Ci sono momenti nella vita di ogni persona caratterizzati da stati di dolore, sentimenti di mancanza e di perdita, come quando si soffre per un amore non corrisposto, a seguito di una separazione, di un lutto complicato, di una malattia o di un tradimento. Queste esperienze individuali si inseriscono in un contesto più ampio, in cui il carico globale di sofferenza grave correlata alla salute (SHS) è aumentato del 74% tra il 1990 e il 2021, raggiungendo quasi 73,5 milioni di persone (Knaul et al., 2025).
In queste situazioni, ci si può sentire senza strumenti, senza speranze, immobili o, al contrario, iper-attivati nel tentativo di tenere a bada emozioni difficili come la vergogna, la rabbia o l’ansia. Tuttavia, questi vissuti, se non accolti e compresi, possono lasciare solchi profondi dentro di noi, destinati a mettere radici sotterranee e poi a riaffiorare.
La sofferenza profonda ha il potere di insegnarci qualcosa
Secondo S. Freud, il dolore psichico può essere funzionale alla costruzione dell’Io. Sperimentando la frustrazione di aver perso qualcosa di importante per noi (come direbbe Freud il nostro “oggetto d’amore”), è possibile realizzare nuove consapevolezze utili alla crescita e alla maturazione individuale.
Nei momenti più difficili, soprattutto quando si affronta una perdita, possiamo sentirci molto fragili, ma spesso diventiamo più sensibili a ciò che ci circonda: cambia il nostro modo di considerare le relazioni familiari o amicali, la proporzione e l’importanza delle cose. In queste circostanze, la percezione dell’intensità del dolore può essere profondamente influenzata da come rappresentiamo il nostro corpo e lo spazio circostante (Torta et al., 2013), evidenziando quanto il vissuto personale e la relazione con l’ambiente contribuiscano a modulare ciò che sentiamo e pensiamo.
È come se la sofferenza ci trasferisse un nuovo sapere che determina il nostro (nuovo) essere, il nostro (nuovo) umore, le nostre (nuove) percezioni. A volte è proprio tutto questo “nuovo” a spaventarci, a confonderci, generando in noi ambivalenza, tristezza, rabbia, delusione e un senso di estraneità verso noi stessi.
Cosa accade dentro di noi quando la sofferenza ci coglie?
La prima cosa che spesso facciamo di fronte a un grande dolore è negare. Il rifiuto rappresenta uno dei meccanismi di difesa che ci permette di proteggerci nelle prime fasi del dolore.
Quando, ad esempio, ci viene annunciata la morte di qualcuno, un grave incidente o l’insorgere di una malattia, la prima reazione può essere “no, non è vero!”, “non è possibile!”. Tuttavia, negare a lungo termine richiede uno sforzo troppo grande per il sistema psichico, che rischia di prosciugare l’energia vitale, portando ad attacchi d'ansia, grande stanchezza, insonnia, depressione reattiva.
Il rifiuto è quindi inizialmente utile, ma poi è necessario lasciarselo alle spalle e attraversare le successive fasi di rabbia e tristezza. Quando prevale la rabbia, si cerca qualcuno o qualcosa su cui scaricare il senso di ingiustizia; la fase successiva, di profonda tristezza, ci porta invece a confrontarci con la consapevolezza della perdita, permettendoci poi di elaborarla e accettarla.
Affrontare la sofferenza significa:
- lasciarsi trasformare da un contesto nuovo, che non potevamo prevedere e che ci si è imposto;
- introdursi all’interno di relazioni che sono state modificate dall’evento;
- smettere di chiedersi come mai sia accaduto, per tentare di dare un significato a ciò che stiamo diventando in seguito a tale esperienza;
- prendere la decisione di vivere e amare sé stessi, nonostante tutto.
Si tratta certamente di un lavoro estremamente faticoso. Come possiamo aiutarci ad affrontarlo?
Le fasi dell’attraversamento del dolore: il modello di Kübler-Ross
Affrontare il dolore è un processo che spesso segue delle tappe riconoscibili, anche se ogni persona può viverle in modo unico. Uno dei modelli più noti per descrivere queste fasi è quello proposto dalla psichiatra Elisabeth Kübler-Ross, che ha individuato cinque stadi principali nell’elaborazione del dolore e del lutto.
Queste fasi non sono sempre lineari e possono alternarsi o ripetersi:
- Negazione: In questa fase iniziale, la mente si protegge dal dolore rifiutando la realtà dell’evento. È un meccanismo di difesa che permette di prendere tempo per adattarsi alla nuova situazione.
- Rabbia: Quando la realtà inizia a farsi strada, può emergere una forte rabbia, spesso diretta verso se stessi, gli altri o persino verso la situazione stessa. Questa emozione può essere difficile da gestire, ma è una reazione naturale alla perdita.
- Contrattazione: In questo stadio si cerca di trovare un modo per evitare il dolore, spesso facendo "patti" con sé stessi o con una forza superiore, nella speranza di cambiare ciò che è accaduto.
- Depressione: Quando si prende piena coscienza della perdita, può subentrare una profonda tristezza. È il momento in cui si realizza la portata del cambiamento e si sperimentano sentimenti di vuoto e malinconia.
- Accettazione: L’ultima fase è caratterizzata dalla capacità di accogliere la realtà della perdita e di iniziare a riorganizzare la propria vita. Non significa dimenticare, ma trovare un nuovo equilibrio.
