Nella pratica clinica psicoterapeutica, e più in generale nell’esperienza umana, capita spesso di incontrare persone che hanno vissuto traumi di diversa natura — fisici, sessuali o emotivi. Queste esperienze pongono spesso la persona di fronte a una domanda profonda: riuscirò mai a perdonare o a perdonarmi per ciò che è accaduto?
Quando qualcuno a cui teniamo ci ferisce, è naturale provare rabbia, risentimento o desiderio di rivalsa. Tuttavia, con il tempo può emergere anche il bisogno di lasciare andare e di ritrovare pace attraverso il perdono.
In questo articolo esploreremo che cosa significa davvero perdonare, quali processi psicologici sono coinvolti e perché imparare a perdonare — se e quando si è pronti — può rappresentare un passo importante nel percorso di guarigione e crescita personale.
Cos’è il perdono?
Nel corso della vita, nessuna persona può evitare l’esperienza di essere ferita, offesa o amareggiata.
Quando subiamo un torto, la rabbia, il rancore e il risentimento possono consumarci. I pensieri che accompagnano queste emozioni possono portarci a voler rivendicare l’offesa subita, a cercare di dimenticare l’accaduto o, talvolta, a evitare nuove relazioni per paura di essere feriti di nuovo.
Questi meccanismi, però, possono mantenere il problema: non possiamo dimenticare a comando, la rivendicazione può dare un sollievo temporaneo ma non duraturo, e non è possibile evitare del tutto le relazioni con gli altri.
Come ricordava Aristotele, “l’uomo è un animale sociale” e tende naturalmente a vivere in società.
Ma perché può essere così difficile perdonare? Anche sapendo che il perdono può portare benessere mentale, spesso è complesso intraprendere questo percorso di liberazione dalla sofferenza. La risposta può risiedere nell’interpretazione che diamo all’evento e nel significato che attribuiamo alla parola perdono.
Modelli teorici del perdono in psicologia
Nel tempo, diversi studiosi hanno cercato di spiegare il perdono attraverso modelli teorici che ne evidenziano la complessità. Tra i più riconosciuti troviamo il modello di Robert Enright, quello di Everett Worthington e l’approccio di James North.
- Il modello di Enright vede il perdono come un processo attivo e volontario, che implica il riconoscimento dell’offesa, la comprensione dell’offensore e la decisione di lasciar andare il risentimento. Enright sottolinea che perdonare non significa dimenticare o giustificare, ma cambiare il proprio atteggiamento verso chi ha causato il danno.
- Worthington ha sviluppato il modello REACH, che identifica cinque fasi: Ricordare l’offesa, provare Empatia, offrire un Atto altruistico di perdono, impegnarsi a perdonare e Mantenere il perdono nel tempo. Questo modello è stato utilizzato in numerosi interventi clinici per aiutare le persone a superare il dolore emotivo.
- James North distingue tra perdono “condizionato” (che richiede il pentimento dell’offensore) e “incondizionato” (che può essere concesso anche senza una richiesta di scuse). Questa distinzione aiuta a comprendere le diverse modalità con cui si può vivere il perdono.
Questi modelli offrono strumenti utili per esplorare il perdono non solo come atto morale, ma come processo psicologico complesso, che può essere affrontato e sostenuto anche in un percorso terapeutico.

Perdono: significato della parola
L’etimologia di “perdono” deriva dal latino medievale “perdonare”, composto da “per” (completamente) e “donare”. Storicamente, il termine fu usato da Francesco d’Assisi, che scriveva: «Beati quelli che perdonano per lo Tuo Amore».
Il verbo “perdonare” ha avuto molte interpretazioni nel tempo. Oggi, nel linguaggio comune, spesso significa “tacere dopo aver subìto un torto”. Tuttavia, il significato autentico del perdono, secondo lo psicologo Davide Algeri, è: «Imparare a dividere il giudizio sulla persona dalle azioni che ha fatto».
Se consideriamo il “tacere” come segno di debolezza o incapacità di rispondere all’offesa, sarà difficile intraprendere il percorso del perdono. Se invece impariamo a non giudicare la persona, né noi stessi, ma a considerare l’azione per quello che è, con tutto il suo carico di sofferenza, sarà più semplice concedere e concederci il perdono.
È importante anche accettare i pensieri per quello che sono, senza considerarli fatti reali, ma semplicemente pensieri che attraversano la nostra mente.
Il perdono, dal punto di vista psicologico, non significa dimenticare, sminuire, giustificare o chiedere scusa per l’accaduto, né rinunciare al diritto di ottenere giustizia o riconciliarsi.
Saper perdonare
Cosa significa perdonare e cosa comporta?
