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Ghosting: sparire all’improvviso senza lasciare traccia

Ghosting: sparire all’improvviso senza lasciare traccia
Ghosting: sparire all’improvviso senza lasciare traccialogo-unobravo
Teresa Greco
Teresa Greco
Redazione
Psicoterapeuta ad orientamento Etno-Sistemico-Narrativo
Unobravo
Pubblicato il

Il New York Times definisce il ghosting come il "mettere fine ad una relazione interrompendo tutti i contatti ed ignorando i tentativi di comunicazione del partner". È un fenomeno che esiste da sempre e che, con la tecnologizzazione e l’avvio di relazioni sempre più “online” è cresciuto enormemente: le comunicazioni si interrompono con una facilità estrema scomparendo nel nulla, non lasciando traccia.

Sembra trattarsi di rapporti evitanti, in cui non ci si mette in gioco totalmente. Si sta insieme ma, di fronte ad una difficoltà che non si ha il coraggio di affrontare, chi fa ghosting scappa, evitando di confrontarsi e di dover dare delle spiegazioni su ciò che accade. Sparire è più semplice.

 

Il ghoster: chi è e perché agisce così

Il ghosting è puro evitamento ma non solo dell’altro, anche di sé stessi, soprattutto quando entrano in gioco situazioni emotive complesse da gestire. Come in tutte le dinamiche relazionali, gli attori sono diversi e ognuno ha delle carte da giocare. Il ghoster non riesce ad affrontare:

  • se stesso;
  • le proprie insicurezze;
  • le proprie fragilità.

 

Terminare un rapporto senza lasciare traccia non richiede quel coraggio e quella determinazione che servono a confrontarsi e dare quelle motivazioni necessarie affinché l’altro capisca, o che almeno permetta di chiarirsi le idee per elaborare la fine di una relazione. Potrebbero entrare in gioco diversi fattori:

  • non ci si sente all’altezza delle aspettative dell’altro;
  • non si riesce a sostenere il peso delle risposte emotive negative che l’altro potrebbe esprimere;
  • non si vuole ferire o deludere il partner.
Harrison Haines - Pexels

Quella responsabilità, quel dolore di cui si è ipoteticamente la causa, può rimanere nell’immaginario, non sempre facilmente accessibile a tutti. Così è meglio sparire nel nulla. Per il ghoster, non lasciare traccia sembra essere la cosa meno dolorosa, perché permette di continuare a scappare da quelle emozioni e sensazioni che non riesce a gestire e che probabilmente sono troppo forti, che si parli di amore o meno.

La vittima e le conseguenze del ghosting

La vittima che subisce la sparizione può provare un dolore che talvolta lascia segni indelebili, non semplici da affrontare:

  • si sente costantemente in colpa;
  • si autoaccusa di aver fatto qualcosa, che non riesce a capire concretamente;
  • sente di non meritare quell’affetto o quell’amore.

Il non aver avuto un confronto con l’altro ostacola un’elaborazione della perdita. È forte la sensazione di ambiguità: l’altro non c’è più nella propria vita, ma continua ad esistere nella propria mente. Manca una motivazione. Una spiegazione, per quanto dolorosa, rimane qualcosa che è stato affrontato insieme e permette di avere un punto da cui ripartire.

 

Le conseguenze del ghosting possono essere diverse, perché potrebbero permanere:

  • una generale sfiducia verso l’altro;
  • sentimenti di frustrazione e impotenza;
  • una mancanza di stima verso sé stessi.
Andrea Piacquadio - Pexels

Il dolore è amplificato perché non ha dei riferimenti. In tal modo può prendere diverse forme, anche somatiche. Inoltre, un ulteriore rischio potrebbe essere quello di riproporre questa modalità nelle altre relazioni successive.

Come affrontare questa esperienza?

Spesso le vittime provano a ricontattare il ghoster, desiderose di una spiegazione. È una richiesta legittima ma, essendo vere e proprie “sparizioni”, i contatti cadono nel nulla. Uscire dalla posizione di “vittima” e diventare il “protagonista” della propria storia può essere di grande utilità per la persona. Arrovellarsi sul possibile errore non porterà necessariamente ad una via d’uscita.

“Poco importa sapere dove l’altro sbaglia, perché lì non possiamo fare niente. Interessante sapere dove sbagliamo noi stessi. Perché lì si può fare qualcosa”. Carl Gustav Jung


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