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Disturbi psichici
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minuti di lettura

Dismorfofobia: il disturbo di dismorfismo corporeo

Dismorfofobia: il disturbo di dismorfismo corporeo
Rita Salamone
Psicoterapeuta ad orientamento Dinamico
Redazione
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Ultimo aggiornamento il
24.11.2025
Dismorfofobia: il disturbo di dismorfismo corporeo
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Il dizionario Treccani dà alla voce “dismorfofobia” il significato di “Timore ossessivo d'essere o di diventare brutti, asimmetrici, deformi”. In questo articolo approfondiamo il significato di dismorfismo corporeo e, per farlo, partiremo dalla definizione dell'American Psychiatric Association (APA).

La dismorfofobia, conosciuta anche come “disturbo di dismorfismo corporeo” o body dysmorphia (BDD), viene definita dall’APA come “una condizione caratterizzata da eccessive e continue preoccupazioni per imperfezioni, non osservabili oggettivamente, che le persone percepiscono nel loro aspetto fisico.”

Il disturbo da dismorfismo corporeo può portare la persona a sottoporsi a interventi estetici, spesso senza alcun beneficio reale, alimentando così la tendenza a richiederne altri. Infatti, è stato osservato che tali interventi chirurgici non portano a una remissione dei sintomi, ma piuttosto a una loro trasposizione su altre parti del corpo (Mehler-Wex & Warnke, 2006).

Le preoccupazioni per il proprio aspetto fisico possono concentrarsi su qualsiasi parte del corpo, ma le aree principalmente coinvolte sono:

  • la pelle
  • il naso
  • il peso
  • gli occhi
  • le gambe
  • i denti.
dysmorphia
Andrea Piacquadio - Pexels

Dismorfofobia: sintomi e criteri diagnostici

Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), la dismorfofobia rientra nello spettro del "Disturbo ossessivo compulsivo e disturbi correlati" (come la sindrome di Noè e la tricotillomania), e non nelle fobie (come potrebbe far pensare il nome).

I criteri diagnostici del disturbo da dismorfismo corporeo riportati nel DSM-5 sono:

  • preoccupazione per uno o più difetti o imperfezioni percepiti nell’aspetto fisico, che non sono osservabili o appaiono agli altri in modo lieve
  • comportamenti ripetitivi o azioni mentali in risposta a preoccupazioni legate all’aspetto
  • disagio clinicamente significativo oppure menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o in altre aree importanti
  • preoccupazione non giustificata per il grasso corporeo o il peso in un individuo i cui sintomi soddisfano i criteri diagnostici per un disturbo alimentare.”

In questo contesto, il ruolo del chirurgo plastico è molto importante: riconoscere i pazienti affetti da dismorfofobia e indirizzarli verso percorsi terapeutici adeguati può far si che vengano evitati con interventi chirurgici non indicati (Barone et al., 2021).

Sviluppo e disturbi associati alla dismorfofobia

La dismorfofobia, solitamente, insorge tra i 17 e i 18 anni di età, anche se i primi segnali possono manifestarsi già intorno ai 12-13 anni.

Questo disturbo viene spesso collegato al cambiamento fisico e al travaglio dell’identità: in altri termini, può essere considerato come una “simbolizzazione” attraverso il corpo dei conflitti legati al processo di separazione-individuazione.

Rivestono molta importanza, dunque, i processi attraverso i quali la persona giunge ad acquisire la propria identità, cioè il vissuto della propria immagine globale e la corrispondenza tra questa e il corpo che si ha in mente.

Chi convive con il dismorfismo, di solito, può presentare anche altre problematiche. Tra queste, possono manifestarsi insieme:

Leggendo le esperienze di dismorfofobia in diversi forum in rete, ci si rende conto di quanto le angosce dismorfofobiche possano compromettere la vita della persona, che può sentirsi incompresa e sprofondare nella solitudine.

Tipologie di dismorfofobia: varianti cliniche e nuove forme

La dismorfofobia può manifestarsi in diverse forme, alcune delle quali sono emerse o si sono accentuate negli ultimi anni a causa dei cambiamenti sociali e tecnologici.