Innanzitutto, il perdono implica il ricordo dell’accaduto e della sua gravità. Perdonare non vuol dire dimenticare, né sarebbe utile farlo.
Il perdono è autentico quando chi ha subito il torto, pur arrivando col tempo ad attribuire significati diversi a chi l’ha ferita, ne riconosce comunque le responsabilità e la natura delle azioni compiute, senza sminuirle o giustificarle.
Inoltre, invece di rinunciare alle proprie legittime pretese di giustizia, la persona che perdona, a differenza di chi si vendica, spesso confida che le norme sociali e culturali tutelino adeguatamente tali pretese. In altri termini, rifiuta di farsi giustizia da sé, ma non necessariamente di avere giustizia (Aquino et al., 2006).
Infine, il perdono non prevede necessariamente una riconciliazione. Esistono situazioni in cui non è favorevole riconciliarsi con chi si è perdonato, soprattutto se questo potrebbe alimentare un legame fonte di sofferenza.
Le fasi del processo di perdono
Il perdono, secondo la letteratura psicologica, è un percorso che si sviluppa attraverso diverse fasi. Comprendere queste tappe può aiutare a normalizzare le difficoltà che spesso si incontrano lungo il cammino.
- Riconoscimento dell’offesa: Si prende consapevolezza del dolore subito e dell’impatto che l’offesa ha avuto sulla propria vita. In questa fase emergono spesso emozioni intense come rabbia, tristezza o delusione.
- Elaborazione emotiva: Si lavora sulle emozioni negative, cercando di comprenderle e accettarle senza giudizio. È importante concedersi il tempo necessario per sentire e dare un nome a ciò che si prova.
- Riconsiderazione dell’offensore: Questa fase prevede uno sforzo di comprensione verso chi ha causato il danno, senza necessariamente giustificarlo. Si prova a vedere la situazione anche dal punto di vista dell’altro, sviluppando empatia.
- Decisione di perdonare: Il perdono diventa una scelta consapevole, che non implica dimenticare o minimizzare l’accaduto, ma liberarsi dal peso del rancore.
- Liberazione emotiva: Con il tempo, si può sperimentare un senso di sollievo e leggerezza, che permette di guardare avanti e ricostruire il proprio benessere.
Queste fasi, descritte ad esempio nel modello di Enright, possono essere vissute in modo non lineare: è normale tornare indietro o soffermarsi più a lungo su una tappa. Ogni percorso di perdono è unico e personale. (Enright, 2015)

Perdono, giustificazione, dimenticanza e riconciliazione: le differenze
Nel linguaggio comune, i termini perdono, giustificazione, dimenticanza e riconciliazione vengono spesso confusi, ma in psicologia rappresentano concetti distinti, ognuno con implicazioni specifiche per il benessere emotivo.
- Perdono: Significa scegliere di lasciar andare il risentimento e il desiderio di vendetta, pur riconoscendo la gravità dell’offesa. Non implica necessariamente il ripristino del rapporto con l’offensore.
- Giustificazione: Consiste nel trovare delle ragioni che spiegano o minimizzano l’offesa, spesso attribuendo all’offensore motivazioni o attenuanti. A differenza del perdono, la giustificazione può portare a negare il proprio dolore o a sminuire l’accaduto.
- Dimenticanza: Implica la rimozione dell’evento dalla memoria o il tentativo di non pensarci più. Tuttavia, dimenticare non equivale a perdonare, e spesso il dolore riemerge se non viene elaborato.
- Riconciliazione: È il processo di ricostruzione della relazione con l’offensore, che può avvenire solo se entrambe le parti sono disposte a impegnarsi. Il perdono può avvenire anche senza riconciliazione, soprattutto quando la relazione non è più sicura o salutare.
Comprendere queste differenze può aiutare a fare chiarezza sulle proprie aspettative e a scegliere consapevolmente il percorso più adatto al proprio benessere.
Perdonare ma allontanarsi
Gli studi clinici indicano che il perdono può essere salutare anche in caso di abusi familiari, relazioni tossiche o traumi gravi, purché non venga confuso con la riconciliazione. Ristabilire un legame che potrebbe esporre a nuovi rischi può compromettere la salute psicofisica. Inoltre, le percezioni delle vittime riguardo al valore della relazione con chi ha causato il danno e al rischio di essere nuovamente sfruttate influenzano la decisione di perdonare (McCauley et al., 2022).
Anche quando una riconciliazione sembra opportuna, come in un rapporto conflittuale tra madre e figlia, non è detto che debba necessariamente avvenire. Si può perdonare senza per forza dover fare pace.