Riconoscere queste fasi può aiutare a normalizzare le proprie reazioni e a comprendere che il percorso di attraversamento del dolore è complesso, ma possibile.

Quando il dolore diventa eccessivo: segnali da non sottovalutare
Non sempre il dolore segue un percorso fisiologico e adattivo. In alcuni casi, può trasformarsi in una sofferenza persistente e invalidante, che ostacola la ripresa della vita quotidiana. Ad esempio, il senso di impotenza (helplessness) è stato associato ad ansia, depressione, maggiore interferenza del dolore nella vita quotidiana e a una maggiore gravità del dolore nei pazienti giapponesi con dolore cronico (Adachi et al., 2019). Il DSM-5-TR (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) riconosce, inoltre, il disturbo da Lutto Prolungato (Prolonged Grief Disorder, PGD) come una condizione in cui la persona fatica a superare la perdita anche dopo molti mesi.
Alcuni segnali che possono indicare un dolore patologico sono:
- Persistenza di sintomi intensi: Se la tristezza, la rabbia o il senso di vuoto non si attenuano con il tempo e restano molto intensi anche dopo diversi mesi.
- Isolamento sociale: La tendenza a evitare amici, familiari o attività che prima davano piacere può essere un campanello d’allarme.
- Pensieri ricorrenti di colpa o inutilità: Sentirsi costantemente in colpa o pensare di non avere più uno scopo nella vita può segnalare una sofferenza che richiede attenzione.
- Difficoltà a svolgere le attività quotidiane: Quando il dolore impedisce di lavorare, studiare o prendersi cura di sé.
Secondo il DSM-5-TR, circa il 7-10% delle persone che vivono un lutto possono sviluppare una forma complicata di dolore che necessita di un supporto specialistico (American Psychiatric Association, 2013).
Riconoscere questi segnali è importante per chiedere aiuto e non restare soli nel proprio percorso di attraversamento del dolore.
Strategie pratiche per affrontare il dolore
Attraversare il dolore non significa solo sopportarlo, ma anche imparare a gestirlo e a trasformarlo. Esistono alcune strategie, supportate dalla ricerca psicologica, che possono aiutare a rendere questo percorso meno solitario e più sostenibile.
Accettare le proprie emozioni significa concedersi il permesso di provare sentimenti come tristezza, rabbia o paura senza giudicarsi: un passaggio fondamentale per elaborare il dolore. Riconoscere ciò che si prova non solo aiuta a non reprimere le emozioni, ma favorisce anche un autentico processo di guarigione. Inoltre, è stato dimostrato che l’accettazione del dolore è correlata negativamente con l’umore negativo, la compromissione funzionale e l’intensità del dolore (Ramírez-Maestre et al., 2014), sottolineando così l’importanza di accogliere le proprie emozioni nel percorso di benessere psicologico.
- Cercare supporto: Condividere il proprio vissuto con persone di fiducia, come amici, familiari o gruppi di auto-aiuto, può offrire conforto e ridurre il senso di isolamento.
- Riorganizzare gli scopi personali: Dopo una perdita, può essere utile ridefinire le proprie priorità e obiettivi, anche piccoli, per ritrovare un senso di direzione nella quotidianità.
- Praticare tecniche di coping: Strategie come la scrittura espressiva, la mindfulness o la respirazione consapevole possono aiutare a gestire l’ansia e a ritrovare un po’ di serenità nei momenti più difficili (Tang, Hölzel & Posner, 2015).
- Prendersi cura di sé: Mantenere una routine regolare, curare l’alimentazione e il sonno, dedicarsi ad attività piacevoli sono gesti semplici ma fondamentali per sostenere il proprio benessere durante il percorso di attraversamento del dolore.
Ognuno ha il proprio tempo e il proprio modo di affrontare la sofferenza: non esistono soluzioni universali, ma piccoli passi quotidiani possono fare la differenza.
L’incontro con un terapeuta può aiutarci a trasformare il dolore
Andare dallo psicologo, attraverso l’incontro autentico tra persone (il terapeuta e il paziente) e l’instaurarsi di una relazione di fiducia, può restituire parola alla sofferenza rendendola presente, ma contenuta.
Lo psicologo è innanzitutto un interlocutore, una persona che offre ad un’altra una relazione di cura, attenta e serena. Cosa fa lo psicologo? Il terapeuta accompagna il paziente lungo il doloroso e faticoso percorso che prevede di attraversare e di oltrepassare la sofferenza. Entrando nella storia dell’individuo lo sostiene nel cercare al suo interno le risorse utili a dare significato ai propri vissuti.
All’interno di un percorso psicologico, il ruolo del terapeuta non è quello di offrire soluzioni o dare consigli, ma di ascoltare, vedere e mettere insieme i pezzi che generano confusione. In questo contesto, l'uso di una terminologia centrata sul paziente potrebbe migliorare l'esperienza clinica e ridurre lo stigma nei confronti di chi attraversa il dolore (Webster et al., 2023). Il terapeuta non soffre insieme al paziente, ma si “siede accanto a lui”, senza supporre di poter sentire il dolore di un’altra persona, per non sminuire la complessità emotiva di ciascun essere umano. Di fronte al mistero del dolore, solo la solidarietà partecipe può portare conforto.
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