  • Dismorfia muscolare (bigorexia o vigoressia): caratterizzata da una preoccupazione eccessiva per la massa muscolare e la forma fisica, spesso accompagnata da comportamenti compulsivi come l'allenamento estremo e l'uso di integratori o sostanze anabolizzanti.
  • Dismorfofobia del volto: riguarda la percezione di difetti minimi o inesistenti nei tratti del viso, come naso, pelle o denti, e può portare a richieste ripetute di interventi estetici.
  • "Snapchat dysmorphia": termine recente che descrive la tendenza a desiderare un aspetto simile a quello ottenuto tramite filtri digitali e app di fotoritocco. Secondo uno studio pubblicato su "JAMA Facial Plastic Surgery" (2018), questa forma di dismorfofobia è in aumento tra i giovani, che possono sviluppare aspettative irrealistiche sul proprio aspetto.

Queste varianti condividono la caratteristica centrale della dismorfofobia: una preoccupazione intensa e persistente per difetti percepiti, che spesso non sono visibili agli altri.

Basi neurobiologiche e fattori di rischio della dismorfofobia

Le ricerche più recenti suggeriscono che la dismorfofobia possa essere il risultato di una complessa interazione tra fattori genetici, ambientali e neurobiologici.

  • Fattori genetici: studi familiari hanno evidenziato una maggiore incidenza del disturbo tra i parenti di primo grado di persone con dismorfofobia o disturbo ossessivo-compulsivo (Phillips et al., 2010).
  • Fattori ambientali: esperienze di trascuratezza, abuso o bullismo durante l'infanzia possono aumentare il rischio di sviluppare il disturbo, come riportato dall'American Psychiatric Association (DSM-5, 2013).
  • Aspetti neurobiologici: alcune ricerche di neuroimaging hanno individuato alterazioni nelle aree cerebrali coinvolte nell'elaborazione delle immagini corporee e nel controllo delle emozioni, in particolare nella corteccia orbitofrontale e nelle regioni temporo-parietali (Feusner et al., 2010).

Questi dati sottolineano come la dismorfofobia non sia semplicemente una questione di "vanità" o insoddisfazione superficiale, ma un disturbo complesso che coinvolge diversi livelli di funzionamento psicologico e biologico.

Addy Mae - Unsplash

Conseguenze psicosociali della dismorfofobia

La dismorfofobia, ha un peso rilevante sulla vita di una persona, non solo sul piano individuale ma anche nelle relazioni e nel modo di stare nel mondo. Chi ne soffre vive spesso una preoccupazione costante per difetti percepiti del proprio aspetto, che agli altri possono sembrare invisibili o irrilevanti, ma che per la persona diventano fonte di forte disagio.

Con il tempo questo può portare a evitare gli altri, perché ci si sente esposti, vulnerabili, giudicati. Anche situazioni semplici (uscire con amici, andare a scuola o al lavoro) possono diventare difficili. A volte si preferisce restare a casa proprio per non affrontare quella sensazione di “essere visti”.

Questa spirale può coinvolgere anche i rapporti affettivi: partner, amici, familiari possono non capire davvero cosa si stia provando, e questo crea distanza. Si può diventare più chiusi, più silenziosi, oppure chiedere costantemente rassicurazioni, come se niente fosse mai abbastanza per sentirsi un po’ più tranquilli.

Anche sul piano emotivo, l’autostima tende a scendere, sentendosi sbagliati o inadatti. L’ansia può crescere, così come la tristezza o la frustrazione.

È importante ricordare, però, che nulla di tutto questo è segno di debolezza. La dismorfofobia è un disturbo riconosciuto e complesso, che può essere affrontato. Con il giusto supporto, molte persone riescono a costruire un rapporto più gentile con se stesse e a recuperare spazi di vita che sembravano perduti.

Curare la dismorfofobia

Tra le possibili cure per la dismorfofobia, quella d’elezione è la psicoterapia, che rappresenta una strategia indispensabile per il trattamento del disturbo da dismorfismo corporeo.

Nello specifico, la terapia cognitivo-comportamentale e la psicoterapia psicodinamica si sono rivelate efficaci nel trattamento della dismorfofobia. In base alle valutazioni dell’esperto e dopo il coinvolgimento di un professionista specializzato, come uno psichiatra, alla psicoterapia può essere associata la somministrazione di farmaci, che devono essere assunti rigorosamente sotto controllo medico. In particolare, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) sono considerati il trattamento farmacologico di prima scelta per la dismorfofobia (Mehler-Wex & Warnke, 2006).

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