Il perdono può essere un atto unilaterale e incondizionato, mentre la riconciliazione richiede l’impegno di entrambe le persone coinvolte. L’offensore deve assumersi le proprie responsabilità e offrire rassicurazioni sulle proprie intenzioni future. Se questi presupposti mancano, la vittima può scegliere di perdonare senza perseverare in una riconciliazione.
Come affermava Charles Williams: “Molte riconciliazioni promettenti falliscono perché entrambe le parti arrivano preparate a perdonare, ma non ad essere perdonate”.
Come perdonare qualcuno: tendenza innata o appresa?
Si può imparare a perdonare un’offesa specifica, ma è anche possibile sviluppare una tendenza generale al perdono. Tuttavia, esiste una predisposizione innata al perdono?
Pensando a figure come Martin Luther King, Madre Teresa, Gandhi e Nelson Mandela, ci si può chiedere se siano nati con una naturale inclinazione al perdono o se l’abbiano sviluppata grazie alle esperienze e agli incontri della loro vita.
Le ricerche e le testimonianze cliniche mostrano come l’ambiente familiare, sociale e culturale influenzi profondamente la nostra propensione al perdono, sia nel modo di viverlo che in quello di intenderlo.
Una ricerca longitudinale sulla gestione dei conflitti familiari ha evidenziato che più i genitori sono inclini a perdonare i propri figli, più questi ultimi, a distanza di un anno, diventano propensi a perdonare a loro volta (Maio et al., 2008).
Inoltre, da adulti, le persone tendono a riprodurre gli stessi schemi appresi in famiglia, mostrando livelli di perdono verso il coniuge e concezioni del perdono molto simili a quelle dei propri genitori.

Perdono: una questione culturale?
Studi cross-culturali evidenziano che le persone sono più inclini a concedere il perdono, sia ai propri cari che a sconosciuti, se cresciute in paesi collettivisti asiatici, africani e latino-americani; meno se educate in paesi individualisti nordamericani ed europei.
Le culture collettiviste valorizzano l’armonia e la coesione sociale, incentivando il perdono anche verso gli estranei. Nonostante queste differenze, il perdono sembra essere universalmente diffuso come mezzo per salvaguardare i rapporti più stretti. Studi etnografici indicano che il perdono è presente nel 93% delle culture, dove viene considerato uno strumento appropriato per risolvere offese e conflitti tra coniugi, genitori e figli, vicini e comunità.
Questi dati suggeriscono una componente sia innata che appresa del perdono, confermando la sua valenza adattiva. Il bisogno di affiliazione ci spinge ad aprirci agli altri, esponendoci però anche a ferite profonde. Per affrontare queste ferite, è possibile intraprendere il viaggio del perdono, che, come ricorda David Lynch, è lento, faticoso e non può essere delegato ad altri.
I benefici del perdono e i suoi ingredienti
Perdonare chi ci ha ferito, tradito o deluso rappresenta una delle sfide emotive più complesse. Il dolore del tradimento può lasciare ferite profonde che sembrano impossibili da sanare. Tuttavia, imparare a perdonare è un passaggio importante per liberarsi dal peso del passato e guardare avanti.
Studi recenti dimostrano che le terapie basate sul perdono sono efficaci nel ridurre la depressione, offrendo un supporto concreto a chi desidera intraprendere un percorso di guarigione emotiva (Akhtar & Barlow, 2018).
Il perdono coinvolge diversi aspetti della nostra psiche: i pensieri sull’offesa e su chi l’ha commessa, che devono diventare meno insistenti e più positivi; i sentimenti, che dovrebbero lasciare spazio all’empatia; e le motivazioni, che diventano più benevole e generose. Il perdono è associato a un aumento dell’empatia verso chi ha commesso l’offesa (McCullough et al., 1997).
Tra gli ingredienti fondamentali del perdono, uno dei più significativi è la capacità di lasciare andare la rabbia. Chi riesce a gestire meglio le sfide della vita spesso trova un modo per perdonare se stesso e gli altri, lavorando per liberarsi dalla rabbia e dal risentimento. Il perdono, inoltre, esercita un effetto positivo sulla salute psicologica, mediato sia dalla riduzione della rabbia sia dall’aumento della speranza (Kim et al., 2022).
Non si tratta di dimenticare, ma di affrancarsi dalla condizione di vittima, scegliendo di perdonare. Come racconta una paziente, vittima di una esperienza traumatica di abuso:
«Se non avessi vissuto tutto quello che mi è accaduto, oggi non sarei arrivata a comprendere cosa vuol dire davvero perdonare e perdonarsi senza doversi sentire sbagliati forse anche per aver meritato un tale malessere, e la rabbia mi avrebbe solo soffocata senza consentirmi di intraprendere delle relazioni amicali/affettive sane e libere dal giudizio».
