse favorisce l’attivazione alla volta del raggiungimento di obiettivi e ricompense; esso è caratterizzato da sentimenti di vitalità, eccitazione e contentezza
  • il sistema calmante si accompagna a vissuti di sicurezza, appagamento e tranquillità; la sua funzione è quella di bilanciare l’attivazione degli altri due sistemi, favorendo così un benefico rallentamento dell’organismo e un recupero delle energie. Esso si attiva nei momenti di affiliazione ed è alla base del vissuto di connessione e attaccamento nei confronti degli altri esseri viventi.

Sperimentare le emozioni stimolate dalla permanenza nella natura incoraggia uno stato di benessere che può essere rigenerante, e nutre la nostra interiorità. Inoltre, può stimolare vitalità ed energia, donandoci nel complesso, uno maggiore benessere psicofisico.

 

Bibliografia

Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista.
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