Perché e quando perdonare fa bene?
Perdonare o non perdonare? Di fronte a un grande dolore, può capitare di pensare: “Non riesco a perdonare”. Per molte persone, infatti, non è sempre possibile perdonare tutto e tutti.
Tuttavia, numerose evidenze sperimentali e longitudinali, raccolte sia nella popolazione generale che in campioni clinici esposti a offese di vario tipo (donne vittime di incesto, ex coniugi traditi, figli di alcolizzati, veterani di guerra, donne abusate), attestano che, superando lo stress generato dall’offesa, la concessione del perdono determina condizioni psico-fisiche generalmente migliori rispetto a chi non perdona.
Perdonare è stato associato a:
- pressione cardiaca più bassa
- sistema immunitario ed endocrino più forte
- sintomatologia fisica più contenuta
- stili di vita più salutari (minore ricorso a farmaci, alcool e fumo)
- minori livelli di stanchezza, rabbia, odio, ansia, tristezza, solitudine e depressione
- umore più positivo e maggiore ottimismo
- più intensa soddisfazione di sé e della vita in generale
Alcuni studi sperimentali (Karremans, Van Lange e Holland, 2005) dimostrano che, quando le persone si soffermano sulle offese che hanno perdonato, sono più inclini a pensare in termini di “noi” invece che di “io” o “tu”, a fare volontariato e a donare a favore di associazioni umanitarie.
Il perdono tende ad avere effetti positivi anche sul rapporto con l’offensore. Quando la vittima è legata all’offensore da un rapporto stretto, il perdono contribuisce a ristabilire relazioni intime e soddisfacenti.
Favorendo la continuità di relazioni fondamentali per il benessere psico-fisico, non sorprende che il perdono risulti ancora più salutare quando concesso all’interno di tali legami. Tuttavia, è importante che anche chi ha ferito dimostri di tenere al rapporto, mostrandosi pentito e desistendo dal reiterare le proprie offese.
Nel complesso, il perdono sembra avere risvolti prevalentemente positivi. Le evidenze suggeriscono che il perdono di offese interpersonali reali può promuovere diverse dimensioni del benessere mentale (Akhtar & Barlow, 2018). La ricerca continua a indagare le variabili che più influiscono sulla sua concessione, così da poterle incentivare quando opportuno.

Tipologie di perdono: verso se stessi e verso gli altri
Il perdono può assumere forme diverse a seconda della direzione e della profondità con cui viene vissuto. In psicologia si distinguono principalmente:
- Perdono verso se stessi: riguarda la capacità di accettare i propri errori, lasciando andare il senso di colpa e l’autocritica eccessiva. Questo tipo di perdono può essere fondamentale per il benessere psicologico, perché permette di imparare dalle esperienze senza rimanere bloccati nel rimorso.
- Perdono interpersonale: si riferisce al perdono concesso a chi ci ha ferito. Può essere espresso apertamente o vissuto interiormente, anche senza comunicazione diretta con l’offensore. È spesso associato a una maggiore serenità e a relazioni più sane.
- Perdono ambivalente: si verifica quando si prova a perdonare, ma permangono sentimenti contrastanti come rabbia o diffidenza. È una fase comune nei percorsi di perdono, che richiede tempo e pazienza.
- Perdono completo: si può raggiungere quando si riesce a lasciar andare completamente il rancore, accettando l’accaduto e trovando un nuovo equilibrio emotivo. Non sempre è possibile o necessario arrivare a questo stadio, ma rappresenta un obiettivo a cui tendere per chi desidera liberarsi dal peso del passato.
Riconoscere la tipologia di perdono che si sta vivendo può aiutare a comprendere meglio le proprie emozioni e a orientarsi nel percorso di crescita personale.
Conclusioni: l’importanza del perdono
Una delle riflessioni più profonde sul perdono è di Nelson Mandela: “Il perdono libera l’anima, rimuove la paura ed è per questo che è un’arma potente.” Un’arma che non giustifica uno sbaglio, ma che va oltre ciò che è accaduto, oltre la sofferenza.
Perdonare qualcuno significa cercare la pace che ognuno di noi merita, avvicinandoci anche all’accettazione di noi stessi. La pace interiore può essere raggiunta quando pratichiamo il perdono. Ti ricordiamo che puoi chiedere, in qualunque momento, il supporto di uno degli psicologi online Unobravo, che saprà guidarti ed accompagnarti nel tuo percorso verso il perdono.








